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Il metodo che permette il costituirsi, a metà del Settecento, del lavoro enciclopedico di Diderot viene desunto dalle filosofie ‘moderne’ (Leibniz, Hume, soprattutto Bacone), mentre i contenuti epistemologici sono scelti sul piano dell’esperienza naturale, legata all’espressività e al sentire. Un’espressività e un sentire che non si pongono in modo solipsistico, ma sono per un pubblico, per una dimensione intersoggettiva.
Queste posizioni vengono coniugate in modo diverso, almeno secondo due strade: la prima cerca di costruire una fede nuova, basata sul corpo e sulle sue pulsioni, sulla scia del violento pamphlet, Theophrastus redivivus, che nel 1759 costituisce la guida per i Lumi atei e materialisti; la seconda, quella di Diderot, segue invece il modello presente nella seconda metà del Seicento negli scritti di Pierre Bayle, che rende l’ateo virtuoso un modello etico, quasi paradigma del filosofo che unisce l’utile al vero anche senza il miraggio di un premio ultraterreno.
Il Dizionario storico e critico, che è del 1697, con il suo sottile e pessimistico scetticismo, introduce infatti un principio di tolleranza e di fiducia limitata nella ragione, che si porrà come contraltare moderato nei confronti delle posizioni più estreme e come implicito indirizzo metodologico per tutta la generazione dei Lumi francese.
È sempre di questi anni, pubblicato nel 1748 anche se risultato da decenni di lavoro,
Lo
spirito delle leggi di Montesquieu, un testo che forse permette di far dialogare le metafisiche dell’epoca, di mettere a confronto le storie che raccontano e i risultati cui giungono, anche al di là dello specifico tema del libro, che si occupa in prima istanza delle forme di governo e delle leggi che le guidano. Qui, infatti, si coglie lo spirito dei Lumi come esigenza di porre in gioco, e in dialogo, alcuni temi comuni: il piacere, il godimento dei beni materiali, la sociabilità e l’estensione del diritto naturale, il principio dell’uguaglianza naturale tra gli uomini sono al centro dell’opera di Montesquieu, e attraversano tutti gli autori del Settecento, consci dell’oscurità che li avvolge e dei lumi possibili che possono rischiararla. Il principio contenuto nell’undicesimo libro de Lo spirito delle leggi, in cui si definisce la libertà come il diritto di fare tutto ciò che è consentito dalle leggi, disegna un quadro nuovo, in cui la legge è ciò che deve offrire una corretta ‘disposizione delle cose’. Sono queste le basi teoriche di uno spirito enciclopedico che vuole essere filosofia pubblica, che interpreta la realtà secondo leggi pubbliche e condivise, capaci di adattarsi al mondo delle cose, alle circostanze in cui si verificano. L’enciclopedista è come un viaggiatore, e ad esso viene spesso assimilato da Diderot: non è uno ‘specialista’, ma un individuo che deve possedere lo spirito – esprit e wit – e che, volendo ‘guardare avanti’, vuole guardare tutto e tutto rappresentare e ricordare, costruendo ipotesi, nessi, leggi e idee. È questo lo spirito dell’illuminismo, e la sua volontà viaggiante. Il viaggiatore è simile al filosofo sperimentale descritto da Bacone, che vuole al tempo stesso provare, interpretare, costruire leggi. Il viaggio enciclopedico è la nuova metafisica che il Settecento illuminista introduce nell’universo del sapere, dal momento che in esso si coagulano regole ed esperimenti corporei ed estetici, allontanando principi astratti e pregiudiziali. Il viaggio è ‘critica’, cioè capacità di ‘giudicare con regola’. Guardatevi, dice Diderot ai viaggiatori, dal giudicare troppo rapidamente e «ricordate che ovunque ci sono ipercritici che sottovalutano, ed entusiasti che esagerano», quando invece, dal momento che lo spirito di osservazione è raro, si tratta, pur possedendolo, di esercitarlo, vagliando le proprie esperienze, comprendendo che «il sangue freddo e l’imparzialità sono necessari al viaggiatore quasi come allo storico». Questo atteggiamento non deriva da orgoglio o arroganza della ragione, bensì dalla consapevolezza, paradossalmente razionale, dei suoi limiti. Tale consapevolezza, infatti, può originare un rifiuto dell’immanenza, preferendo teleologie trascendenti, oppure il desiderio di viverla in tutta la sua articolata complessità, da testimoni, consapevoli. L’Enciclopedia introduce così una metafisica del possibile che è anche un orizzonte antropologico da esplorare, in un quadro dove ciò che è e ciò che potrebbe essere sono tra loro in relazione dialogica, ponendosi in un contesto in cui il particolare non va scambiato per l’universale, bensì serve a costruire quei nessi in grado di connettere l’individuale in un quadro che lo comprende senza annullarlo né enfatizzarlo. In sintesi, quando si descrive il reale, quando, come in un viaggio, lo si attraversa e lo si sperimenta con la propria esperienza, bisogna cercare di costruire un quadro critico e articolato, che integri l’esperienza soggettiva con il dialogo con altri punti di vista, esercitando una volontà enciclopedica che deve diffidare di immaginazione e memoria senza regole, dal momento che, come scrive Diderot, la prima «snatura, sia che abbellisca sia che imbruttisca», mentre la memoria «mutila tutto». In questo modo i territori esplorati diventano la metafora di uno stato di natura rivelato, che la civiltà ha corrotto, secondo uno schema che, comune all’intero Settecento, non sempre viene afferrato: vivere secondo ragione significa vivere secondo natura, e dunque compito razionale del filosofo è quello di provare la verità della natura e delle sue manifestazioni. Natura, tuttavia, non significa barbarie, né una realtà storica perduta: è un orizzonte di senso da descrivere, conservare e rafforzare, difendendolo dall’assenza di regole del barbaro e dalle false regole della società. Un enciclopedico spirito viaggiante permette la costruzione di queste ‘regole intermedie’, che non possono trovare una sintesi, evidenziando tuttavia il senso della loro funzione critica – e quindi razionale – nei confronti di una società i cui pregiudizi (sociali, culturali, etici) allontanano dalla natura e dalla sua forza. Il viaggiatore ha infatti le qualità che Diderot rilevava, e che caratterizzano il filosofo illuminato, l’enciclopedista: «ragionevolezza, coraggio, veracità, un colpo d’occhio sicuro nell’afferrare le cose e nell’osservare con prontezza, e poi circospezione, pazienza, desiderio di vedere, di chiarirsi le idee e di istruire gli altri; e infine, conoscenza del calcolo, della meccanica, della geometria, dell’astronomia; e cognizioni sufficienti di storia naturale». Lo stile stesso è quello dei Lumi, che è poi il medesimo richiesto dalle cose, ovvero «semplicità e chiarezza». L’invito al viaggio è lo stesso che accompagna il vagabondare dello Shandy di Sterne, lo straordinario dialogo, che lo riprende e cita, tra Jacques il fatalista di Diderot e il suo padrone determinista, il viaggio del Candide di Voltaire alla ricerca del migliore tra i mondi possibili: viaggio senza senso alla ricerca della varietà delle cose, viaggio filosofico di un infinito cammino di interpretazione, viaggio alla ricerca di una nuova morale che sostituisca ai viaggi metafisici il lavoro e la fatica dell’uomo, sono in ogni caso espressioni paradigmatiche di una volontà di scoperta che si situa all’interno della natura umana, trasportando la ricerca di nuovi mondi su un piano che è sia di ricerca interiore sia di revisione di un metodo scientifico che, basandosi su uno sperimentalismo attivo, vuole trovare una sintonia con il movimento della natura umana. In tutto ciò, d’altra parte, il viaggio non è soltanto una metafora, cioè la figura retorica che esibisce un’esigenza interiore o epistemologica, dal momento che incarna un nuovo modo di guardare il mondo e chi lo abita, confrontandosi con le differenze che costituiscono l’essenza del reale e con una natura che riflette tale essenza nella sua dimensione più complessa, quella dell’antropologico.
Sperimentalismo baconiano e humeano viaggio nell’anima, complicazione tormentata dei classici orizzonti metafisici, vanno alla ricerca del loro spirito delle leggi, consapevoli per la prima volta che esso non può instaurarsi se non è attento alla natura delle cose, nella loro varietà e ricchezza. Il viaggio è la nuova metafisica, e la metafisica, come si legge nell’Encyclopédie, è divenuta semplicemente la «scienza delle ragioni delle cose», che deve guardare e provare, rigettando «vuote e astratte considerazioni sul tempo, lo spazio, la materia, lo spirito». Il mondo, dice Jacques il fatalista di Diderot, «è come un grande rotolo che si svolge a poco a poco…».
Noi dobbiamo soltanto seguire e interpretare il suo movimento.

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