QUASI
L'intelligenza artificiale a scuola è quasi intelligente?
di Francesca Zanon
Intelligenza umana e artificiale sono e rimarranno sempre diverse. L’IA potrà anche arricchirsi di una conoscenza enorme, ma è e resterà sempre una ‘quasi intelligenza’ sprovvista di un corpo e della componente affettiva. Il dibattito sui rischi correlati all’espansione dell’intelligenza artificiale che potrebbe interferire con le attività umane, analogamente a quanto avviene con il supercomputer HAL 9000 nel celebre film di Stanley Kubrick 2001: odissea nello spazio, sembra dare per scontato che vi sia uniformità di punti di vista circa il concetto di intelligenza. A livello etimologico, ‘intelligenza’ è un termine che deriva dal latino intus legere: l’intelligenza concerne dunque un complesso di facoltà mentali relative a un ‘leggere dentro’, a un ‘cogliere’ qualcosa approfonditamente. Di fatto, questo concetto è molto opinabile; il riuscire o meno a svolgere degli specifici compiti si dimostra maggiormente legato all’attuazione di un metodo di studio oppure di lavoro appropriato, allo sviluppo di strategie efficaci, all’impegno nel potenziamento delle proprie abilità, dei propri skills, anziché a qualcosa di innato e immodificabile. L’intelligenza umana non potrà mai venire sostituita da quella artificiale, soprattutto in ambito scolastico. Le due forme di intelligenza sono e rimarranno sempre diverse. Pensiamo alla consuetudine di costruire dei robot a immagine e somiglianza degli uomini: questo ci porta ad attribuire alle macchine un funzionamento simile a quello umano che, tuttavia, viene smentito dai fatti.
Quello che appare fondamentale a proposito della differenza fra intelligenza artificiale e intelligenza umana sta nel ruolo del corpo nell’apprendimento e nello sviluppo dell’intelligenza. Un bambino accresce la propria intelligenza imparando anche e soprattutto dalle proprie esperienze corporee: si tiene a debita distanza da fonti di calore elevato dopo essersi ustionato una mano, acquisisce la capacità di stare in equilibrio dopo aver giocato al girotondo, apprende come trarre godimento dopo aver esplorato le proprie parti del corpo traendone piacere. Qualunque dispositivo tecnologico, per quanto sia dotato di Intelligenza Artificiale, rimarrà comunque privo di un corpo e del piacere intrinseco al corpo; secondo Lacan, infatti, il corpo umano è caratterizzato dal godimento che può avvenire in svariate forme singolari. Molto rilevante è inoltre la componente affettiva, sempre in gioco nell’acquisizione di nozioni e nel potenziamento delle proprie capacità.
Tuttavia, l’Intelligenza Artificiale, sui banchi di scuola, se da un lato può aiutare gli insegnanti a facilitare l’apprendimento e offrire nuove opportunità agli studenti, dall’altro potrebbe rivelarsi l’ennesima tecnologia che mette i ragazzi a rischio di cyberbullismo o di violazione della privacy. La capacità dell’insegnante di presentare informazioni in modo ‘delicato’ consente di integrare l’approccio interattivo necessario per rendere efficace l’apprendimento. Infatti, le macchine offrono esperienze di apprendimento personalizzate, fornendo feedback agli studenti. Ma con l’avvento dell’IA nell’istruzione, l’insegnante non scompare affatto. Anzi, rimane una figura costante e imprescindibile, senza cui la didattica non può avvenire. Conserva ancora un’importanza strategica, mentre permane il suo ruolo fondamentale. Una vera e propria necessità. In questo quadro, l’IA si configura infatti come una ‘compagna’, un’assistente di processo che può senz’altro facilitare il lavoro dell’insegnante, rendendolo ancora più efficace. Ma affinché tutto ciò avvenga è fondamentale ripensare alla scuola e al ruolo del docente. I problemi educativi centrali di oggi sono numerosi e complessi. Forse i più preoccupanti sono gli alti tassi di segregazione socio-economica che generano disuguaglianza tra le istituzioni educative.
Inoltre, gli studenti che abbandonano o non hanno successo accademico rappresentano una preoccupazione urgente. Un’enfasi sul lavoro di rete tra insegnanti, studenti e amministratori potrebbe contribuire ad alleviare gli altri problemi in questione, mentre la modifica della struttura del curriculum stesso è essenziale per soddisfare le esigenze e gli standard attuali. Un dispositivo dotato di Intelligenza Artificiale è tale perché viene inventato e programmato da individui umani, anche a livello affettivo. Se l’IA è quasi intelligente, il confine sta proprio nelle attività di apprendimento in cui non usarla, come nelle situazioni qui a seguire.
Quando è necessario imparare e sintetizzare nuove idee o informazioni
Richiedere la predisposizione di un riassunto non è come leggere da soli. Domandare all’Intelligenza Artificiale di risolvere un problema al posto vostro non è un modo efficace di apprendere. Per imparare qualcosa di nuovo, è necessario leggere e pensare da soli, anche se l’Intelligenza Artificiale può essere utile per alcune parti del processo di apprendimento.
Quando non si comprendono le modalità di fallimento dell’IA
L’IA non fallisce esattamente come un umano. Si sa che può avere delle ‘allucinazioni’, ma questa è solo una delle possibili forme di errore: spesso cerca di persuadere l’utente che ha ragione, oppure può diventare sicofante e concordare con 129 la risposta errata. È necessario utilizzarla in modo appropriato per comprendere questi rischi.
Quando lo sforzo è il punto
In molti settori e soprattutto in ambito educativo, le persone hanno bisogno di faticare davanti a un argomento immergendovisi per avere successo: i bambini sono sempre più pigri e si muovono il minimo indispensabile all’interno di saperi precostituiti che le stereotipie di programmi standardizzati e ripetitivi finiscono per esasperare. Se non obblighiamo i piccoli a uscire dalla zona di confort, li destiniamo all’insuccesso sociale e all’insipienza educativo-formativa. Se si riduce la fase di fatica, per quanto frustrante, si può perdere la capacità di raggiungere il momento ‘aha, ho capito!’. Sapere quando usare l’IA si rivela una forma di saggezza, non solo una conoscenza tecnica. E come nella maggior parte dei casi, con la saggezza, si arriva a una situazione in qualche modo paradossale: l’IA è spesso più utile quando siamo già abbastanza esperti da individuare i suoi errori, ma meno utile nel lavoro profondo che ci ha reso esperti. Forse la cosa più importante è che la saggezza significa sapere che questi schemi continueranno a cambiare con l’evolversi delle capacità dell’IA e con l’avvento di nuove ricerche, che ci impongono di continuare a mettere in discussione le nostre ipotesi su dove l’IA ci aiuta e dove ci ostacola.
Letture consigliate
Wilfred R. Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando Editore, 1983.
Luciano Floridi, La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina, 2017.
Jacques Lacan, Il seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, 1991. Isabel Millar, The Psychoanalysis of Artificial Intelligence, Palgrave Macmillan, 2021.
Matteo Pasquinelli, The Eye of the Master: A Social History of Artificial Intelligence, Verso, 2023.