CORPO
L’anoressia nervosa
di Matteo Balestrieri
Per cercare di comprendere l’anoressia nervosa è utile soffermarsi su alcuni concetti preliminari.
In primo luogo, si può decidere di non mangiare solo quando il cibo è disponibile. L’anoressia nervosa è quindi necessariamente una malattia possibile in società opulente come la nostra, dove i supermercati si moltiplicano e le fasce di popolazione svantaggiate finiscono per mangiare male o anche poco, ma solo raramente soffrono di quella fame che pochi decenni fa era invece comune anche nel nostro Paese.
In secondo luogo, la comunicazione del proprio disagio avviene utilizzando i mezzi che si hanno a disposizione e nei modi che la cultura preminente modella. Questo spiega perché l’andamento della espressività dei disturbi si è modificato nell’ultimo secolo. Cento anni fa era molto più comune ritrovare giovani con vere crisi isteriche, mentre negli ultimi decenni sono fortemente aumentate le depressioni e le crisi di panico. Vi sarebbe molto da dire sui motivi di questi cambiamenti, ma qui ci fermiamo ad alcune riflessioni sulla anoressia nervosa, disturbo che è fortemente aumentato negli ultimi decenni.
L’anoressia nervosa è caratterizzata da una progressiva perdita di peso dovuta a una notevole riduzione dell’apporto calorico (alimentare), da un’ostinata ricerca dell’esilità e della magrezza e da una patologica paura di ingrassare. Le anoressiche sono spesso adolescenti perfezioniste e competitive, con una identità fragile, che si appoggia sulla considerazione che riescono a suscitare negli altri. Sempre impegnate a ottenere il massimo, sono in genere molto preoccupate per il rendimento scolastico e per ogni altra prestazione che si trovano ad affrontare. Per ridurre il peso, molte pazienti effettuano esercizio fisico estremo (sottotipo restrittivo) o mettono in atto comportamenti di eliminazione come il vomito o l’abuso di lassativi (sottotipo bulimico-purgativo). Le anoressiche restrittive hanno in genere un atteggiamento ostinato e perfezionista, a volte ascetico, mentre le bulimico-purgative presentano tratti di maggiore impulsività.
Che cosa vuole comunicarci l’adolescente anoressica? L’elemento di contenuto più evidente è il rifiuto, che si esprime attraverso l’astensione dai beni necessari alla sopravvivenza. A questo proposito, si può ricordare che il comportamento ascetico (che include l’astensione attraverso il digiuno e il rifiuto degli agi del mondo) era praticato da protagoniste della religione cattolica come Caterina da Siena, Veronica Giuliani, Chiara d’Assisi. Delle oltre duecentocinquanta italiane vissute tra il 1200 e i nostri giorni che sono state ufficialmente riconosciute dalla Chiesa cattolica romana come sante, beate, venerabili o serve di Dio, più della metà mostrava in effetti chiari sintomi di anoressia. Senza voler nulla togliere all’intenzionalità trascendente, vi è da notare che molte di esse venivano da famiglie senza problemi economici, e il loro digiuno aveva il significato di un vero rifiuto dei beni terreni disponibili.
Tornando alle nostre anoressiche, il loro rifiuto è in primo luogo rivolto alle relazioni intra-familiari. Dobbiamo però fuggire dalla facile colpevolizzazione dei genitori. Mentre, infatti, in diversi casi è possibile cogliere comportamenti genitoriali chiaramente patologici, in altrettanti casi è accaduto che si siano progressivamente distorti i processi comunicativi tra tutti i componenti della famiglia, con l’effetto di un percorso verso l’anoressia di uno di essi. In questi casi l’adolescente è la paziente ‘designata’ della famiglia, nel senso che ella esprime un disagio comune e mantiene il sintomo perché funzionale all’equilibrio familiare.
Un’altra realtà rifiutata dall’adolescente anoressica è quella della crescita. Il rifiuto di una identità femminile piena viene manifestato attraverso la repressione delle proprie necessità e dei propri istinti biologici: la fame così come l’appetito sessuale. Allorquando la rappresentazione della propria madre come modello femminile è deficitaria, la ricerca di identità utilizza l’idealizzazione di modelli esterni, spesso quelli televisivi della moda e dello spettacolo. Per molte ragazze il desiderio di emulare la linea di modelle e ‘veline’ è una spinta ad adottare comportamenti di restrizione alimentare e a entrare in conflitto con i limiti biologici. La restrizione alimentare e le condotte di controllo e di eliminazione sono comportamenti in cui la paziente si identifica fortemente, fino a scegliere un’‘identità anoressica’ come status socialmente desiderabile.
L’anoressia inizia spesso in modo graduale e insidioso con una progressiva riduzione dell’introito alimentare, motivata da una dieta ipocalorica per motivi estetici, da generiche difficoltà digestive, da malattie o interventi chirurgici. Nel periodo che precede l’esordio del disturbo, si rilevano in molti casi significativi eventi stressanti o cambiamenti di vita. La riduzione dell’apporto calorico può essere realizzata attraverso una riduzione progressiva delle porzioni o attraverso l’eliminazione drastica dei cibi maggiormente ipercalorici; alcune ragazze si limitano ad assumere esclusivamente due o tre tipi di cibo. Di solito nel periodo iniziale vi è una fase di benessere soggettivo che può dipendere dall’aumento dell’autostima prodotto dalla capacità di controllare la fame, dalla perdita di peso e dal miglioramento della propria immagine. Spesso accade che i familiari si accorgano del problema soltanto dopo molto tempo, quando la ragazza è dimagrita di molti chili. Le preoccupazioni riguardo alla linea e alla forma del corpo si trasformano progressivamente in una vera e propria paura di ingrassare che non diminuisce con la perdita di peso. Con il progredire del disturbo si manifesta una continua e ossessiva presenza del cibo al centro di ogni pensiero (è il cosiddetto ‘pensiero prevalente’): molte ragazze collezionano ricette, contano le calorie, impiegano ore a mangiare e tagliano il cibo in minuti pezzetti; alcune cucinano preparazioni molto elaborate, preoccupandosi dell’alimentazione dei familiari. Esse diventano più irritabili, depresse, e spesso sviluppano ossessioni per la pulizia, per l’ordine, per gli orari. Il rapporto con i familiari diventa teso e difficile, talvolta francamente ostile, e i tentativi di convinzione a mangiare hanno di solito l’effetto di rinforzare i propositi di digiuno e aumentare la spinta all’isolamento. Altre volte i rapporti familiari sono rigidi, formalmente corretti, e l’atmosfera familiare è carica di aggressività latente.
L’anoressia presenta spesso un andamento cronico, talvolta con recupero di peso e successive ricadute nel corso degli anni. Una buona percentuale di pazienti (superiore al 50%) presenta una remissione del disturbo, tuttavia anche nelle pazienti guarite persiste un certo grado di sofferenza psichica, o per il permanere di preoccupazioni e comportamenti disturbati riguardo al cibo o per la presenza di sintomi psichiatrici. La cronicizzazione si rileva in un 20% dei casi, sindromi parziali sono presenti nel 30% dei casi, la mortalità è del 5%.
Il trattamento dell’anoressia è complesso e i farmaci sono di poco aiuto. Nella maggior parte dei casi le pazienti non vivono inizialmente i propri comportamenti come una difficoltà, ma come un tentativo per risolvere i propri problemi. Esse non chiedono autonomamente un trattamento, ma lo fanno solo su pressione dei familiari. Il primo obiettivo è perciò quello di stabilire una alleanza tra paziente e curante. Tanto più l’età è giovane, tanto maggiore è la necessità del coinvolgimento dei genitori nel trattamento. Talvolta sono utili le terapie di gruppo. Il ricorso al ricovero ospedaliero può essere necessario, sia con l’obiettivo di un distacco dalla famiglia, sia – nei casi più gravi – per il recupero controllato del peso attraverso protocolli alimentari adeguati.