COLORE

Il colore è una delle caratteristiche più ovvie dell’ambiente: fornisce margini tra superfici facilitando l’organizzazione percettiva e assolve importanti funzioni di segnalazione sia naturali che convenzionali.

Ai colori si reagisce emotivamente e ad essi vengono attribuiti significati particolari. Ma, nonostante l’immediatezza del colore nell’esperienza, non vi è nulla di immediato, semplice e ovvio nell’‘esistenza’ dei colori.
La visione richiede radiazioni elettromagnetiche di sufficiente intensità; l’energia radiante in grado di produrre effetti visibili è denominata ‘luce’.

Sebbene l’intero spettro elettromagnetico sia molto più ampio, il sistema visivo risponde solo a determinate lunghezze d’onda. La luce ‘visibile’ occupa infatti solo una piccola parte dello spettro e all’interno di questa banda ristretta sono compresse tutte le esperienze visive. Questo intervallo, denominato ‘finestra ottica’, corrisponde alla zona in cui le radiazioni solari sono più intense.
Entro questa gamma la sensibilità non è uniforme: è infatti maggiore per le radiazioni appartenenti alla banda centrale. La luce solare bianca corrisponde all’insieme di tutte le radiazioni alle quali il sistema visivo reagisce.

Quando un raggio di luce attraversa un mezzo trasparente (una goccia d’acqua o un cristallo), si verifica il fenomeno della ‘rifrazione’, che consiste in un brusco cambiamento di direzione del raggio.
L’angolo di rifrazione è differente per i raggi delle diverse lunghezze d’onda che compongono la luce bianca; i raggi, conseguentemente, si separano gli uni dagli altri. Si può quindi osservare una striscia luminosa composta da colori diversi – rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto – denominata ‘spettro solare’. Questa caratteristica della luce di suddividersi in un fascetto di raggi di colori diversi è chiamata ‘dispersione’ della luce. Un esempio affascinante di dispersione cromatica è l’arcobaleno.

I colori dello spettro non sono a loro volta decomponibili. La reazione soggettiva alle diverse lunghezze d’onda – da circa 400 nm (violetto) a circa 700 nm (rosso) – costituisce la ‘tonalità’ o colore. La luce bianca è composta da una miscela di differenti luci colorate.
Le superfici assorbono e riflettono la luce in modo differente, a seconda delle caratteristiche della materia di cui sono composte: gli oggetti presentano il colore delle radiazioni luminose che riflettono.

Se vengono mescolati raggi provenienti da parti diverse dello spettro si ha una miscela additiva: lunghezze d’onda differenti vanno a stimolare contemporaneamente la stessa area della retina. Tutti i colori dello spettro possono essere prodotti mescolando, nella maniera opportuna, tre luci colorate, di solito il rosso, il verde e l’azzurro (come fa, ad esempio, la televisione). Un modo per produrre miscele additive consiste nell’accostare l’una all’altra piccole macchie di colore: i raggi riflessi si fondono sulla retina producendo colori ‘solidi’ di varie tonalità. In pittura vengono talvolta utilizzate miscele additive. Gli impressionisti, ad esempio, ponevano i colori adiacenti l’uno all’altro in macchioline al di sotto della soglia di acuità: «la superficie del dipinto acquista così un aspetto ‘scintillante’ che suggerisce l’effetto del sole splendente» (M.H. Pirenne, Optiks, painting, and photography, 1970).

Miscele sottrattive si hanno, invece, quando si sovrappongono filtri colorati o si mescolano assieme pigmenti. Quando un raggio di luce bianca arriva su una superficie colorata parte dello spettro viene assorbita. Se i pigmenti sono due, la luce riflessa sarà la differenza tra quella assorbita dall’uno e quella assorbita dall’altro. Una superficie azzurra assorbe il giallo, l’arancio e il rosso (onde lunghe) e solo il violetto, l’azzurro e il verde ne vengono riflessi. Una superficie gialla, invece, assorbe il violetto e l’azzurro (onde corte). Di conseguenza, se si mescolano l’azzurro e il giallo, solo il verde (onde medie) non viene assorbito e si percepisce il colore verde.

I pittori lavorano con miscele sottrattive tutte le volte che combinano pigmenti su una tavolozza o pongono un colore sopra all’altro sulla tela.

Il colore non è una proprietà degli oggetti, ma nemmeno una proprietà della luce. Per l’esistenza dei colori fenomenici non basta lo stimolo fisico – radiazioni di lunghezze d’onda diverse dallo spettro elettromagnetico – occorre anche un sistema percettivo che le elabori: la luce stessa esiste solo perché ci sono occhi per vederla e i colori stanno solo nella mente dell’osservatore.
Il colore di un oggetto dipende dal contenuto spettrale della luce da esso riflessa che, assorbita dai fotorecettori, dà inizio a reazioni ‘a cascata’ sulla retina e nel cervello.

Secondo la ‘teoria tricromatica’ (originariamente elaborata da Helmholtz, 1821-1894) vi sono tre tipi di recettori per il colore, ciascuno sensibile in modo diverso a radiazioni provenienti da punti differenti dello spettro. In base a questa teoria, i colori fondamentali sono tre: rosso, verde e azzurro.

La retina contiene tre tipi di coni che differiscono nella sensibilità spettrale. L’altro tipo di recettori retinici, i bastoncelli, attivi anche a bassi livelli di intensità, non è sensibile alle differenze di lunghezza d’onda e consente quindi la visione solo acromatica, anche con scarsa illuminazione.

I tre tipi di coni, pur rispondendo a quasi tutto lo spettro, differiscono nella quantità di attività prodotta da radiazioni appartenenti a bande diverse: l’informazione sulle lunghezze d’onda è elaborata ai livelli successivi del sistema visivo. I tre tipi di coni hanno connessioni sia eccitatorie che inibitorie con neuroni che rispondono in maniera ‘spettralmente opponente’: presentano attivazione ad alcune parti dello spettro e inibizione ad altre (secondo quanto originariamente proposto da Hering, 1834-1918). I colori fondamentali sono quattro, a due a due complementari: azzurro/giallo e rosso/verde. Per una data cellula, ad esempio, il ritmo di attività aumenta per il verde e diminuisce per il rosso. Il processo opponente spiega quindi perché certi colori non possono coesistere: un colore non può stare assieme al suo complementare; ad esempio, non si può vedere un rosso verdastro.

Il colore visto in una regione dello spazio è determinato non solo dalle caratteristiche dello stimolo, ma anche da quelle di stimoli contemporaneamente presenti nelle aree circostanti. Nella maggior parte dei casi l’‘induzione’ simultanea di colore va nella direzione del ‘contrasto’, talvolta produce invece ‘assimilazione’. La direzione dell’induzione può essere determinata dalle dimensioni dello sfondo: quando è ampio si ha contrasto, quando è piccolo la tendenza è all’assimilazione (fig. 2). Anche l’offuscamento dell’immagine produce effetti di ‘eguagliamento’.

Il colore fenomenico non dipende quindi in modo univoco dalla composizione spettrale della luce che raggiunge la retina: si possono percepire colori molto diversi in presenza della medesima superficie riflettente.

A conferma che la percezione del colore non è vincolata alle lunghezze d’onda fisiche ed all’attività dei recettori retinici con esse sintonizzati, ma è controllata più dal ‘cervello’ che dagli occhi, è il fatto che si possono avere colori fenomenici anche in assenza di stimolazione ‘cromatica’. Nelle opere optical, le sottili linee che costituiscono disegni geometrici in bianco-nero tendono a vibrare producendo visioni pastello.

multiverso

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