QUASI
Editoriale 'Quasi'
di Andrea Csillaghy
‘Quasi’ è un avverbio usato tradizionalmente dai latini nelle comparazioni e da lì passato in molte lingue europee per significare che il confronto è tentato fra due entità (in matematica sarebbe un’equazione imperfetta: x = y + ?), però non è perfettamente calzante: esse dialogano, si intendono, potrebbero equivalere, ma la loro corrispondenza non vale al cento per cento. Tendenzialmente, in un succedersi dinamico, la possibilità di intesa esisterebbe ma non è mai esaustiva.
In questi giorni sono stato chiamato a parlare all’inaugurazione di una mostra dedicata a Ungaretti, mio antico maestro. Ricordando lui e la sua «parola» che era «scavata […] come in un abisso», ho rievocato non senza commozione il luccichio dei suoi occhietti di ‘beduino del deserto’ (era nato ad Alessandria d’Egitto in una famiglia di emigrati lucchesi) quando trovava la parola veramente ‘calzante’ e nel dirla, quasi gridando, saltava sulla sedia. Ma poi la sua ricerca riprendeva, all’insegna di un variare continuo.
Multiverso è la realtà in cui noi lavoriamo da vent’anni, percorrendo le vie tortuose della comprensione e della significazione, diversamente dalle strade magnifiche e progressive che promette l’intelligenza artificiale. Il nostro lavoro, che è universitario perché quella è la nostra casa e il nostro orizzonte, è bellissimo e questo numero offre un aspetto radicale implicito nella ricerca.
In questi stessi giorni mi è capitato di ricordare, oltre a Ungaretti, anche alcuni amici della cerchia del grande poeta, come Leone Piccioni, Giuseppe De Robertis e la loro magnifica rivista «L’approdo». Il metodo che noi abbiamo ripreso da questi maestri e confratelli è il continuo instancabile variare riorientando senza posa la nostra ricerca. Mantenendo, però, sempre la ungarettiana programmatica «allegria» di chi «subito riprende/ il viaggio / come / dopo un naufragio / un superstite / lupo di mare».