SCARTI E ABBANDONI

a chiusura, ospitalità,
a sospetto, curiosità,
a pesantezza, leggerezza,
ad abbandono, dono,
a indifferenza, ascolto,
a partenze, arrivi.

Uno scarto, una imprevista deviazione, un’audace inversione di senso, una trasgressione in grado di riportare vita ad un paese paralizzato nella drammatica realtà dell’abbandono. È questo ‘l’altro sguardo’ che l’arte ha posato su Topolò.

Topolò – Topolove, Tapoluove nel dialetto sloveno della Rečanska dolina, quaranta abitanti alla fine della strada, un bel paese di case prevalentemente vuote schiacciato contro il confine che corre tra i boschi inselvatichiti dall’abbandono dell’uomo.

Fino alla seconda guerra mondiale era uno dei paesi più grossi e popolosi del comune di Grimacco e della Benečija, con i suoi quasi 400 abitanti, poi i problemi tipici della montagna italiana, aggravati dal gelo della ‘cortina di ferro’, hanno ridotto il paese alla situazione attuale. L’emigrazione, che ha sempre caratterizzato quest’area nelle forme della temporaneità e stagionalità, diventa massiccia e definitiva a partire dal dopoguerra e in pochi decenni riduce la comunità alla soglia critica dell’estinzione etnica, completando così il progetto di matrice fascista di italianizzazione della comunità slovena.

La guerra fredda trasforma il territorio di confine in luogo di assoluta inospitalità: divieti, controlli, delazioni divengono prassi quotidiana. Il risultato è il disastro sociale, il disintegrarsi della comunità, il rifiuto, per i più, della propria identità linguistico-culturale e per la prima volta, il desiderio di fuga, l’abbandono come unica possibile salvezza. Per chi rimane resta il trauma: il blocco psicologico, la sfiducia, il timore e il sospetto divengono tratti caratteriali.

In questo quadro desolante prende avvio, nel 1994, ‘Stazione di Topolò – Postaja Topolove’. L’immagine evoca un luogo di arrivi e partenze, di passaggio, di incontro, di sosta e movimento in un luogo che di tutto ciò era l’esatto contrario. È un progetto, un azzardo, fondato sull’incontro tra un paese esanime e l’arte contemporanea, sperimentale e di ricerca. Un contatto, un cortocircuito, tra mondi diversissimi in grado di ribaltare luoghi comuni quali ‘luogo marginale’, ‘luogo inospitale’, ‘luogo fuori dal tempo’, attraverso l’incontro tra memoria e futuro e la fusione tra arcaicità e sperimentazione, in uno spazio, fino a pochi anni fa, off-limits.

Gli artisti invitati sono chiamati a confrontarsi con Topolò raccogliendo i diversi stimoli che questo piccolo microcosmo offre: la vita passata e presente, lieta o tragica, del paese e dei suoi abitanti, il dramma del confine, dell’emigrazione e dell’abbandono, l’invadenza della natura, il paesaggio e l’architettura, la lingua slovena, parlata o negata, le tradizioni, i ritmi e i silenzi.

Agli artisti viene chiesta anzitutto la disponibilità all’ascolto e all’incontro, per realizzare poi un’opera che traduca questa relazione. La loro presenza assume quasi valore di ‘servizio’.
Provengono dalle più diverse esperienze e latitudini, spesso si mettono in viaggio verso un luogo che neppure sono certi esista, che nessuna mappa contiene ma che esiste e ben documentato nel web e nei racconti di coloro che ci sono stati. Entrano in contatto con la Stazione-Postaja attraverso un tam-tam che porta il progetto nel mondo per vie note o a noi sconosciute, non di rado sono gli artisti che già hanno operato alla Stazione a segnalare i futuri interlocutori di Topolò, si crea così una rete dagli sviluppi alquanto imprevedibili.
Quando poi arrivano, abitano il paese, spesso per più giorni, ne diventano parte, costruiscono rapporti, edificano relazioni, ritornano. Ecco il segreto: la vera forza trainante dei treni di Topolò sono gli affetti che si intrecciano tra tutti coloro che, autori, organizzatori, abitanti, pubblico, critici, si incontrano in questa sperduta Stazione.

Gli affetti, il dono, la gratuità e l’ospitalità, sono i termini che definiscono l’etica attorno a cui ruota Postaja Topolove. Fin dalla prima edizione le persone invitate ad operare a Topolò vengono ospitate nelle case e sono gli abitanti a prendersi cura del vitto e dell’alloggio, a mettere a disposizione tutti gli spazi necessari per la realizzazione dei progetti e sono sempre loro ad organizzarsi per gestire il chiosco. Topolò ritorna ad essere, durante i quindici giorni della sua ‘festa’, una comunità operosa che rende possibile la realizzazione della Stazione.

Altrettanto forti devono essere le motivazioni che spingono i ricercatori ad affrontare viaggi più o meno lunghi, per raggiungere un luogo dove tutto si fa gratuitamente, dove non avranno alcun tipo di rimborso spese ma solo ospitalità. L’opera più straordinaria che si realizza a Topolò è un’alchimia fondata sulla leggerezza di un lavoro che va avanti in un confronto sensibile con la realtà.

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