FLESSIBILITÀ
Biodiversità e stabilità
di Sandro Azaele e Amos Maritan
La straordinaria ricchezza di specie e la grande varietà nell’organizzazione dei sistemi biologici presenti sul nostro pianeta sono il frutto di una lenta, anche se non sempre graduale, evoluzione che ha avuto inizio almeno 3,8 miliardi di anni fa. Durante questo lungo periodo si è passati dalle forme di vita più primitive (forse dei chemiobatteri autotrofi che erano in grado di ricavare energia sfruttando una fonte chimica inorganica, come carbonio o idrogeno) a una prodigiosa diversità biologica che si è organizzata in vari livelli. Se ne possono infatti individuare molte forme, da quella genetica fino a quella biogeografica, passando attraverso la diversità delle specie, degli ecosistemi e altre ancora. L’insieme di tutte queste molteplici manifestazioni della vita nella loro polimorfa organizzazione prende il nome di ‘biodiversità’.
Sappiamo che il numero di specie che attualmente popola la terra non è che una piccolissima frazione di tutte le specie apparse sul pianeta nel corso della sua lunga storia evolutiva, motivo per cui i fenomeni di estinzione e comparsa di nuove specie svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo della biodiversità. Nel corso delle cinque principali estinzioni di massa, verificatesi negli ultimi cinquecento milioni di anni, molte specie sono scomparse completamente, rendendo ancora più preoccupanti alcune stime aggiornate che indicano, nel corso delle prossime decadi, una perdita del 20% circa delle attuali specie viventi: questo ha indotto alcuni scienziati a ritenere che il pianeta si trovi sul baratro di una sesta estinzione di massa, tuttavia diversa dalle precedenti perché molto probabilmente provocata dall’uomo e non da cause fisiche.
È essenziale quindi comprendere come caratterizzare la biodiversità, quantificarla appropriatamente e capire quali sono i meccanismi che ne guidano lo sviluppo. Purtroppo oggi sappiamo ben poco a riguardo. Si è tuttavia capito che esiste la possibilità di descrivere gli ecosistemi in termini matematici in modo simile a come Galileo Galilei pensava fossero descrivibili le leggi della natura. Infatti, osservazioni recenti fatte in varie foreste tropicali mostrano, per esempio, che il numero di specie che popolano una determinata regione non cresce proporzionalmente alla superficie della regione stessa, ma in modo sub-lineare: cioè se si considerano due regioni, l’una 16 volte più grande dell’altra, il numero di specie coesistenti nella regione più estesa non è 16 volte il numero di specie della regione più piccola ma, circa, solo 2 volte! Un’altra legge che è stata soggetta a moltissime verifiche sperimentali riguarda le popolazioni di mammiferi: il numero di individui di una determinata specie di mammiferi cresce al diminuire della massa corporea (media) del singolo individuo e questo, a sua volta, è legato alla velocità di metabolismo della specie. Esistono altre di queste regolarità che sono state osservate, ma la loro origine e la possibile relazione fra loro sono ancora sconosciute.
L’argomento è altamente interdisciplinare. Oltre agli ecologi ci lavorano anche fisici e matematici con lo scopo di formulare modelli matematici in grado di spiegare le leggi osservate, predirne di nuove e, ancora più rilevante per la conservazione delle specie, predire il comportamento futuro di un ecosistema a partire dalla conoscenza del suo stato attuale. Una delle domande più difficili è, per esempio: «qual è la relazione tra la ‘complessità’ di un ecosistema e la sua ‘stabilità’»?
Negli anni ’70 alcuni studi teorici hanno evidenziato che, se il numero di specie che coesistono in un determinato ecosistema aumenta, mantenendo costante l’‘intensità’ e il ‘numero’ delle interazioni interspecifiche, allora l’ecosistema collassa (cioè subisce numerose estinzioni) se il numero delle specie coesistenti supera la decina. In altre parole e in un senso che bisognerebbe precisare meglio, l’aumento della complessità di un ecosistema diminuisce la sua stabilità. Sempre secondo questi studi invece, per garantire la stabilità, le specie devono strutturarsi in subunità con una gerarchia di interazioni tra loro. Tuttavia, le osservazioni sul campo sembrano smentire quasi totalmente queste predizioni teoriche.
Bisogna subito sottolineare però che questi modelli, pur descrivendo bene alcune caratteristiche ‘medie’ degli ecosistemi, ne trascurano invece totalmente altre che sono essenziali per la comprensione della dinamica della biodiversità. Si sa infatti che le popolazioni non evolvono in modo deterministico (cioè a ogni istante il numero di individui è noto in modo univoco), ma in modo probabilistico o, meglio, stocastico (cioè a ogni istante il numero di individui è noto solo con una certa probabilità), questo perché ogni individuo ha diverse probabilità di sopravvivenza che dipendono da molti fattori, come la propria storia e l’ambiente. Questa stocasticità demografica e ambientale causa delle fluttuazioni (nella popolazione, nei tempi di estinzione, ecc.) che influenzano l’evoluzione degli stessi valori medi che poi si misurano sperimentalmente. Pertanto, per capire la dinamica degli ecosistemi, è necessaria l’elaborazione di modelli stocastici che siano il più possibile semplici, anche se non semplicistici. In questo contesto le previsioni dei modelli deterministici potrebbero cambiare totalmente, riservando sorprese non banali.
La comprensione di queste leggi stocastiche ci aiuterà a capire più a fondo come difendere e sostenere la biodiversità e anche a indirizzare meglio le non sempre oculate politiche ambientali.