CAOS

Era un uomo comune, niente di speciale, credo fosse sulla cinquantina, vestito in maniera normale, a guardarlo bene era un po’ trascurato, la barba un po’ lunga, i vestiti non proprio puliti, ma al giorno d’oggi vanno tutti in giro così. Adesso che ci penso aveva qualcosa di strano, un berretto tipo baseball, bianco e rosso, con la scritta De Domenici Colori sas. Ma non sembrava un imbianchino e nemmeno un rifugiato o uno che si veste con quello che gli danno i preti. Aspettava al semaforo di attraversare il viale, confuso nel via vai di persone che guardano a terra, guardano nello smartphone, guardano in giro, guardano la luce rossa del semaforo aspettando che diventi verde. Sull’altro marciapiede, in fila, tre impiegati in abito grigio, una donna indiana vestita di fucsia e giallo oro, una donna grossa, sudata e sbuffante, con una pesante borsa della spesa in ciascuna mano. Il traffico continuava a scorrere, una Panda rossa, ammaccata e spazientita, diede un breve colpo di clacson. L’uomo pigiò due, tre volte il pulsante sul palo del semaforo, sotto la targhetta con la scritta ‘chiamata pedonale’, poi si voltò verso il tipo alla sua destra, «Scusi avrebbe mica due euro?», gli chiese. Questo, un ragazzo con i capelli rossi, il profilo affilato, pallido, si tolse gli auricolari e lo guardò, come per dire ‘non ho sentito’. «Due euro», ripeté l’uomo, mostrando un po’ timidamente l’indice e il medio. Il ragazzo si strinse nelle spalle e si rimise gli auricolari. Aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo. «Ma senti questo come puzza», pensò, e si spostò un po’ di lato, contraendo la mascella. «I don’t ever want to feel/ like I did that day…», il ragazzo tornò a concentrarsi sul pezzo, ma poi si sentì battere una mano sulla spalla, sempre da quel lato. «Cosa vuoi ancora?», pensò, ma era un altro uomo, con un pesante cappotto marrone e degli strani occhiali da vista, con le lenti spesse e la montatura di forma antiquata. Il ragazzo tornò a togliersi gli auricolari e lo fissò. Per tutta risposta l’uomo si tolse gli occhiali, poi estrasse dalla tasca un fazzoletto e cominciò a pulirli meticolosamente, aggrottando le sopracciglia. «Un altro scappato dal manicomio», pensò il ragazzo, e ancora quella puzza, poi si accorse che stava arrivando il suo autobus, dall’altra parte del piazzale, e attraversò di corsa insieme alla donna con le borse e la donna indiana, gli impiegati e inoltre tre giovani ragazzi pakistani, o forse afghani, con delle cartelline sottobraccio e un’aria un po’ preoccupata. Dietro di loro, mentre il semaforo da verde diventava giallo, attraversò di corsa anche una donna piccola, con i grossi seni che spuntavano dalla scollatura a ‘V’ della maglietta. Restò sul marciapiede solo l’uomo con il cappotto, continuava a pulire le lenti degli occhiali dal polline che cadeva dai tigli, iniziava a fare caldo, ma lui non pensava a nulla di particolare, si rimise gli occhiali e sorrise soddisfatto, guardando attraverso le lenti il traffico che ritornava a fluire e a ronzare, mentre intorno a lui e sul marciapiede di fronte, si formavano altri due capannelli di pedoni, in attesa del verde.

multiverso

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