DUE
Legame a due
di Edoardo Boncinelli
Siamo nati per essere in due, ‘io’ e un ‘tu’ a priori imprecisato. Soprattutto internamente, abbiamo continuamente bisogno di un dialogo con un ‘tu’, che può essere la divinità, la mamma, o qualsiasi altro o altra cosa. Il motivo deve essere di quelli profondi, se il fenomeno ha una portata così generale. Non ci è dato sapere, tuttavia, se qualcosa del genere avviene pure negli animali. C’è da dubitarne, se non altro perché a loro, che non possiedono un vero e proprio linguaggio, non è concesso un dialogo interiore.
Qualcosa di simile si avverte però negli animali domestici, soprattutto nel cane, che sono stati in nostra compagnia per migliaia di anni. L’esistenza di un ‘tu’, un ‘tu’ specifico, non può essere dissociata dalla capacità di riconoscere, che non tutti gli animali hanno. La maggior parte dei mammiferi riconoscono nella prima età, ovvero nel periodo dell’allattamento: è fondamentale che una mamma riconosca i suoi cuccioli e che quelli riconoscano, non importa come, la loro mamma. Un cucciolo abbandonato a se stesso sarebbe infatti necessariamente perduto. Per il resto della sua vita, però, un mammifero medio non riconosce né figli, né genitori, né fratelli. Fanno eccezione, forse, alcuni animali domestici e alcune scimmie antropomorfe.
Noi non siamo animali qualsiasi, anche a prescindere dalla nostra evoluzione culturale. Restiamo cuccioli dipendenti per un periodo molto lungo, e ciò è dovuto al fatto che nasciamo con un cervello non ancora perfettamente sviluppato. Il nostro cervello cresce soprattutto dopo la nascita, con tutti i sensi già attivi. Tale fenomeno prende il nome di ‘fetalizzazione’ e impronta molto della nostra vita. Tra le conseguenze della fetalizzazione e della sproporzionata lunghezza del periodo delle cure parentali, caratteristico della specie umana, spicca una particolarità essenziale. Mi riferisco a quello straordinario fenomeno che chiamo ‘amore romantico’, un legame fortissimo, anche se talvolta temporaneo, tra un uomo e una donna, che ne informa e conforma ogni comportamento e pensiero: si accompagna all’attrazione sessuale reciproca e, indubbiamente, ha un grosso legame con la sessualità, ma è pure capace di vivere di vita propria, discostandosi dalle modalità della sessualità stessa anche in maniera molto marcata.
Come può accadere tutto ciò? All’inizio di tutto c’è il rapporto madre-figlio. Tale legame è mantenuto e rafforzato da un insieme di gesti ripetuti quotidianamente da entrambe le parti, e viene continuamente rinsaldato dai comportamenti innati di richiesta di accudimento rivolta dai piccoli. Un cucciolo che cade dal nido o anche solo perde il contatto con il corpo della madre lancia specifiche grida di richiamo, alle quali la madre non sa resistere.
Da questo nucleo primordiale di individualizzazione madre-figlio si possono spesso sviluppare un gran numero di altre relazioni. Ciò avviene soprattutto nelle specie caratterizzate da un periodo di apprendimento abbastanza prolungato e da una struttura sociale articolata in gruppi più o meno stabili. Entro certi limiti le due cose sembrano andare di pari passo. La struttura di gruppo, con la sua natura di rete di riconoscimenti personali diadici, deriverebbe cioè dal prolungato rapporto madri-figli e talvolta genitori-figli e, più specificamente, dall’importanza che le diverse specie attribuiscono alla cura della prole.
Affinché tutto questo si realizzi, occorre però che ci sia una nostra propensione ad ‘attaccarci’ a un altro individuo, nel nostro caso a un’altra persona. Tale fenomeno sarà poi rafforzato dal fatto che l’altro è appunto un essere umano, che condivide con noi molte capacità e disposizioni e che, a sua volta, può mostrare di gradire la nostra attenzione e comportarsi in modo da sollecitarci a mantenere viva o anche a rafforzare quella particolare affezione.
Veniamo all’amore vero e proprio, per eccellenza, cioè l’amore romantico, ordinariamente fra un uomo e una donna. Sull’amore è stato scritto tantissimo. Fra tutte le passioni di possesso e di aspirazione, la più forte e totalizzante è senza dubbio l’amore: il desiderio di avere una determinata persona tutta per sé. È il prototipo del sentimento e della passione, e l’elemento unificante di una miriade di stati emotivi. Le pene d’amore – perché non corrisposto, perché non corrisposto abbastanza, perché non corrisposto in tutto e per tutto al momento, perché tradito o addirittura vilipeso – sono il prototipo della sofferenza per un dolore di natura affettiva. Esse ci procurano la sensazione di vuoto per eccellenza e non ci danno pace: qualcosa in noi vuole disperatamente la persona amata e tutte le situazioni attive e passive connesse a questo desiderio.
L’amore non ci fa solo soffrire, anche se, quando accade, lo sentiamo con particolare evidenza. Al contrario ci fa agire e ci gratifica. Dà un senso alle nostre giornate e ci pone in uno stato d’animo positivo. Soprattutto oggi è possibile constatare che ogni storia, ogni canzone, ogni libro, ogni film, ruota essenzialmente intorno ad almeno una storia d’amore. Sembra che non ce ne stanchiamo mai. In una storia d’amore, felice o infelice, è facile immedesimarsi, così come è difficile farne a meno. È uno stato d’animo, e un nodo di sentimenti, che ci accompagna tutta la vita, anche se può avere fasi diverse, per intensità e persistenza.
Non esiste niente di più individualizzato e individualizzante della relazione d’amore. Per un periodo di tempo più o meno lungo la persona amata è unica, assolutamente unica: si ama quella specifica persona e nessuna la può sostituire, né oggi né mai.
Se è vero che l’amore per un uomo o per una donna è indubbiamente sostenuto dalla spinta sessuale finalizzata alla riproduzione, è anche evidente che si tratta di qualcosa di più sottile e di più coinvolgente della sola scelta sessuale e dei suoi rituali. Se l’amore non è quasi mai scevro dal desiderio, non si può ignorare la gamma delle forme che questo può assumere. Anche se sappiamo che il tutto è finalizzato a favorire l’accoppiamento degli individui interessati, ciò che avviene prima, durante e dopo è troppo ricco per poter essere ridotto a pura sessualità.
Quando si adocchia e si desidera una bella donna, o un bell’uomo, se ne apprezzano certe caratteristiche fisiche, e magari certe movenze, che appartengono al capitolo dell’attrazione sessuale e delle sue esigenze biologiche generali. Nella donna, ad esempio, l’uomo cerca, nell’ordine: la certezza che sia donna, poi che sia abbastanza sana e, infine, anche se più sfumata, una ragionevole conferma che potrebbe essere una buona madre per i suoi figli; e qualcosa di analogo vale nei confronti degli uomini. L’attrazione sessuale ha insomma le sue leggi, generali e poco vincolanti, ma abbastanza generalizzabili. Nell’amore no. Nell’amore non ci sono regole e anche quelle dell’attrazione sessuale possono essere trascurate o sovvertite, prova questa, se ce ne fosse bisogno, della relativa autonomia del sentimento d’amore dalla sessualità.
Alcuni aspetti riguardanti le forme che l’amo-re fra uomo e donna assume nella nostra specie si possono comprendere meglio alla luce del fenomeno della fetalizzazione di cui ho parlato. Per molti anni, infatti, il cucciolo dell’uomo si comporta come se fosse un neonato o quasi. Deve conquistarsi continuamente l’attenzione e la benevolenza della madre, o magari di entrambi i genitori, e deve essere disposto a seguirli e ad ascoltare i loro insegnamenti e i loro ammonimenti, per non rischiare troppo. Questo atteggiamento di dipendenza protratta informa molte delle nostre azioni ed entro certi limiti fa dell’essere umano un eterno cucciolo, un ‘fanciullone’.
Un tale pronunciato infantilismo condiziona in maniera notevole la vita amorosa dell’essere umano, che cerca allo stesso tempo di soddisfare il proprio istinto sessuale e di trovare una specifica figura genitoriale-filiale alla quale attaccarsi. D’altra parte, poiché nel rapporto amoroso i due partner non possono ovviamente comportarsi entrambi contemporaneamente come figli, occorre che, a turno, i membri di una coppia assumano un ruolo filiale e un ruolo genitoriale. Questo, in effetti, è ciò che si osserva comunemente. Per certi aspetti della vita di coppia uno dei due tende a giocare il ruolo del figlio, mentre per altri è costretto, per così dire, a svolgere quello di padre o di madre. Per altri aspetti, o in alcune particolari condizioni, i ruoli si invertono. L’amore romantico tipico della nostra specie rappresenta quindi una forma peculiare di comportamento riproduttivo e di scelta sessuale che risente in maniera determinante della fetalizzazione caratteristica dell’animale uomo. Occorre considerare, infine, che per un animale inferiore è necessario sopravvivere fino all’età riproduttiva e procreare, mentre per un animale superiore, e per l’uomo in particolare, è necessario anche riuscire a portare la propria prole sana e salva almeno fino alla sua propria età riproduttiva. Metterla al mondo e basta non è assolutamente sufficiente. È solo una parte dell’opera.
La dualità è allora un fatto primario o una derivazione contingente?