COLORE

Il diritto ha un colore? La risposta più immediata dovrebbe essere negativa.
L’icona della giustizia è, infatti, una donna bendata: spada e bilancia sono i suoi attributi. Nessun colore: neutro lo sguardo – anzi: cieco – perché imparziale e inflessibile.
Basta poco, però, per accorgersi che non è così: di colori e diritto si può parlare; e il discorso può essere condotto lungo una molteplicità di piani.

In biblioteca. Mi guardo intorno. Sugli scaffali i tanti libri – allineati con cura – rivelano, proprio in virtù dei loro colori, il loro tempo.
Rilegature rigide, colori austeri. Marroni di pelle; rossicci; neri, addirittura. Lettere d’oro sulle coste dichiarano gli argomenti.
Colori cupi, di quando il diritto era scienza esoterica per pochi. Linguaggio iniziatico, da pochi conosciuto; deposito di sapienza e di potere.
Collane uniformi ed eleganti, use a far mostra di sé sugli scaffali polverosi e scricchiolanti degli studi di avvocati o notari, oppure destinate ad adornare biblioteche di palazzo. Scuri e ordinati, quei volumi. A ricordare che, di fronte alla legge, poca cosa è la persona.

Più in qua nel tempo, le cose mutano.
Sono gli anni ’60. Le Università si riempiono. La divulgazione prende piede; e la tipografia diventa povera. Copertine leggere, colori sbiaditi.
Più noia che minaccia.

E oggi… oggi invece è un tripudio di colori. L’editoria di massa è anche concorrenza: occorre rallegrare l’acquirente. Il grafico suggerisce formati e colori accattivanti.
Rossi squillanti; lucidi azzurri, grigi eleganti. Non manca il giallo, né il viola; il verde è presente in abbondanza, insieme al blu, al bianco e al crema, in molte sfumature.
Libri belli, verrebbe da dire; e a portata di tutti. La prosa, purtroppo, continua sovente nella sua oscurità.

Ma non sono solo questi, i colori del diritto.
Per molti il diritto è bianco o nero: la ragione e il torto, su sponde diverse, inconfondibili. Ma si sbagliano. Il diritto è, anzitutto, sfumatura: è la gamma del grigio, modulata in tutte le sue potenzialità, a segnare il territorio che divide il giusto dall’ingiusto.
Se poi li apriamo questi codici, questi libri, queste raccolte, con un po’ di immaginazione riusciamo a vedere molti, molti, colori. Perché il diritto attraversa tutta la nostra vita, e ne segue vicende e toni.

Nel codice civile c’è l’amore, in tutto il suo percorso.
La luminosità del fidanzamento e la brillantezza dei primi tempi, nei quali ci si scambiano le promesse più azzardate: e il codice lo sa che son promesse che volano, e che non impegnano.
Il matrimonio (il giorno più bello?), con il bianco dei fiori d’arancio; ma anche il nero su bianco degli accordi e dei doveri patrimoniali.
Verranno poi i figli: il rosa e l’azzurro, come da tradizione.
Più in là – non obbligato, ma statisticamente presente – il colore della tempesta e del litigio: la noia, il tradimento, l’abbandono; e poi: la separazione, il divorzio.
Arriverà, prima o poi, il nero del lutto e le tristi pratiche delle successioni: eredità contese, divisioni dei beni; ultime volontà; sincerità inattese; ipocrisie per i posteri; pentimenti in extremis; rancori oltre il limite naturale e dichiarazioni di affetti.

Saltando oltre, articoli e commi ci portano nella campagna. E lì sì che è un tripudio di colori.
Il codice ci parla – per dirci dove piantarli – di noci e di castagni, di querce, di pini, di cipressi; di olmi, di pioppi, di platani; di viti e arbusti, di piante da frutta; di ontani e di robinie.
Ai colori della primavera e della vita ci riportano le regole che parlano di api che sciamano da un fondo a un altro; di conigli, di pesci, di colombi che fuggono, migrano, scelgono nuovi luoghi e nuovi proprietari.
E quando la natura si ribella, quando il cielo si fa plumbeo e scarica con potenza la sua rabbia – sino a stravolgere l’aspetto dei luoghi –, il diritto è lì, a dire cosa fare di quelle rive dal profilo mutato, di quelle nuove isole sorte in mezzo a un fiume, di quegli alvei che le acque hanno abbandonato.

C’è, ancora, il grigio ferrigno dei contratti. Dei patti da rispettare, delle cose, del danaro.
Dal codice civile a quello penale cambia il tono, l’argomento, e cambiano anche i colori.
Tutto si fa più severo, e anche più vivido.
C’è il reato e il dolore delle vittime; c’è la pena, e la sofferenza dell’espiazione.
È certo che il rosso e il nero sono, qui, padroni del terreno.
Il rosso delle passioni, della rabbia, della violenza; il nero della crudeltà, dell’occultamento, della frode. Il giallo, che per consuetudine letteraria segna, nella nostra fantasia, le copertine del delitto.
L’esercizio potrebbe continuare…; ma il colore non è solo dei libri e nei libri che parlano di diritto.

A domanda precisa un’amica ha risposto con sicurezza: «Il diritto è bianco». Ho capito che per lei, idealista e non giurista, il diritto è Diritto. Diritto con la maiuscola: si raddrizzano i torti; si difendono i deboli; si tutela la libertà.
È così? Dovrebbe esserlo. E forse è proprio questo il fine ultimo della ‘battaglia per il diritto’: un Diritto ‘bianco’; non minaccioso, rassicurante, imparziale.
Eppure – come sa chi, nella propria vita, ha dovuto varcare la soglia di un tribunale – non di rado le prospettive sono oscure. Chi domanda giustizia entra a volte in un tunnel lungo e tenebroso, il cui sbocco si vedrà, se si vedrà, quando le ragioni del contendere saranno forse dimenticate.
Come nel film di Orson Welles – dal romanzo di Kafka – il colori del Processo possono essere cupi; i colori dell’assurdo.
Perché, spesso, il diritto è enigmatico; e la Giustizia si ammanta del colore del mistero.

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