DUE

Narrano i Vangeli che Giuda si avvicinò a Gesù Cristo e gli diede un bacio. Quello era il segnale per i soldati. Era lui che avrebbero dovuto arrestare e portare in giudizio. Matteo è preciso nel riportare l’episodio: «Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve, Rabbì!”. E lo baciò. E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono» (Matteo, 47-50). Nella Cappella degli Scrovegni di Padova, Giotto ha immortalato quest’episodio agli inizi del Trecento, nelle sue famose Storie di Cristo e della Vergine.
Cristo guarda negli occhi Giuda. Non si ritrae. Sa con certezza che lui è un traditore, glielo aveva anche detto: «Tu mi tradirai». Non c’è indecisione, non c’è giudizio. È una cosa che va fatta, il tradimento ci deve essere, perché il destino si compia. E, quasi a confermare che il tradimento è uno dei sentimenti della natura umana, l’evangelista Marco fa dire a Gesù, la sera precedente, rivolto a Pietro che ha affermato con impeto che lui sarebbe stato sempre fedele: «Prima che il gallo canti tu mi tradirai tre volte».
Il tradimento e la fedeltà: due concetti cardine della vita umana. Ogni società considera la fedeltà come valore assoluto. La sua stessa esistenza si basa su questo principio. Fedeltà familiare (lo si prescrive nei matrimoni), fedeltà religiosa, politica, economica, statuale… Chi tradisce è un reietto, non ha giustificazioni, né scampo. ‘O si è con noi o contro di noi’ è una frase che ha una sua storia, è l’esempio di un bisogno di sicurezza e di potere che si conquista solo con la fedeltà. Il tradimento è ancora più infame perché, in quest’ottica, la persona (il gruppo, la nazione…) sta dichiarando esplicitamente di esser ‘con’, mentre è ‘contro’.
Quale sia il nesso di questa premessa con il gioco è presto detto. Come ci ha spiegato Johan Huizinga (Homo ludens, 1939), anche i giochi fanno parte della cultura di un popolo e ne rappresentano lo specchio. Noi ‘giochiamo’ i modelli della società del nostro tempo. La cultura occidentale dà valore alla competizione economica poiché si pensa che essa sia alla base dello ‘sviluppo’ e del benessere sociale. E infatti i giochi oggi più diffusi e apprezzati sono quelli dove prevale l’opposizione, lo scontro e la lotta. Il messaggio che passa è che, per competere occorre formare delle lobby, dei raggruppamenti. Ecco le squadre di gioco. Dove un gruppo vive per opporsi ad un altro. Altra questione: si pensa che lo scopo della persona sia raggiungere il successo; si gioca, a tutti i livelli, per il primato, la coppa, il primo posto, non per il piacere di farlo. Ancora: si ritiene democraticamente corretto concedere pari opportunità? Ecco che si stabiliscono livelli di competizione separata: dai pulcini, ai dilettanti, alle donne, ai professionisti, ai diversamente abili…
Anche il valore della fedeltà si rispecchia nel gioco. Sarebbe impensabile vedere una partita di pallone dove un portiere ‘tradisce’ la propria squadra e lascia passare il pallone degli avversari. Quando questo succede (e gli scandali del calcio ne sono un esempio), si grida al tradimento, si inveisce contro i ‘Giuda’ che hanno comprato o venduto la partita. Il valore della fedeltà sembra stia alla base del successo nel gioco. Forse. Perché la Teoria dei giochi, analizzando il ‘dilemma del prigioniero’, ha elaborato ipotesi differenti: due giocatori che sono stati arrestati vengono interrogati separatamente; ciascuno può tradire o non tradire l’altro, e per ogni tipo di comportamento ne trarrà vantaggio o sconto di pena. La Teoria dimostra che per i due giocatori ‘tradire’ risulta la strategia dominante e che gli incentivi di sconto di pena individuali li spingono entrambi a farlo. Come dire, fedeltà e tradimento non sono due opposti inconciliabili. Tocca a ciascuno valutare se ‘conviene’ o meno passare da una fedeltà (apparente) ad un’altra (altrettanto illusoria).
Fedeltà e tradimento non corrispondono a ‘bene’ o a ‘male’. Cristo non condanna Giuda per il suo atto, e avverte Pietro che anche lui tradirà. Sembra così volerci dire: il tradimento fa parte dell’uomo, esercitatevi a comprenderlo e a gestirlo. Paradossalmente, la stessa presenza del Cristianesimo si basa su un bacio traditore. Se non ci fosse stato, niente calvario e niente Resurrezione. E niente Chiesa. Gesù ci dice che tocca a ciascuno di noi sapersi destreggiare nel compiere la scelta giusta. E questa non è un’operazione facile, perché subentra il difficile rapporto fra etica personale ed etica condivisa. Giuda ricevette trenta denari, i calciatori oggi prendono molti soldi per compiere i loro ‘tradimenti’. Ieri come oggi, non è solo sanzionando il tradimento che si risolve la questione. La sua regolamentazione sociale è assai diversa da cultura a cultura: c’è chi vorrebbe ancora vedere le donna infedele lapidata e chi non considera ignominia la separazione coniugale, conseguenza di un nuovo amore.
In alcune attività ludiche della tradizione infantile e giovanile è prevista l’esperienza del tradimento. Nel classico gioco dei ‘quattro cantoni’, ogni partecipante che si scambia di posto con un compagno di angolo può, se vuole, trasformare il suo invito allo scambio in un ritorno nel proprio angolo. In questo modo ‘tradisce’ l’amico che si fidava di lui, il compagno a cui aveva promesso il suo posto. E questi si ritrova probabilmente a perdere il proprio angolo e ad andare al centro del quadrato. Perché, c’è da chiedersi, i bambini ‘traditi’ continuano a giocare e non prendono a pugni chi li ha traditi? Perché le regole del gioco prevedono questo esercizio di tradimento. Assoggettandosi alle regole, ogni bambino sa che il tradimento ci potrà essere e che lui dovrà imparare a gestirlo dovendo impersonare sia colui che lo produce, sia colui che lo subisce.
Nel gioco sportivo ‘nani, giganti, uomini’ due squadre si fronteggiano. Ciascuna si troverà ad inseguire o ad essere inseguita dall’altra, a seconda delle decisioni prese dal gruppo e a seconda del caso (esse non conoscono le scelte dell’altro gruppo, così come avviene nel ‘dilemma del prigioniero’, dove un prigioniero non conosce le scelte dall’altro). Ad ogni sequenza, ogni singolo partecipante dovrà passare, se catturato, negli effettivi dell’altra squadra. Nella fase successiva quel giocatore si troverà a dover contendere la vittoria ai propri (ex) compagni di squadra e, per sorte di gioco – non è escluso infatti che gli accadrà nei passaggi successivi –, di ritornare nuovamente nella squadra che aveva prima ‘tradito’. In un andirivieni di fedeltà spostate da un gruppo a un altro, e in una serie di passaggi che relativizzano l’idea di fedeltà e di appartenenza a un gruppo. Al termine della partita (se mai questa avrà termine, perché teoricamente potrebbe essere infinita) ci sarà una sola squadra che avrà assorbito tutti i giocatori. Chi può dire di essere stato il vincitore e di non aver mai ‘tradito’?
Perché nei giochi della tradizione si ‘insegna’ ai bambini e ai giovani a diventare dei piccoli ‘Giuda’? La risposta sta ancora nel Cristo, il quale indica a Giuda e a Pietro che tradire è umano, inevitabile, e che il tradimento va saputo accettare e anche controllare. Ciascuno di noi vive nel quotidiano una serie di ‘fedeltà sovrapposte’. E quando queste non risultano compatibili, la persona vive il dilemma se seguire una o l’altra, se tradirne una o tutte e due…
Guardiamo pure al tradimento con occhio severo, come fa il Cristo di Giotto con Giuda, ma impariamo a gestirlo – come un ‘bacio del gioco’ – perché ci toccherà, «amico» (come dice Cristo a Giuda), inevitabilmente, a dover tradire «prima che il gallo canti», qualcuno o qualcosa.

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