CAOS
Non l’informazione ma, forse, l’arte
di Roberta Valtorta
Nulla è più caos dei potenti flussi migratori che segnano i territori e i destini del nostro mondo difficile. Caos di esistenze, corpi, speranze, paura, dolore, morte. Milioni di vite si spostano, non sono più dov’erano, dove si immaginava dovessero rimanere, non è chiaro dove andranno e verso quale futuro. Il fotogiornalismo e il videogiornalismo si incaricano di raccontare ripetutamente tutto questo. La carta e lo schermo ce lo mostrano ogni giorno, ma, sappiamo, i nostri occhi non sanno più vedere. È l’arte, forse, a venire in estremo soccorso alla nostra sensibilità ormai opaca, mutilata dall’agitata insistenza dell’informazione globalizzata e dello spettacolo. L’arte può, forse, ancora proporci qualche occasione di riflessione e offrirci sintesi di significati in luogo della martellante narrazione dei fatti. Per questo, nelle opere d’arte che parlano di migranti non c’è caos né rumore, ma silenzio, non c’è molto da vedere, ma poco. Osserviamo allora alcuni di questi importanti lavori, con la speranza che di essi resti traccia nei nostri occhi e nel nostro pensiero.
Mario Cresci nel 2013 realizza Segnimigranti, un intervento sulla spiaggia di Giardini Naxos (Taormina). Traccia segni con tempera bianca su blocchi di lava nera, a indicare con un gesto i corpi dei moltissimi migranti morti nelle acque del Mediterraneo. Poi li fotografa e li filma. I segni a forma di ‘V’ sembrano elementi di un’antica scrittura ma anche uccelli in volo, o schiacciati a terra, o anche pensieri che hanno preso forma grafica, lì, a pochi passi dal mare.
Nel 2016 Francesco Radino produce un’ampia serie di fotografie a Lesbos, dolce isola coperta di ulivi abitata da un popolo di frontiera, un avamposto d’Europa a poche miglia dalla costa turca. Il grande mare azzurro nasconde corpi nei suoi fondali, sulla collina si accumulano i resti colorati di un esodo senza precedenti di esseri umani che bussano in massa alla nostra porta. Segni di gravi accadimenti sono ovunque, in dialogo però con la natura che dona a tutto una dimensione assoluta.
Claudio Beorchia individua nella coperta isotermica, dorata da un lato e argentata dall’altro, un materiale evocativo che ha la forza di diventare un potente simbolo dei nostri tempi, e con esso realizza varie opere. Questo presidio medicale protegge i migranti, rendendo improvvisamente e magicamente regali i loro corpi a rischio di morte. Con Stato di emergenza, del 2016, l’artista trasforma la coperta isotermica in una inedita bandiera, invitando i sindaci di molte città a esporla, e raccogliendo consensi.
Agnese Purgatorio, da anni impegnata a lavorare sui temi della lontananza, del viaggio, sia volontario sia provocato dagli eventi della storia, pensa a persone in fuga nel bosco, luogo delle favole ma anche luogo dove realmente i migranti spesso trovano temporaneo rifugio, e in This Side of Paradise, del 2016-2017, ricrea scene immaginarie fortemente simboliche, non prive di un’antica teatralità e ritualità. Non il racconto della ‘vera’ realtà dunque, ma la ricostruzione artistica della scena, ci conduce a osservare e a pensare.