CAOS

Ci sono mondi in cui il passato del singolo individuo non conta. La teoria economica tradizionale, ad esempio, si presenta con questa rilevante connotazione: i processi decisionali non evolvono nel tempo e dunque non ‘invecchiano’. Ciò che, nel momento di prendere una decisione, costituisce il passato del singolo non ha alcun peso perché i meccanismi della scelta non risentono della diversità dei vissuti. Anche la capacità di scegliere e di pensare rimane uguale, nel corso della vita.

L’approccio evolutivo e quello cognitivo hanno poi rivoluzionato la staticità di questa concezione. Si è fatto strada infatti il concetto di path dependence, che può essere interpretato come raffinamento analitico dell’idea che ‘la Storia conta’: la risposta di un organismo (sia esso un individuo, un’organizzazione, un’istituzione) ad una situazione presente è influenzata dal suo intero percorso evolutivo. Ogni piccolo evento in questo percorso è destinato ad avere un peso che non scompare mai del tutto. Il passato c’è, e mantiene il suo influsso nel tempo.
Inoltre, mentre nei sistemi lineari una piccola variazione delle condizioni iniziali provoca una variazione corrispondentemente piccola nello stato finale del sistema, in un sistema complesso, come lo sono quelli socio-economici, le condizioni iniziali e tutto ciò che da esse in poi segue, seppure apparentemente insignificante, può propagarsi e amplificarsi in modo imprevedibile fino a generare catastrofi (si pensi al cosiddetto ‘effetto farfalla’).

Da questa prospettiva il passato è sempre alle porte. E d’altra parte i sistemi complessi e non lineari, quelli in cui è possibile il caos, sono caratterizzati proprio dalla sensibilità alle condizioni iniziali, destinate a influenzare la traiettoria evolutiva e i possibili stati finali.
La cosa forse non ci sembra preoccupante se riguarda particelle, numeri o placche geologiche. Ma se invece riguarda noi e i nostri artefatti? La nostra vita e la società in cui viviamo, per intenderci? Siamo, noi esseri umani, ‘vittime’ delle condizioni che hanno caratterizzato il nostro esordio nel mondo, senza che allora potessimo sceglierle, e ora dimenticarle?
In realtà, se il sistema complesso di cui parliamo è un individuo, allora il funzionamento della mente ci fornisce almeno due vie d’uscita dalle condizioni iniziali e dalla Storia più remota che ci ha strutturato. Una ha a che fare con la plasticità della memoria, l’altra con la natura intrinsecamente non lineare dei processi di pensiero.

Rispetto all’idea di un presente che si sviluppa ‘nella morsa del passato’, la natura ricostruttiva dei ricordi suggerisce infatti che, al rovescio, anche il passato ricordato si formi e si modifichi sotto l’influsso del presente. Gli studi sulla memoria hanno invero consolidato due idee di fondo.
La prima riguarda il fatto che non esistono ricordi fissati una volta per tutte: ogni volta che ricordiamo ‘contaminiamo’ la traccia mnestica con le condizioni del presente e archiviamo una nuova, aggiornata versione della traccia. I ricordi, dunque, evolvono. La seconda idea consiste nel riconoscere che, sul piano autobiografico, l’unico passato a cui abbiamo accesso è quello che ricordiamo, ovvero ricostruiamo ricordando. Non è dunque dal passato in sé, ma dalla sua immagine di volta in volta trasformata che la nostra identità dipende.

Le implicazioni sono significative. Se il passato è un contenuto che esiste nella mente del soggetto sotto forma di rappresentazione dinamica, soggetta a continue alterazioni, allora non c’è nemmeno un’unica e invariabile relazione di dipendenza rispetto ad esso. La dipendenza dalla Storia si manifesta in realtà rispetto a quella versione della Storia che di volta in volta ricostruiamo, e che può cambiare. La psiche stessa partecipa di questa traiettoria evolutiva continua e fondamentalmente imprevedibile. Come ha suggerito lo psicoanalista inglese Wilfred Bion, non esiste una capacità di pensare che si consolidi e si definisca per sempre.

Nei processi di pensiero, partendo da percezioni ed emozioni grezze, inizialmente slegate e disarticolate, la mente individua di volta in volta un elemento ordinante, un fatto scelto che le consente di costruire delle idee, di sviluppare nessi e sentire associazioni, via via più aderenti alla realtà. Ogni qualvolta, però, è necessario ri-pensare, occorre tornare indietro: destrutturare la sintesi che si è raggiunta, disorganizzare il discorso e lasciare spazio per associazioni nuove.
L’oscillazione tra idee mature e nuovi pensieri appena abbozzati rimane per sempre una risorsa, perché è proprio grazie ad essa che possiamo disaggregare le configurazioni già costituite, regredendo verso una modalità di pensiero più arcaica, meno strutturata, di nuovo frammentata.
La mente dispiega il suo potenziale creativo in questa dimensione oscillatoria che consente al pensiero di rimanere insaturo, senza chiudersi troppo a lungo, ma cristallizzandosi e riaprendosi di nuovo, ciclicamente, per tenere conto, sembra dirci Bion, degli aggiornamenti che il mondo ci propone, che noi stessi ci proponiamo.
Non c’è, da questo punto di vista, un pensiero che ci fonda e un pensiero che segue. Non c’è un passato già pensato e un futuro da pensare. C’è la capacità di andare avanti, costruire, raffinare e poi tornare indietro, sciogliere e disaggregare tutte le volte che ne emerga il bisogno.

Rottamiamo il passato? No, al di fuori delle mode e degli slogan, non è una cosa che ci conviene. Il passato compone la nostra identità e dobbiamo tenercelo stretto perché solo la sua elaborazione, la sua risignificazione nel tempo, può consentirci una reale autonomia dalle realizzazioni che esso ha prodotto. Quell’autonomia, per dirla in breve, che in un mondo privo di caos e di complessità non potremmo neppure sognare.
Ma se non rottamiamo il passato siamo vittime di Storie che non abbiamo scelto, o che abbiamo scelto solo in parte? Per fortuna, no. Il passato come dato storico non si può cambiare. Ma il ricordo del passato sì. Il significato di quello che è successo anche. E quando questa narrazione su noi stessi fatta di memoria e di senso cambia, allora cambiamo noi.

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