MISURA

Misurare ‘Terra e terra’
«Prima di compilare una carta della Terra era necessario conoscerla, ma la conoscenza venne piano piano, indirettamente dapprima, e solo dopo che la mente umana era riuscita a prescindere dal mito e ad ampliare l’orizzonte dell’esperienza. Oggi che l’uomo è arrivato a vedere la Terra dall’alto e si è accorto che è una piccola sfera lucente roteante nel mare nero dello spazio, deve fare con l’immaginazione un lungo volo retrospettivo per capire l’importanza delle prime percezioni del pianeta, in cui si mescolavano stupore e mito, e che spesso erano meravigliosamente sbagliate». Con queste parole John Noble Wilford inizia il suo racconto dedicato ai Cartografi e alla storia della cartografia, alla rappresentazione e alla misurazione della Terra e delle terre. L’uomo, fin dai tempi più remoti, ha sentito il bisogno di comunicare il senso del dove, del luogo, del vicino, spinto dalla voglia di raccontare e rappresentare il proprio spazio vissuto; uno spazio mai individuale, ma sempre comunitario e collettivo. Così, dopo aver impresso 40.000 anni fa nelle caverne dapprima le impronte delle mani e poi figure antropomorfe e di animali, si dedicò sempre più diffusamente alle ‘rappresentazioni spaziali’ graffiate o tracciate sulle pareti e sulle volte dei ripari neolitici, sui massi erratici, lungo le balze rupestri con l’intento non solo di topografare con punti di vista diversi i luoghi della quotidianità, ma pure di rappresentare quella immensa volta celeste che lo sovrastava, spingendosi anche alle prime elaborazioni cosmogoniche. L’uomo nomade che nel frattempo si era fatto sedentario e da raccoglitore e cacciatore era diventato agricoltore e allevatore aveva, di pari passo, cominciato a sviluppare un primitivo radicamento nello spazio che da semplice trama dove dar vita alle proprie funzioni elementari (il vivere, l’approvvigionarsi, l’abitare, ecc.) si era fatto, col tempo, più complesso, diventando spazio sociale e relazionale sia per il clan di riferimento che per l’esterno. Ed ecco prendere corpo non solo le rappresentazioni del villaggio, dello spazio familiare, ma attraverso processi di astrazione e generalizzazione, sviluppando mappe cognitive, anche quelle di territori sempre più vasti, fortemente correlati a concetti quali vicino/lontano; dentro/fuori; aperto/chiuso; alto/basso; direzione/verso, ecc.
Matura così la necessità di conoscere i luoghi, di rappresentarli, di organizzarli in un sistema di riferimento, di misurarli, di renderli patrimonio riconosciuto e riconoscibile in codici confinari. La trasformazione e la manipolazione del territorio, la sua organizzazione, obbligano a sviluppare forme di astrazione che, partendo dall’esperienza reale, diano risposte da un lato a esigenze concrete di controllo, di costruzione e di gestione e, dall’altro, alla creazione di un corpus di conoscenze utili sia alla mobilità e agli spostamenti, che al bisogno di imago mundi.
Gli aspetti qualitativi si fondono a quelli quantitativi e pratici originando le prime carte e mappe geografiche e nautiche, le piante di villaggi e città, le rappresentazioni dei mondi conosciuti e della Terra nella sua dimensione astronomica. Il bisogno di misurare il mondo nasce pertanto dalla necessità di creare dei sistemi di riferimento metrici per le distanze, per il lontano come per il vicino, per potersi muovere con certezza, per viaggiare in mare e in terraferma, ma anche per dare risposta ai grandi interrogativi che l’accresciuta conoscenza geografica e astronomica portava inevitabilmente con sé: quale la forma della Terra? quali i suoi limiti? quali i suoi spostamenti nell’Universo? Tempo e spazio si fondono così in una sola affascinante dimensione che condurrà ben presto, nell’ambito della feconda matrice culturale greca e mediterranea, alla prima misura della Terra ad opera del bibliotecario alessandrino Eratostene. Da allora la misurazione della Terra ha conosciuto uno sviluppo inarrestabile pur tra difficoltà ed errori, cadenzato dalle tappe evolutive delle scienze esatte e dal progredire delle tecnologie legate alla precisione dei calcoli e delle rappresentazioni, fino ai nostri giorni, quando le reti geodetiche e i sistemi di posizionamento e navigazione satellitari hanno reso di uso comune complicate misurazioni e facilitato, fin troppo, spostamenti e controlli. Ma l’uomo, più concretamente, ha avuto una necessità parallela, quella di misurare anche la ‘terra’, di colonizzare nuove regioni, di bonificare terreni insalubri, di porre sistematicamente a coltura i suoli che potevano soddisfare i crescenti bisogni di una umanità in costante crescita. Gli antichi agrimensori romani, che per primi avevano tracciato con geometrica precisione la centuriatio, la griglia che divideva in lotti i territori conquistati, furono via via sostituiti da pubblici periti che, con i loro compassi, squadri, teodoliti, astrolabi, tavolette pretoriane, pertiche e catene, rilevarono il territorio per costruire carte sempre più precise e dettagliate, sia per scopi militari che di governo, e in parallelo diedero vita a quel monumentale patrimonio costituito dai catasti di intere regioni e stati e dai catastici delle proprietà pubbliche e private. Strumento fondamentalmente fiscale, la misura della terra era funzionale all’imposizione di tasse fondiarie e il dettagliato rilevamento effettuato ci ha restituito una fotografia puntuale dei territori, del puzzle delle proprietà, delle coltivazioni, della vegetazione, dei corsi d’acqua, della struttura insediativa, degli opifici, dei mulini e delle fabbriche. Oggi questo corpus, nato per permettere una tassazione che si basava non solo sulla proprietà ma anche sul valore produttivo delle singole particelle, ci consente di conoscere anche il paesaggio che caratterizzava gli spazi geografici. Una misura della terra nata per il fisco che si trasforma in misura di conoscenza; una conoscenza che dà sostanza e spessore storico al territorio trasformandolo in paesaggio culturale e valoriale. Misurare per conoscere, conoscere per valutare.

Il valore e il senso dei luoghi
Il rapporto che la società moderna o meglio post moderna ha con il territorio è fortemente segnato da alcune questioni di fondo come quella ambientale, quella dei modelli di sviluppo e di governo del territorio e, più in generale, quella della relazione tra l’uomo e i luoghi, segnata da profonde fratture rispetto alla continuità che per secoli aveva consentito equilibrio e certezze. Il legame profondo con la terra e la conoscenza che la civiltà rurale, comune a tutto il continente europeo, aveva stretto con i luoghi, di fatto si sono dapprima incrinati e poi frantumati con la rivoluzione industriale a fronte delle mutate esigenze di una società sempre più divoratrice di suolo e di spazio, generando una sorta di schizofrenia tra i luoghi e il paesaggio del passato, l’età dell’oro, e il presente, figlio illegittimo della società attuale, e per questo non accettato. È un aspetto particolare questo che merita una breve riflessione: il paesaggio è figlio del tempo, delle scelte politiche, ideologiche, economiche ed anche valoriali della società che lo esprime, ma stranamente non viene riconosciuto come valore, anche se continuamente alimentato. Ogni giorno, infatti, attiviamo scelte, gesti, comportamenti che, più o meno inconsapevolmente, producono cambiamenti nel paesaggio; al tempo stesso, però, ne rifiutiamo gli effetti sulla base di modelli che risalgono ad una società rurale che non è più dominante nella contemporaneità. In questa situazione le cose si complicano in quanto il territorio ed il paesaggio di oggi sono ancora profondamente intrisi dei segni della storia e delle civiltà che si sono succedute, sollecitandoci continuamente al ricordo del passato. È evidente che questo rapporto con le ‘radici’, o meglio con la memoria dello spazio vissuto, porta inevitabilmente a caricare di ‘senso’ e di significato i luoghi, sia quelli vicini che quelli lontani, nell’ambito di unità più vaste e complesse. Prende vita così, talvolta faticosamente, un concetto ‘nuovo’ di territorio, che non è solo il luogo in cui si vive e si lavora, ma che conserva anche la storia degli uomini che lo hanno abitato e trasformato, e dei segni che lo hanno caratterizzato. Vi è la consapevolezza che il territorio, qualunque esso sia, contenga un patrimonio diffuso, ricco di dettagli e soprattutto di una fittissima rete di rapporti e interrelazioni tra i tanti elementi che lo contraddistinguono.
Memoria, appartenenza e senso dei luoghi si mescolano per dare vita a una dimensione valoriale che necessita di essere indagata e misurata sia per una condivisione delle percezioni individuali in funzione di una memoria collettiva, sia per diventare strumento di governance delle azioni di pianificazione e trasformazione.
Nell’attualità, facendo riferimento alle vicende delle grandi infrastrutture – dalla TAV al Corridoio 5, dagli elettrodotti ai grandi impianti energetici o viari – è necessario porre sul tavolo dei complessi progetti e degli studi d’impatto anche nuove carte e mappe che tengano conto, nello specifico, del valore dei luoghi e di altri ‘punti di vista’, come quelli più profondamente emozionali e legati all’aspetto visuale del paesaggio.
Valori che una volta misurati, con strumenti di tipo qualitativo, vanno a costituire nuove tipologie di rappresentazione: le ‘carte dei valori’ e le ‘mappe di comunità’. In particolare queste ultime, nate in Inghilterra già agli inizi del secolo scorso e note come Parish Maps, si sono affermate ultimamente non solo come complessa rappresentazione da parte delle comunità dei luoghi che abitano, ma pure come strumento per ripristinare il rapporto spezzato tra l’uomo e lo spazio del vissuto personale e collettivo, e per dare una prospettiva futura ai territori delle comunità stesse. La mappa di comunità è uno strumento con cui gli abitanti di un determinato luogo hanno la possibilità di rappresentare il patrimonio, il paesaggio, i saperi in cui si riconoscono e che desiderano trasmettere alle nuove generazioni. Evidenzia il modo con cui la comunità locale vede, percepisce, attribuisce valore al proprio territorio, alle sue memorie, alle sue trasformazioni, alla sua realtà attuale e a come vorrebbe che fosse in futuro. Consiste in una rappresentazione cartografica, o in un qualsiasi altro prodotto o elaborato, in cui essa si può identificare.
Predisporre una mappa di comunità significa avviare un percorso finalizzato ad ottenere un ‘archivio’ permanente, e sempre aggiornabile, delle persone e dei siti di un territorio, evitando la perdita delle conoscenze puntuali dei luoghi, quelle che sono espressione di saggezze sedimentate, raggiunte con il contributo di generazioni e generazioni: un luogo include memorie, spesso collettive, azioni e relazioni, valori e fatti numerosi e complessi molto più vicini alla gente di quanto si possa credere. Le nuove tecnologie facilitano la costruzione di queste mappe che sono dei veri processi di ricostruzione della dimensione spaziale della comunità. La mappa è un momento di raccolta, di elaborazione, di riflessione, di interiorizzazione, di patrimonializzazione dello spazio di riferimento in una visione multidimensionale ed in continuo cambiamento e arricchimento. Carte che propongono una prospettiva diversa dove è possibile dare voce sia alle visioni e percezioni personali, che a quelle collettive, della storia, ma anche della contemporaneità, recuperando così l’unità della trama territoriale. Carte dove convivono i luoghi della memoria individuale, frutto della conoscenza e della frequentazione, la porzione di campo o di bosco, i percorsi per raggiungere i fondi, i ‘posti’ del fiume, gli alberi, i prati, la fabbrica, la casa, ecc., accompagnati dai loro nomi, patrimonio immateriale di rara valenza; della memoria emozionale, che valorizza i luoghi delle vicende personali, dell’amore, della vita, ma anche della morte; della stratificazione storica collettiva che riporta alla luce vicende, mestieri, testimonianze di un passato lontano, ma anche recente (le carbonaie, i mulini, gli edifici storici, i monumenti, ecc.); della memoria popolare dove la storia si intreccia alla leggenda e alla tradizione. Ed ecco materializzarsi e prendere corpo, come nella mappa di comunità di Raggiolo, nell’Appennino Tosco-Emiliano, il Lastrone delle fate, lo Scoglio del gallo, il Fosso del colera, la Fonte della Diavolina, la Palaia degli impiccati, il Camposanto vecchio… Mappe dei luoghi, ma anche mappe dei racconti dei luoghi. Carte necessarie per individuare gli scenari futuri, i modelli di sviluppo, le potenzialità, i punti di forza e di debolezza di un territorio, assolutamente necessari quando, ad esempio, si devono ricostruire comunità e luoghi distrutti da eventi traumatici naturali o provocati dall’uomo. E allora sul tavolo della politica vanno messe queste carte e va con forza rivendicato e difeso il valore del senso dei luoghi non in nome di una civiltà del passato o di una natura sempre e comunque bella, ma in quanto parte integrante del patrimonio valoriale della comunità che lo ha espresso e che lo esprime; un patrimonio irrinunciabile che può essere messo a disposizione con percorsi e processi di condivisione e partecipazione. E qui il discorso si potrebbe aprire alle nuove prospettive e ai nuovi scenari della democrazia partecipativa e deliberativa…
Ritornando alle nostre mappe di comunità vorrei sottolinearne, in conclusione, la dimensione pedagogica in quanto la loro costruzione prevede un percorso di conoscenza, di recupero valoriale, di presa d’atto dell’importanza della dimensionale spaziale dell’uomo. Processi non facili, ma fondamentali nel tentativo di riportare a normalità la gestione di un territorio sempre più articolato e complesso, facendoli rientrare in quelle che possono essere chiamate ‘buone pratiche’. Le vicende del passato, il bel paesaggio che non c’è più, la civiltà contadina non devono essere mitizzati e relegati in un mondo astratto e fine a se stesso, ma devono insegnare il metodo affinché nella quotidianità delle nostre azioni spaziali il buon governare diventi pratica di normalità.
E per fare ciò, la domanda che ci deve guidare è certamente questa: «Che cosa ha valore nel mio luogo?». E la risposta che dobbiamo dare ci rende tutti degli esperti cartografi che misurano nuovamente la terra per conoscerla e viverla da buoni abitanti di questo meraviglioso e strano pianeta, che ha una buona reputazione

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