DUE

L’idea di doppio è straordinariamente alla base di questa serie fotografica di Paolo Gioli dal titolo Sconosciuti, in ogni momento della sua costruzione e da ogni punto di vista, sia percettivo sia concettuale. La serie ha visto la luce in due tempi: un primo momento data al 1994, ben vent’anni fa, un secondo recente momento al 2012-13, molti anni dopo, come in una lunga maturazione.

La storia vuole che Gioli riceva in dono dei negativi, in vetro e pellicola, di un vecchio studio di un fotografo ritrattista. Osservando il verso di questi negativi (non il lato ‘principale’ ma l’altro, quello ‘nascosto’) che recano immagini di volti nate per certificare delle identità, rintraccia fitti intrecci di segni, complessità di impronte e depositi di materia creati dal lavoro di ritocco del fotografo, e poi dal tempo. Illumina le superfici con una luce radente rivelatrice, le fotografa, stampa, e i piccoli segni inconsapevoli e trovati già pronti assumono la pienezza e l’energia di gesti creativi. Diventano, per un improvviso nuovo destino altro da quello originario, elementi di un lavoro di costruzione e insieme de-costruzione del volto, di decisa natura grafico-pittorica. Gioli si impadronisce dei segni fatti da una ignota mano altra dalla sua e li rianima, come fossero nati dalla sua stessa mano, dalla sua mente scopritrice.

Come spesso usa fare, Gioli agisce su coppie di contrari: la mano del fotografo diventa la sua mano, il verso del negativo recto, la ‘banalità’ della fototessera si fa evidente e raffinata elaborazione artistica, l’anonimità dei volti sconosciuti si trasforma nel laboratorio visivo di uno scavo dentro il grande tema dell’identità, il silenzio a cui erano ridotti i vecchi negativi conservati nello studio del fotografo diventa il dramma di volti che rinascono a una nuova vita. Ma dai negativi non nascono dei positivi, il cui compito sarebbe quello di raccontare l’‘esterno’ dei volti, il lato conscio dell’esistenza, la veglia: nascono invece altri negativi, che parlano della loro eventuale interiorità, di inconscio dunque, di sonno e di sogni.
Nascono ma, scuri, parlano di morte.

Gioli ‘smaschera’ il trucco che è contenuto nel ritocco, cioè rende palese il tormento misterioso di segni in realtà nati per migliorare o abbellire le fisionomie delle persone ritratte. Ma, come sappiamo, un mistero non si lascia mai svelare. E infatti Gioli, nel disvelamento del lavoro compiuto dal fotografo, crea maschere, volti urlanti, piangenti, e nuove finzioni e nuove storie in negativo mai esistite nel mondo reale.

Nel 2009 questi scuri volti graffiati, come incisi, macchiati, posti in stringente sequenza diventano il film Volto sorpreso al buio, nel quale una sorta di volto unico racconta se stesso modulandosi continuamente, nascendo e morendo negli oscillanti movimenti di una tumultuosa e pulsante metamorfosi.

Nel 2012-13 Gioli decide di stampare quei negativi tormentati dai segni ottenendo delle ‘normali’ stampe positive, in un gesto di ritorno alla realtà. Ora ogni volto si pone in dialogo con se stesso, il negativo si ricongiunge al positivo, come riappacificato nel compiersi del suo naturale destino; nascondimento ed evidenza, nuovamente due contrari, stanno l’uno accanto all’altra in un processo di riordino, come una scatola e il suo coperchio, la luce e la sua ombra. Ma tutti questi volti, prima scavati, complicati, affaticati, e
ora svelati, spiegati, come semplificati nella loro immediata e quotidiana apparenza, restano tuttavia sconosciuti e muti. L’identità, pur indagata nei suoi due contraddittori risvolti, rimane nascosta. Il volto, scisso nei suoi due modi di essere, resta una maschera impenetrabile. Domina il silenzio, simile a una pianura sconfinata.

multiverso

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