CRAC

Fu una sorpresa, quando leggevo per la prima volta, da ragazzo, i fumetti di Hugo Pratt, scoprire che il suono che facevano i fucili quando sparavano non era il solito bang delle pistole, bensì un molto più succoso e saporito crack! L’onomatopea era sorprendente ed efficace. Sorprendente perché non mi era mai capitato di incontrarla. Efficace perché c’era qualcosa nel suono evocato dalla sua sequenza di lettere che mi appariva più complesso e realistico di quanto non ci trovassi in bang.

A ben guardare i fumetti di Pratt, si può comunque osservare che il suono crack non è appannaggio esclusivo dei fucili. Pure certe pistole lo producono, mentre altre si limitano al semplice bang. A un’osservazione più attenta delle vignette, sembra di capire che si tratta di pistole più grosse e rumorose.

Se cerchiamo nel dizionario (The Oxford Dictionary) la differenza tra bang e crack, troviamo che mentre bang richiama l’esplosione (o l’impatto), e tutte le sue sfumature di senso ruotano intorno a quel concetto, crack aggiunge a quel medesimo senso una serie di specificazioni: «sudden sharp or explosive noise (of whip, rifle, thunder)» (in corsivo quelle che mancano a bang). Inoltre crack possiede una seconda galassia di significati che hanno a che fare con il rompere, il frantumare.

Crack è dunque, complessivamente, il suono di un’esplosione improvvisa, come di frusta, fucile, tuono, collegato al frantumarsi di qualcosa. Non c’è dubbio quindi che, nella semantica della lingua inglese, un crack sia qualcosa di più forte e impressionante di un bang.

Tuttavia, per un fumetto destinato a essere letto prima di tutto da persone che non parlano l’inglese, molto più importante della dimensione semantica sarà quella fonetica, con le sue inevitabili componenti onomatopeiche. E la fonetica in gioco, una volta di più, non sarà quella della lingua inglese, bensì quella dell’italiano, attraverso la cui mediazione il lettore modello di Pratt legge anche queste onomatopee (benché, tutto sommato, almeno per questi due termini, la lettura italiana e quella inglese non siano poi così differenti).

Prima di tutto, intanto, bang e crack condividono il suono vocalico ‘a’. Può apparire strano che la vocale più aperta si trovi proprio al centro dell’onomatopea di un’esplosione. Dovremmo preferire semmai i suoni più cupi ‘o’ oppure ‘u’, come in pom o in bum. Tuttavia è la ‘a’ la vocale con cui possiamo esprimere la massima potenza di emissione della voce, proprio per la posizione aperta della bocca – come mostrano i cantanti lirici, che tendono a trasformare in ‘a’ tutte le vocali sottoposte a sforzo. Quindi è la ‘a’ a permettere alla nostra voce di esprimere al meglio l’effetto di un’esplosione, poiché – evidentemente – la componente di improvvisa potenza è più importante di quella di cupezza. (Certo, vi sono casi, nel fumetto come altrove, in cui la situazione è differente; eppure pom e bum restano onomatopee da contesti comici, quasi nomi convenzionali dei rispettivi suoni, con pochissima forza drammatico-evocativa!)

Veniamo ora alle differenze. Bang è caratterizzato dall’inizio in ‘b’ ovvero una labiale esplosiva sonora, una vera e propria piccola esplosione di sonorità, liberata di colpo da un’apertura delle labbra che cedono alla pressione interna. La sonorità viene poi ripresa e proseguita dalla vocale e poi dalla conclusione ‘ng’, una nasale (dunque necessariamente sonora) con marca conclusiva – come una piccola eco dell’esplosione iniziale.

Crack non ha consonanti né esplosive né sonore. È dominato dal suono occlusivo velare palatale sordo della ‘c’ dura, con il quale l’espressione inizia e si conclude, ma al suo centro c’è la liquida dentale vibrante ‘r’. Non viene messa in opera dunque nessuna vibrazione ronzante, nemmeno quella che segue l’esplosione iniziale della ‘b’ di bang, ma c’è come una durezza che improvvisamente e rapidamente vibra come per uno schianto, schianto che si conclude con la medesima durezza iniziale. La vibrazione sonora della ‘a’ si trova qui isolata, come un grido nel mezzo dello schianto.

Se bang è una compatta e coerente esplosione di vibrazione sonora, crack è il suono composito di una durezza drammaticamente schiantata. Al lettore italiano appare strano, forse, ritrovarlo nei fumetti americani come onomatopea del tuono, eppure questa stessa combinazione di fonemi si ritrova in un piccolo capolavoro di Giovanni Pascoli, lettura obbligata dei nostri licei: appunto, Il tuono.

E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, con fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.

Guarda caso, il terzo verso, che è quello in cui il tuono si manifesta, premette all’esplosione sonora delle ‘b’ ed ‘m’ proprio una ‘r’ (‘rimbombò’), mentre la parola ‘schianto’, con la sua ‘c’ dura e la ‘a’ gridata, fa la parte stessa dell’onomatopea dell’esplosione. La ‘r’ da parte sua (‘tratto, con fragor d’arduo dirupo che frana’, ‘rimbombò, rimbalzò, rotolò’, ‘rimareggiò rinfranto’) rappresenta prima il suono della preparazione e tensione che apre l’esplodere, e poi quello del brontolio successivo.

Sappiamo tutti che le parole di una lingua sono artifici convenzionali. Eppure, quando una medesima parola ha tanto successo anche attraverso lingue differenti, e questo successo non riguarda solo il suo valore onomatopeico, forse potrà essere il caso di studiarne la forma fonetica, alla ricerca di qualcosa che convenzionale non è, ma nemmeno del tutto onomatopeico. Questa durezza che va in frantumi, dentro un crack, non è solo quella di un materiale solido che produce, rompendosi, un suono udibile – come ben sanno gli analisti finanziari, i tossicomani, gli hacker e tanti altri. L’efficacia della lingua non si produce solo attraverso una semantica adeguata.

multiverso

8-9