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Alessandro Sambini. Cumuli
di Roberta Valtorta
Dopo tante riflessioni sulla complessità del paesaggio contemporaneo e tanti tentativi di raccontarlo nelle sue modificazioni, nelle sue stratificazioni, nei forti segni che in esso lascia lo sviluppo economico, nella precarietà del rapporto naturalità-artificialità; dopo tanto indagare, approdiamo, oggi, a visioni decisamente frammentate dell’ambiente in cui viviamo, visioni spezzate, narrazioni a volte fortunatamente guidate da concetti che possano ancora aiutarci a non perdere l’orientamento vagando in cerca di raffigurazioni.
Per non perdersi nel mondo, Alessandro Sambini si è basato su uno straordinario concetto che collega tra loro situazioni molto diverse: quello di cumulo. Per fare questo è partito da un detto popolare veneto, ben radicato, ed esattamente, nel territorio, anzi nella terra stessa oltre che nella lingua: «‘Na mota e ‘na busa»: a ogni buca che facciamo corrisponde sempre una ‘motta’, cioè un cumulo. L’homo faber, per suo destino, manipola le materie di cui dispone, sposta, scava, costruisce, crea forme, strutture, oggetti, architetture, infrastrutture, plasma il mondo, gli conferisce valori estetici, ma ogni volta che scava e crea, costruisce contemporaneamente un cumulo composto di materiali, scarti, cose spezzate, al momento eliminate. Crea montagne di cose. Parallelamente, crea e distrugge idee, ipotesi di lavoro, desideri, aspirazioni, utopie. Accumula scarti per poi ricominciare. Lo scarto si collega così inevitabilmente a quel qualcosa di nuovo che andiamo a costruire.
Individuando cumuli di varia natura che rappresentano segni importanti nel paesaggio (siano essi composti di immondizia, macerie, detriti, terra, sabbia, scarti industriali, verdure, sale, letame, avanzi di ogni genere) Sambini costruisce una litania laica che parla dell’esistenza umana sulla terra. Ci parla di come le funzioni corporali dell’uomo si rispecchino nell’ambiente, di come l’architettura stessa sia legata al corpo umano, ne sia la sua trasposizione sociale nello spazio. Sambini nell’affrontare in modo così forte l’idea dell’homo faber che costruisce e contemporaneamente distrugge, recupera anche alcuni pensieri del Walter Benjamin di Tempo, storia e linguaggi a proposito del legame tra creatività e distruttività umana:
«Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poiché vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada».
Alternando fotografie a video, introducendo la parola di Benjamin, aggiungendo al suo lavoro anche delle audio-guide che fanno ascoltare all’osservatore ciò che accadeva durante la ripresa delle fotografie, Alessandro Sambini lavora anche sulla problematicità, ma anche la stringente necessità, l’urgenza del narrare, oggi.