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Introduzione

La felicità può essere concepita come un approdo finale di un cammino individuale, ma anche come punto di partenza verso una dimensione esistenziale migliore, più appagante, più seducente, più soddisfacente. Perché la felicità è una qualità soggettiva: ciascun individuo è autorizzato a stabilire se è felice oppure no. Anche se è difficile essere felici e contemporaneamente esserne consapevoli. Quando si è consapevoli della propria felicità, essa appartiene già al passato (Natali 2014).

La felicità si mostra all’uomo come un processo di generazione e rigenerazione del suo essere e del suo esistere (Sotgiu 2013). Domandarsi, dunque, cosa sia la felicità e, per contro, cosa rappresenti l’infelicità significa porre una fondamentale questione di carattere filosofico e sociologico, perché determina il perimetro esistenziale di ciascun individuo e la base valoriale, su cui poggiano, di volta in volta, le società nel fluire della storia.

Esistono tante felicità. Ciascuna per ogni individuo, che riconosce quella propria attraverso le esperienze maturate e le aspirazioni coltivate (Davies 2016).

Il sentiero che conduce alla felicità non è mai ben segnato e delimitato. Le insidie e le scorciatoie fuorvianti sono alla portata di tutti e diviene sempre più complicato districarsi e restare immuni rispetto a fasulle o presunte prospettive di piacere e a ricette per raggiungere e assicurarsi uno stato duraturo di felicità (Prandstraller 1978).

La felicità rappresenta una sfida il cui esito non è mai così prossimo e soprattutto così certo. Anzi, proprio quando essa ci appare raggiungibile, improvvisamente si mostra sfuggente e mette in crisi lo stato d’animo e le emozioni dell’individuo. Se così è, la felicità rappresenta una costruzione, le cui fondamenta poggiano su un percorso formativo di natura etica e culturale, il cui approdo non può essere che la capacità di saper leggere la realtà e la sua rappresentazione. Resta però sempre valido un elemento fondamentale: non si è mai felici in senso assoluto ma sempre in relazione a qualcosa, che cambia nel tempo perché rappresenta le sedimentazioni dei valori predominanti in quel particolare momento (Bartolini 2010).

Varie interpretazioni di felicità

Nel libro La conquista della felicità, Russel (1947) riflette sul concetto di felicità, arrivando a sostenere che «The secret of happiness is to face the fact that the world is horrible» (Edwards et al. 1967, p. 256).

Lo scontento diffuso è incentrato su un’insoddisfazione determinata da una visione pessimistica della vita e del mondo (Griffin 2003). Una tristezza di fondo quale prodotto del vivere con una certa amoralità e pressapochismo (Catarinussi 2006, p. 89).

Perché lì dove non c’è la felicità immancabilmente prevale l’opposto: l’infelicità. Vale e dire una felicità mancata, un traguardo mai raggiunto, un anelito frustrato. L’infelicità risiede anche in un eccesso di aspettative incompiute o nel risultato di un modus vivendi ed operandi che genera resistenze e conflittualità (Silver 2013).

«Il contrario della felicità, l’infelicità, s’impone a noi con una forza equivalente. Non abbiamo più bisogno di analisi dello sfruttamento o della dominazione straniera per avvertire l’infelicità di chi è privato della propria vita dalla violenza, da una catastrofe naturale, da un dramma personale, dalla malattia o dalla repressione. Cause naturali e cause sociali s’intrecciano poiché ormai la causa conta meno dell’effetto, della scissione, della rottura del filo della vita, che non è soltanto esistenza biologica ma anche rete di ricordi e progetti, scambi e affetti, nello specchio dei quali ciascuno di noi riconosce il proprio volto e ascolta la propria voce. Nessuno ignora che l’infelicità ha spesso cause sociali o politiche e che la felicità presuppone anche la soppressione della dominazione e dello sfruttamento, ma non possiamo dimenticare che l’obiettivo finale è la felicità di ciascuno, non la costruzione di una società e di uomini nuovi» (Touraine 1998, p. 73).

Nella società contemporanea si assiste all’emergere di un concetto di felicità esclusivamente fondato sul rapporto con l’avere, ancorato ad una ferrea prospettiva individualista, dove si enfatizza il raggiungimento del benessere personale, escludendo qualsiasi contatto e relazione (Graham 2011). Ma la felicità non può essere misurata con criteri quantitativi ed i rapporti di indagine attestano come la crescita del benessere economico e dell’agiatezza non sia correlata a un parallelo aumento della stessa felicità o della soddisfazione personale (Daly 2011). La società moderna è caratterizzata da un’accelerazione progressiva verso altre mete. L’automazione e la trasformazione/semplificazione del lavoro in attività di supporto a macchine, che, di fatto, stanno sostituendo l’uomo, tolgono agli esseri umani la gratificazione della loro operosità (Bauman 2008, p. 10). Questo è il punto della situazione: la felicità dipende dal grado di soddisfazione personale e dall’autostima, conseguiti in virtù di un lavoro ben fatto; non dipende dall’abbondanza dei beni materiali a disposizione (Hastie et al. 2010). Bauman è convinto che chi aspira alla felicità deve mettere in gioco deliberatamente se stesso, decidendo e scegliendo (Bauman et al. 2014, p. 62). Il risultato è l’attiva costruzione della propria vita, che deve essere sottratta all’inerzia delle abitudini e alla ciclica ripetizione di vecchi cliché (Davis et al. 2010).

Dopo anni di retoriche sulla centralità dell’individuo proprietario, razionale, economicista e liberale, ci si è resi conto che le persone, in quanto tali, non sono quegli esseri egoisti che perseguono solo i loro interessi, bensì sono individui sociali (Arcidiacono 2013).

Pertanto, per riappropriarsi della propria esistenza è opportuno sganciarsi da una dinamica prevalentemente economicistica, recuperando il senso di una società di cui ciascuno non sia rappresentazione di interessi o di ruoli, ma di utilità sociale, di quello che effettivamente sa fare, di cultura, di tecnica, di esperienza, di creatività (Latouche 2011). «La felicità, dunque, sembra essere legata non solo alle reti economiche, ma anche alle relazioni sociali, alle relazioni intersoggettive. In questo modo, il riconoscimento dell’altro, della sua biodiversità, diventa un elemento strutturante della felicità individuale e sociale» (Latouche 2007, p. 14).

Il gioco, la realizzazione, la libertà e l’immaginazione restituiscono sensazioni di autonomia e felicità agli individui perché arricchiscono l’esistenza con emozioni, fantasie e desideri (Catarinussi 2000).

L’immaginario come premessa della felicità

L’immaginario diventa il campo di indagine privilegiato e più importante per comprendere la cultura e la società contemporanea. Per la prima volta nella storia del mondo quasi due miliardi di persone, soprattutto bambini e ragazzi, partecipano dello stesso mondo fantastico. Televisione, internet, videogiochi, giochi di ruolo, propongono miti, valori, modelli di comportamento che pervadono un’intera generazione dell’umanità. L’immaginario percorre la storia delle civiltà, è parte intrinseca dei gruppi sociali e in fondo, una società senza immaginario non potrebbe esistere (Maffesoli 2009).

L’immaginario è il substrato della vita mentale, la dimensione costitutiva dell’umanità. La potenza del sogno, la forza del simbolo e pure la matrice dell’immagine costituiscono una specie di fantastico trascendentale di cui l’individuo non può fare a meno. Immaginario è un termine che rinvia a un insieme vago di elementi: fantasmi, credenze, miti, ricordi, sogni, romanzi, finzioni che sono determinanti dell’immaginario di un individuo, ma anche di un’intera comunità che si esprime attraverso l’insieme dei suoi manufatti e delle sue credenze. Sono componenti strutturalmente connesse all’immaginario le concezioni prescientifiche, la fantascienza, i pregiudizi sociali, gli stereotipi, i credo religiosi, le produzioni artistiche che ‘inventano altre realtà’ (Marzo et al. 2013). Sul terreno sociale l’immaginario può essere ricondotto a tre grandi ambiti: la dimensione mitica dell’esistenza, quella che si riferisce ai miti dominanti di una data epoca, di una data cultura, di una nazione, di una generazione, di una classe sociale; la dimensione fantastica di un’altra società-mondo che si rintraccia nelle utopie, nei millenarismi, nelle ideologie e nelle credenze; la dimensione di un immaginario quotidiano, così come lo si rinviene negli oggetti domestici, negli svaghi e nei giochi (Wunenburger 2008).

Tutti gli individui attraverso il gioco soddisfano un bisogno essenziale di svago, di spettacolo, di attività funzionali soltanto al proprio godimento. Il bambino scopre per tappe successive il rapporto con il suo Io e il suo mondo attraverso il gioco sensoriale, motorio e mimetico (D’Amato 2007, p. 26). Giocare è ‘fare come se’, cioè ripetere un’azione non reale con supporti che la legano alla realtà assente; è una tappa essenziale da cui prende forma l’immaginario infantile. L’immaginario ludico assume una funzione transazionale, rassicura e diventa un ammortizzatore tra il mondo interno ed esterno. I giochi si estendono al mondo degli adulti per la ricerca del piacere (Caillois 1981).

Il gioco diventa frivolo, superfluo, gratuito, occasione continua per evadere dalla vita quotidiana, garantendo allo stesso tempo una specie di illusione, magica fonte di piacere (Huizinga 1938).

Dagli anni Settanta del secolo scorso il mondo fantastico dei bambini e dei ragazzi è popolato dagli stessi eroi (D’Amato 1999). Grazie alla televisione in ogni zona del pianeta esistono gli stessi personaggi riconosciuti e apprezzati dai bambini. Così come esistono giochi che mettono in contatto i giovani, che dispongono di un computer, di ogni zona del pianeta, indipendentemente dalla loro presenza fisica, offrendo loro l’opportunità di immedesimarsi e di combattere gli stessi protagonisti delle storie che frequentano.

L’universo infinito dei miti, degli eroi delle storie televisive, dei videogiochi, dei fumetti, dei libri per ragazzi e quello degli oggetti (gadget) che li accompagnano, è costituito da un flusso di immagini, suoni e cose che pervade l’umanità ed è in continua crescita esponenziale. Una fantasia composita ed omologata a livello globale, fatta di storie, di cartoni animati, di telefilm, di situation comedy e di giochi (Cappa 2008).

Mentre nelle fiabe si trovavano gli stessi tipi di personaggi distinti in due grandi categorie, i buoni e i cattivi, le novità del fantastico contemporaneo consistono soprattutto nell’evoluzione continua degli eroi che, con magie (Harry Potter), o stratagemmi ed evoluzioni (Pokémon) si trasformano continuamente. Le nuove storie seriali per bambini e per ragazzi hanno un nucleo centrale costituito da un elemento essenziale, ciò che i logici chiamano phras di azione (D’Amato 2007, p. 78).

I mondi di tutti i racconti sono inseriti in due sfere chiaramente separate: il mondo reale descritto dalle scienze e i mondi fittizi creati dall’arbitrarietà della fantasia. Ma con la mondializzazione dell’universo fantastico si attuano molteplici rinvii tra il reale e l’immaginario, fino a confonderli (Codeluppi 2013).

I personaggi con doppio ruolo e doppio status nei cartoni animati, nei libri e nelle sitcom riscuotano molto successo. Twilight, dove si alternano ragazzi, vampiri e lupi (Ortoleva 2013), o Shadowhunters, una saga di 12 volumi in cui sono presenti figure angeliche e demoniache, vampiri e licantropi. Si tratta di doppie identità che si esprimono con potenzialità diverse. Ne emerge come elemento condiviso una certa ambiguità come indefinizione e, quindi, partecipazione fusionale con il tutto. Ma paradossalmente è proprio per questo motivo che i ragazzi ci si identificano, perché l’ambiguità è la sintesi della cultura contemporanea che meglio rappresenta le circostanze sociali.

Conclusioni

La felicità è, da sempre, una creatura fragile, insicura, facilmente suggestionabile, e per questo può essere anche alterata (Götz 2010). La felicità è un sentimento che si estende nella durata, è gratitudine per ciò che si è ricevuto, è festa per la possibilità di donare, è pienezza dell’incontro con l’altro, nonostante i dolori e le sconfitte della vita, è fatta di aspettative, di speranza, ed è intessuta di futuro (Melnick 2014).

D’altronde, se l’individuo perde, nei miasmi della quotidianità, la tensione morale verso lo stato di felicità, la sua condizione esistenziale viene irrimediabilmente perduta e di quel fuoco, che arde dentro ognuno e che fa di ciascun giorno quello giusto per il raggiungimento di un maggiore grado di benessere e felicità, rimarrebbe una flebile fiammella destinata a spegnersi nell’oblio (Borgna 2010).

Per questo si aspira tanto alla felicità, intesa come fatica quotidiana che prova a dipanarsi tra mille difficoltà e falsi miti, che resta un dovere morale dell’individuo. Anzi, un suo inalienabile diritto che non può essere mortificato e fatto oggetto di scambio con falsi valori. Raggiungere lo stato della felicità non è, perciò, impresa semplice ed occasione di facile fruibilità. Anche perché la chimera di una felicità che si raggiunge in maniera troppo semplice, è una mera illusione (Risè 2014). La realtà dimostra che l’essenza della felicità si trova nella sua indefessa ricerca e l’approdo non è il raggiungimento di un sentimento assoluto e definitivo ma è la conquista di una tappa successiva. Senza tale afflato e tensione morale, l’uomo si smarrisce nelle pieghe della quotidianità. E se cade nella spirale della routine, senza ritorno e senza alcuna speranza ed aspettativa ne prospettiva verso il futuro, perde inevitabilmente significato e valore la vita stessa e la ragione profonda dell’umanità.

Per questo, per concludere, l’immaginario non è semplicemente una zona di irrealtà e un mondo effimero della vita, ma diventa un elemento in grado di restituire la complessità alla realtà nella quale vengono compiute le azioni e può essere di ausilio nella ricerca della felicità.

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