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La faccia rappresenta sicuramente la regione anatomica più rilevante nella vita relazionale dell’individuo. Essa costituisce il nostro ‘biglietto da visita’ e rappresenta il principale mezzo di comunicazione delle emozioni e dei sentimenti. È facile intuire quanto la perdita, anche parziale, di parti del volto possa influenzare negativamente la qualità di vita: il deficit, in questi casi, non è solo estetico e funzionale, ma comporta un drammatico impatto psicologico.

Gli sforzi delle scienze chirurgiche nel campo della ricostruzione facciale sono sempre stati conseguenti a queste considerazioni e ad essa si è sempre dato un valore tanto rilevante quanto quello attribuito ad altri interventi chirurgici ‘salvavita’.

Le condizioni che possono richiedere interventi di questo tipo sono essenzialmente tumori (sia benigni che maligni), traumi (balistici, incidenti stradali, aggressioni da animali), malformazioni e gravi infezioni (nei paesi in via di sviluppo) o necrosi da farmaci o radiazioni (nei paesi industrializzati).

Dal punto di vista storico, i medici dell’antichità hanno sempre considerato questo problema come tecnicamente irrisolvibile e solo dopo il medioevo ci furono alcuni chirurghi che idearono metodiche da applicare in tal senso. Alla fine del Seicento Gaspare Tagliacozzi da Bologna redasse il primo trattato sistematico di chirurgia ricostruttiva del distretto cervico-facciale. Le autorità religiose dell’epoca, però, non approvarono la sua opera, definirono ‘demoniache’ le sue tecniche e censurarono il suo trattato. Il risultato fu che per trecento anni, cioè sino al secolo scorso, la chirurgia ricostruttiva non venne più praticata.

Nel corso della prima metà del Novecento sono state descritte e codificate tutte le principali tecniche chirurgiche e demolitive in uso oggi. Ciò che invece è progressivamente e costantemente cresciuto è stato l’interesse per le metodiche chirurgiche ricostruttive e oggi il fronte più avanzato è quello della ‘micro-chirurgia ricostruttiva’. I notevoli progressi in ambito maxillo-facciale, con la possibilità di ricostruzione in un solo atto chirurgico di ampie perdite di sostanza, hanno consentito di ridurre notevolmente le menomazioni estetiche e funzionali conseguenti ad interventi chirurgici demolitivi e di ampliare i margini di resezione.

Microchirurgia significa operare su organi e tessuti attraverso la visione di un microscopio.

La prima descrizione di strategia operativa per anastomosi microvascolare termino-terminale valse ad Alexis Carrel, nel 1912, il Premio Nobel per la Medicina. Si intuì subito, infatti, quanto ampi potessero essere i campi di applicazione di questa tecnica che divenne, negli anni successivi, la base dei reimpianti e dei lembi liberi. La tecnica microvascolare permise, inoltre, di poter trapiantare i piccoli organi degli animali da esperimento, consentendo alla ricerca scientifica di mettere a punto le terapie immunosoppressive che sono alla base della moderna chirurgia di trapianti d’organo nell’uomo.

I promettenti sviluppi della ricerca sulle cellule staminali non hanno sinora prodotto i risultati sperati per la preparazione in laboratorio di segmenti facciali. Il limite intrinseco, e forse insormontabile, risiede nel cosiddetto critical-sized defect, cioè le dimensioni massime di un difetto tissutale, oltre il quale un innesto non rivascolarizzato è destinato al fallimento. La ricerca biomedica sulla generazione di osso da cellule staminali utilizza come modello di architettura di riferimento l’osso autologo che, sino ad ora, è stato riprodotto solo in maniera ‘approssimativa’. Sappiamo che un innesto non rivascolarizzato di questo tipo è destinato a fallire se più grande di 4-5 cm. Se fosse possibile in futuro sintetizzare un osso identico all’autologo, questo limite rimarrebbe invariato. La ricerca ha quindi indirizzato nuovo interesse alla microchirurgia per studiare le possibili applicazioni di micro-rivascolarizzazione sui tessuti generati da cellule staminali.

In attesa di risultati concreti si sono recentemente e parallelamente sviluppate due linee di ricerca clinica applicata nel campo della ricostruzione facciale: la ricostruzione con lembi tissutali prefabbricati e il trapianto facciale da cadavere.

I lembi prefabbricati sono segmenti compositi tissutali che utilizzano tessuti autologhi ‘coltivati’ nel corpo stesso del paziente (invece che in laboratorio), in determinate aree che possono essere dotate di autonomia funzionale dopo autotrapianto microchirurgico. I limiti ed i risultati a distanza non sono ancora definiti ed accettabili.

Sull’altro fronte, è noto il clamore mediatico del primo trapianto di faccia da cadavere, realizzato nel 2006 dall’équipe francese guidata dal chirurgo maxillo-facciale Bernard Devauchelle. Più che un ‘trapianto di faccia’, si trattò di un trapianto del naso e dei tessuti molli della regione lateronasale e periorale, in una donna gravemente sfigurata da un morso di cane. Quel trapianto ha causato grande risonanza anche all’interno della comunità scientifica, poiché ha sollevato dibattiti e divergenze di opinioni in merito alle numerose problematiche ad esso implicate.

Il fatto che qualche équipe chirurgica avrebbe tentato il trapianto di faccia da cadavere, lo si sentiva ‘nell’aria’ da tempo. Numerose pubblicazioni sulla fattibilità tecnica del gesto, con studi su cadaveri ed esperimenti su ratti, avevano infatti preceduto il 2006. Già nel 2004 il Working Party on Facial Transplantation (comitato di esperti in seno al Royal College of Surgeons), aveva pubblicato i limiti medici e non, relativi all’attuazione di un trapianto facciale.

I timori erano infatti molti e motivati. Come dall’esperienza del primo trapianto cardiaco nel 1960, sappiamo che in questi casi è elevato l’interesse ad essere ‘tra i primi’. Infatti nei due anni seguenti il 1960, più di 100 équipe riportarono di aver eseguito un trapianto cardiaco. È interessante però notare che tra il 1962 e il 1973 nessun gruppo si cimentò nuovamente nell’impresa, a causa degli scoraggianti problemi incontrati nei primi casi.

Circa un anno dopo il primo trapianto, un secondo trapianto facciale venne riportato dalla Cina. In questo caso si trattava di un uomo sfigurato per un terzo del volto da un orso.

A breve distanza un terzo trapianto, con ricostruzione dei due terzi del volto, venne eseguito da un’équipe di Parigi in un uomo gravemente deturpato da una neoplasia benigna.

Il quarto e, ad oggi, ultimo trapianto di faccia è stato eseguito meno di un anno fa negli USA. In questo caso, oltre ai tessuti molli, è stato trapiantato da cadavere anche lo scheletro dei due terzi superiori del massiccio facciale.

I dati ottenuti dai quattro trapianti facciali, da un trapianto di lingua (eseguito a Vienna) e da diciotto trapianti di mano sin’ora eseguiti da cadavere, hanno permesso di dipanare alcuni timori e focalizzare tutta una serie di problemi: problemi tecnici, di selezione del ricevente e del donatore, problemi immunologici, problemi medico-legali, problemi psicologici, problemi etici e, non ultimi, problemi economici.

Problemi tecnici. Forse è l’aspetto meno preoccupante. I problemi tecnici sono legati alla disponibilità di competenze multidisciplinari e all’utilizzo di specifiche attrezzature per poter garantire l’efficace svolgimento dell’intervento. Inoltre, sono da considerare la logistica e il rapido trasporto del donatore e/o dell’organo donato.

Selezione del paziente. L’accurata selezione del paziente è probabilmente il compito più difficile per il medico. Il rapporto medico-paziente prevede che il medico proponga la terapia che, in scienza e coscienza, ritiene migliore e più indicata per il paziente (secondo le conoscenze della scienza in quel determinato momento). Quest’ultimo, dal canto suo, dopo accurato consenso informato, affida il suo corpo al medico aspettandosi dei risultati. È intuitivo quanto, in un campo ancora sperimentale come il trapianto facciale, quest’intreccio di norme etiche e medico-legali non sia facilmente applicabile.

In questi casi il medico non potrebbe arrogarsi la presunzione di una promessa di risultati precisi ed il paziente dovrebbe, con forte convinzione, capire di non poterli pretendere.

Naturalmente devono essere escluse condizioni mediche generali di salute che potrebbero controindicare la procedura. Dovrebbero inoltre essere escluse tutte le possibili strade alternative (in particolare le sostituzioni protesiche).

Selezione del donatore. A differenza di altri organi, dove devono essere rispettati criteri di immunocompatibilità, in questo caso devono essere rispettati anche precisi criteri di morfologia, razza e ‘somiglianza’ del donatore con il ricevente.

Inoltre, nonostante il consenso pre-mortem da parte del donatore, è opportuno ottenere il chiaro consenso dei familiari. Il Royal College of Surgerons, infatti, ammonisce di astenersi dall’esecuzione del trapianto facciale senza l’autorizzazione dei familiari e dei parenti stretti del donatore, nonostante sia stata espressa la chiara volontà del donatore stesso. Le ripercussioni di rivedere, in altro soggetto, i tratti del congiunto sono infatti imprevedibili e devono essere soppesate.

Problemi immunologici. Sono attualmente il problema principale. Il trapianto da cadavere implica necessariamente una terapia immunosoppressiva a vita per evitare la reazione di rigetto. Solo per questo vengono esclusi dalla possibilità del trapianto tutti i pazienti oncologici, che sono però la maggior parte dei pazienti che potrebbero beneficiare del trapianto facciale. In tutti i quattro casi riportati, si sono verificate, ad intervalli diversi, importanti reazioni di rigetto, risolte con incremento della terapia immunosoppressiva.

I dati sono però oggi ancora troppo scarsi per poter disporre di un protocollo standardizzato.

Problemi medico-legali. I problemi medico-legali fanno da pivot a tutta l’organizzazione del trapianto, condizionati dalla giurisdizione della nazione ospitante. Indubbia è la necessità di approvazione da parte di un Comitato etico locale così come del consenso informato da parte del ricevente e del consenso informato dei parenti del donatore, consultato il testamento biologico di quest’ultimo.

Problemi psicologici. Indubbiamente gli aspetti psicologici devono essere valutati con estrema attenzione nella fase di selezione del candidato, delineando qualsiasi turba presistente che possa precipitare nella delicata fase post-operatoria. Il candidato deve accettare con coscienza di avere sul suo volto parte dei tratti di un’altra persona. Deve esse pronto ad affrontare un intervento chirurgico impegnativo una lunga degenza ed una complessa fase di riabilitazione. Tutti i quattro teams hanno ritenuto indispensabile attuare un counselling psicologico sui familiari del donatore.

Tuttavia è stato riportato in letteratura che i quattro soggetti sottoposti a trapianto facciale non hanno manifestato particolari problematiche psicologiche nel post-operatorio; mentre una significativa percentuale dei diciotto soggetti sottoposti a trapianto di mano hanno avuto estreme difficoltà ad accettare quell’arto ‘estraneo’. Verosimilmente questo fenomeno è dovuto all’enorme beneficio di reintegrazione sociale determinato nei quattro soggetti sottoposti a trapianto di faccia; una deprivazione che, forse, i soggetti con amputazione di arto non avevano dovuto patire.

Problemi etici. I problemi etici sono stati trattati dai diversi comitati che si sono riuniti in previsione dei trapianti facciali effettuati. Rimangono quelli che possono essere sollevati in ragione di legittime motivazioni culturali e religiose differenti da quelle che hanno portato ai quattro precedenti pareri positivi.

Problemi economici. L’aspetto economico non può essere trascurato. Tutti i quattro gruppi hanno riferito di essere stati sponsorizzati nella ricerca da fondi di enti privati. Al di là dei costi dell’intervento e della lunga degenza, una struttura che propone un trapianto facciale deve poter garantire a vita al ricevente tutti i controlli e le cure necessari.

Trapiantare la faccia non è quindi solo un complesso atto chirurgico, ma anche la ricostruzione di una personalità che si esprime attraverso il volto nella trasmissione delle emozioni.

È probabile che una ‘nuova faccia’ si modelli sulla personalità dell’individuo e che un ‘nuovo’ viso sia meglio di quello malformato o orrendamente mutilato.

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