CAOS
Le esperienze religiose: il lato creativo della spiritualità
di Franco Fabbro
È stata appurata l’esistenza di migliaia di lingue e di religioni. Ogni popolo ritiene che la propria lingua sia la migliore. Alla stessa stregua, i seguaci di ogni religione credono che soltanto la loro sia autentica, mentre tutte le altre sarebbero false. Le religioni, come le lingue, oltre a costituire un elemento di identificazione, sembrano dipendere da alcune caratteristiche tipiche della mente umana: l’agentività e la ricerca di spiegazioni causali. Gli esseri umani tendono ad attribuire intenzioni non solo agli uomini e agli animali, ma anche ai fiumi, alle montagne, alle rocce, ai fiori, al sole e alla luna. Inoltre, la ricerca di spiegazioni causali, tipica della nostra specie, finisce per eccedere in generalizzazioni, fino alla ricerca di cause prime soprannaturali. Ritengo che nella specie umana la dimensione religiosa sia universale, quanto quella linguistica. Infatti, non è possibile essere umani senza parlare e senza avere delle credenze. Queste possono confluire nelle religioni tradizionali, negli atteggiamenti di ricerca spirituale, oppure nella negazione della spiritualità. Tali teorie sono legate al fatto che il linguaggio ci ha abituato a ricercare significati dietro le parole e le storie. Gli esseri umani, dunque, si chiedono: «Quale significato ha la mia vita? Che significato ha l’universo?». Domande di questo genere non trovano risposta nella scienza. Possono essere problematizzate nella filosofia, ma ottengono riscontro soltanto all’interno della dimensione spirituale. Le religioni esistono, inoltre, perché gli esseri umani hanno ‘naturalmente’ delle esperienze religiose. Il cervello e la mente sono costruiti in maniera tale da permettere nel corso di malattie (epilessie, tumori, situazioni di stress intenso) o in particolari condizioni fisiologiche (nelle fasi di addormentamento o risveglio, durante ascensioni in montagna o immersioni marine) o attraverso tecniche (astensione dal sonno, meditazione, yoga) o mediante l’assunzione di sostanze psicoattive, di sperimentare ‘visioni’, ‘incontri’ e ‘fenomeni di uscita dal corpo’, descritti diffusamente in tutte le tradizioni religiose e soprattutto nello sciamanesimo.
Le esperienze religiose nei grandi geni spirituali
Le esperienze religiose stanno alla religione come il caos sta all’ordine. Rappresentano l’irruzione dell’indeterminatezza e della creatività all’interno delle religioni stesse. Durante quei momenti una persona entra, per così dire, direttamente in contatto con l’Alterità senza intermediari istituzionali (sacerdoti). Attraverso tali esperienze è possibile avvicinarsi al lato creativo e ‘rivoluzionario’ della spiritualità. Per questa ragione i mistici e i profeti visionari sono stati guardati con sospetto da tutte le religioni istituzionali. Si tratta di esperienze che presentano caratteristiche simili in tutte le culture: ad esempio, un senso di profonda comprensione e unità fra l’individuo e il cosmo; la sensazione che si è realizzato qualcosa di estremamente importante e vitale; la percezione di essere entrati in un altro mondo (mondo degli spiriti, paradiso ecc.); la consapevolezza della verità dell’esperienza che si sta vivendo, che determinerà un cambiamento radicale nella propria vita; la coscienza della presenza del sacro nella natura.
Per quasi tutti i grandi geni religiosi l’origine dell’itinerario spirituale coincide con una o più esperienze religiose. Zarathustra, il profeta visionario riformatore dell’antico mazdeismo, vissuto tra il 1200 e l’800 a.C., definì la religione come una visione (dae¯na¯) e sulla base dei propri stati visionari, riportate nell’Avesta¯, elaborò i concetti del mazdeismo riformato. Paul Du Breuil, nel volume Zarathustra e la trasfigurazione del mondo, descrive le esperienze visionarie del profeta iranico con le seguenti parole: «Ogni volta, provava una sorta di delizioso abbandono della coscienza, cui seguiva il sentimento di una caduta vertiginosa attraverso il tempo. Pur immergendosi negli abissi passati prodigiosamente lontani, sentiva come uno scioglimento inaudito di tutto il suo essere, che si ampliava fino a inglobare non soltanto l’universo, ma altri universi ancora, che si dispiegavano in altre dimensioni temporo-spaziali. […] Ripercorreva in senso inverso la filiera del tempo e aveva l’impressione di aver realizzato un viaggio fantastico, di emergere da qualche esperienza strana e prodigiosamente creatrice di prospettive completamente nuove rispetto ai valori reali delle cose. Rientrando in sé […] si imponevano due domande: Perché sono caduto in questo corpo di carne? […] Chi conduce questo mondo? […] Si imponevano allora al suo spirito la visione dell’ascesi dell’umanità attraverso potenze spirituali, che verranno più tardi chiamate ‘Angeli’. […] Zarathustra le definirà le sette espressioni del Signore: la prima è la Saggezza (Mazda¯h); la seconda il Buon Pensiero (Vohu Manah); la terza l’Ordine Giusto (Asha Vahista); la quarta il Regno di Dio (Khahatra); la quinta la Devozione (Armaiti); la sesta la Salute (Haurvatat); e, infine, la settima l’Immortalità (Ameretat)». Anche gli insegnamenti del principe indiano Siddhartha Gautama (566-486 a.C.), conosciuto come il Buddha, sono originati dall’esperienza spirituale di estinzione (nirvana). La sera del primo plenilunio del mese di vesa¯kka (aprile-maggio) del 531 a.C., Siddhartha si dispose alla meditazione sotto un albero di ficus religiosa. Passò la prima parte della notte in meditazione. Tale stato gli permise di distaccarsi dalle passioni insane e di immergersi in se stesso (jha¯na), fino a raccogliere e purificare il proprio spirito, rendendolo «immacolato, casto, mite, docile, saldo e senza ondeggiamenti». Questa condizione spirituale lo indirizzò alla conoscenza delle esistenze precedenti. A metà della notte si schiuse il sapere riguardante la legge della casualità (karma), che fa corrispondere alle buone azioni buone forme di rinascita e, viceversa, alle cattive azioni cattive reincarnazioni. Infine, durante la veglia dell’ultima parte della notte, Siddhartha pervenne al terzo sapere, alla conoscenza del ‘dolore’ e delle ‘quattro nobili verità’. «Questo è il dolore (dukkha); questa la sua causa; questa la sua eliminazione; questo è il cammino per eliminarlo». Nel momento in cui comprendeva tutto ciò, lo spirito di Siddhartha si liberò dai condizionamenti, dal piacere, dalla smania di esistere e dall’ignoranza. Divenne il Buddha, un ‘ridestato’, un ‘illuminato’, aveva così spezzato il ciclo delle rinascite. Eruppe dentro di sé un grido di gioia: «È sicura la mia salvezza, questa è la mia ultima nascita, non c’è più ritorno!». Per quanto riguarda Gesù il Nazareno, nei Vangeli canonici sono descritte due esperienze religiose: il battesimo e la trasfigurazione. Nell’esperienza del battesimo Gesù vede aprirsi i cieli, scendere su di lui lo Spirito, e sente una voce che lo proclama il Figlio amato (Mc 1, 10-11; Mt 3, 17; Lc 3, 21-22). Numerosi biblisti (David Flusser, Bruce Chilton, Pieter F. Craffert) sono concordi nel ritenere che all’origine della tradizione vi sia stata una reale ‘esperienza religiosa’ raccontata ai discepoli da Gesù stesso. Secondo questi biblisti Gesù era stato introdotto alle tecniche mistiche del giudaismo, probabilmente da Giovanni Battista; così, durante il battesimo, avrebbe avuto una vera e propria esperienza estatica, che lo rese consapevole della sua identità e della sua missione. L’esperienza della trasfigurazione sul monte – nella quale alcuni apostoli, in una visione, sentirono una voce dal cielo che diceva: «Questi è il mio figlio diletto, ascoltatelo» (Mc 9,7; Mt 17,5; Lc 9,35) – ha delle similitudini con le esperienze del misticismo visionario di Ezechiele e Daniele (Dan 7, 13-14).
Il significato delle esperienze religiose
L’atteggiamento di fronte alle esperienze religiose mi sembra simile a quello che riguarda l’interpretazione dei sogni. Nell’antichità si riteneva che i sogni fossero una via di comunicazione tra gli Dei e gli esseri umani. Sigmund Freud e Carl Jung pensavano che fossero messaggi provenienti dall’inconscio (individuale e/o collettivo). Più recentemente, il neuroscienziato Allan Hobson ha sostenuto che i sogni sono generati casualmente dal cervello e non hanno alcun significato. Sogni, visioni, esperienze religiose sono fenomeni umani universali rintracciabili all’interno delle tradizioni religiose e letterarie di tutte le culture. Non pare sensato, pertanto, né accettarle acriticamente, né banalizzare i loro contenuti e le tradizioni da esse generate. Sono convinto si tratti di una delle possibili vie di conoscenza a disposizione degli uomini.