QUASI
Gemelli identici, o quasi
di Alessandro Minelli
Di regola, basta uno sguardo per farci riconoscere una coppia di gemelli. Ma non per questo dobbiamo aspettarci che l’identità tra loro sia totale. Questo è escluso a priori nel caso di gemelli dizigoti, che si sono formati a partire da distinte cellule uovo fecondate e non hanno, di conseguenza, identico patrimonio genetico. Ma c’è da aspettarsi un qualche livello di divergenza anche tra gemelli monozigoti, o monovulari: questi derivano da un precocissimo sdoppiamento dell’embrione, che altrimenti si sarebbe potuto formare a partire da un singolo uovo fecondato, e hanno quindi lo stesso patrimonio genetico. Soffermiamoci un momento su quest’ultimo caso. Una lettura rigorosa dei fatti può autorizzarci a riconoscere, in una coppia di gemelli monovulari, il frutto di una riproduzione asessuale: l’embrione atteso dallo sviluppo dello zigote, infatti, non segue il consueto decorso formativo, ma si sdoppia, in un vero e proprio evento riproduttivo (passaggio da un individuo a due individui), senza l’intervento della sessualità. Questa forma di riproduzione potrebbe sembrare anomala in un vertebrato e, in effetti, non è frequente. Nell’uomo, i parti di gemelli monovulari sono uno su trecento. Ma in un altro mammifero, l’armadillo a nove fasce, la madre partorisce sempre un quartetto di gemelli monovulari. La poliembrionia – uno zigote, più embrioni – è presente anche in altri animali. Il caso più notevole è quello di Copidosoma floridanum, una minuscola vespina il cui embrione, che inizia lo sviluppo all’interno di un uovo di farfalla dove la madre ha deposto il proprio germe, si polverizza fino a formare un migliaio di embrioni.
E non è detto che la separazione dei due (o più) embrioni si realizzi sempre in maniera completa. A volte, è quasi completa. Se lo sviluppo va avanti abbastanza, ne deriva una coppia di fratelli siamesi, in vario e tormentoso modo congiunti. Quasi due individui completi, ma è sufficiente l’indipendenza delle due teste, e dei due cervelli, ad assicurare una dignità che esige il riconoscimento di ciascuno con un suo proprio nome di persona. Questo, per lo meno, quando abbiamo a che fare con esseri umani. Con ovvia incoerenza, in situazioni analoghe che riguardano altre specie, preferiamo invece di parlare di un vitello, o di un gatto, con due teste.
Alcune coppie di gemelli siamesi sono vissute abbastanza a lungo da dimostrare come l’indisputabile identità genetica non sia sufficiente a garantire una completa (speculare) somiglianza e una sostanziale identità di comportamenti. Quasi identici, ma non in tutto, erano Chang ed Eng Bunker, la celebre coppia di gemelli congiunti per i quali, data loro provenienza geografica (Thailandia, allora nota come Siam), si cominciò a usare il termine ‘gemelli siamesi’.
Non tutte le coppie di gemelli congiunti hanno goduto come Chang ed Eng – oltre che di una fama costruita in larga parte sulla pubblica esposizione come bizzarrie da circo – di una vita ragionevolmente sana e lunga oltre sessant’anni. Purtroppo, nei processi biologici che più si allontanano da quelli che sono i decorsi abituali per la specie, le incertezze dello sviluppo sono largamente imprevedibili e spesso portano a conseguenze catastrofiche. L’anatomia patologica ha descritto e classificato una lunga serie di coppie di gemelli che hanno goduto di gradi e forme diverse di una quasi indipendenza e normalità.
La zoologia, in ogni caso, ha molto altro da offrire. Un dragaggio effettuato presso l’isola di Cebu (Filippine), durante la campagna di ricerche della nave oceanografica Challenger (1872-1876), portò alla scoperta di Syllis ramosa, piccolo verme dal corpo segmentato, con una sola bocca ma ripetutamente ramificato e con un’apertura anale alla fine di ciascun ramo. Un individuo o molti? La questione, forse, riguarda il filosofo, più che lo zoologo. L’animaletto sembra funzionare benissimo, a dispetto della sua bizzarria. Il suo tronco ramificato occupa i sottili canali che percorrono il corpo poroso di una spugna. Altri reperti sono seguiti, fino ai nostri giorni, e oggi si riconoscono almeno tre specie diverse di questi vermi, che sembrano vivere benissimo, a dispetto di una forma del corpo che sfida la solidità delle nostre categorie.
Un’accomodante formula popolare suggerisce che ogni regola possa avere le sue eccezioni. Un quasi legittimato e forse, a volte, desiderato. Si potrebbe obiettare che le eccezioni, in realtà, raccontano una storia diversa: la regola, se c’è, è un’altra, oppure di regole ce ne sono molte e i loro ambiti di applicazione si intersecano, o si sovrappongono, in un modo che spesso è difficile districare. Forse, prima di scartare una regola o di accettarla a dispetto delle sue apparenti eccezioni, è consigliabile aspettare e approfondire le indagini.
In una prolusione tenuta all’Università di Cambridge il 23 ottobre 1908, William Bateson, il biologo inglese che nel 1906 aveva dato il nome di ‘genetica’ alla scienza dell’ereditarietà, esortava: «Fate tesoro delle vostre eccezioni! Quando non ce ne sono, il lavoro diventa così noioso che nessuno si preoccupa di portarlo avanti. Tenetele sempre scoperte e in vista. Le eccezioni sono come i mattoni grezzi per un edificio che stiamo costruendo: esse ci dicono che c’è ancora molto da fare e indicano dove bisogna continuare a lavorare».