SENSO

Anche nell’universo del senso, costellato a suo modo di peculiari comete pianeti stelle nebulose galassie e altri corpi significanti, non mancano quelle singolarità che vanno sotto il nome di black holes: scrutando attraverso il loro specchio, si intravede l’universo parallelo del non-senso, paradossalmente ma propriamente né vero né falso. Vi si è accumulata nei secoli un’eterogenea massa di materia ‘non-sensica’, forse fin dalle scaturigini dell’oralità, madre di tutto il discorrere (come suggerisce la tradizione della conta infantile, da cui s’è tratto il nostro titolo), certamente dall’avvento delle scritture, gravide d’ogni testo. Se il problema del senso attraversa tutta la riflessione filosofica, non senza oasi di intemerata noia – absit invidia verbo –, quello del non-senso non ha mancato di tormentare pensatori illustri. Limitandosi al Novecento, da Edmund Husserl nelle Logische Untersuchungen (Halle 1900-1901) a Sigmund Freud nel saggio Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten (Wien 1905), da Maurice Merleau-Ponty in Sense et non-sens (Paris 1948) a Gilles Deleuze in Logique du sens (Paris 1969) citato in epigrafe, fino a Jean-Jacques Lecercle in Philosophy of Nonsense (London 1994), per non menzionare che alcuni capisaldi.

Dell’alveo estremamente variegato, intrinsecamente allegro e musicale, della letteratura ‘non-sensica’, questa minima antologia storica (senza scomodare l’antichità o Paesi lontani) non può restituire altro che alcuni squarci e illuminare il paesaggio con dei brevi lampi; agli interessati, per ulteriori antologiche letture, in primis si suggerisce Il piccolo libro del nonsense di Pier Paolo Rinaldi (Milano 1997), cui siamo non poco debitori.

Scaramella va alla guerra
Frottola musicale di Josquin Desprez (1450 ca.-1521).

Scaramella va alla guerra
colla lancia et la rotella,
La zombero boro borombetta,
La zombero boro borombò.
Scaramella fa la galla
colla scharpa et la stivalla,
La zombero boro borombetta,
La zombero boro borombò.

Al barildin golfano
Dal capitolo IX, Comment Pantagruel trouva Panurge lequel il aima toute sa vie, del libro II di Gargantua et Pantagruel (Lion 1542) di François Rabelais (1494-1553) (trad. it. di Gildo Passini, Gargantua e Pantagruele, Roma 1925).

A quoi répondit Pantagruel: «Mon ami, je n’entends point ce baragouin; pourtant, si voulez qu’on vous entende, parlez autre langage».
Adonc le compagnon lui répondit: «Al barildin golfano dech min brin alabo dordin falbroth ringuam albaras. Nin porth zadilrin almacathim milko prim al elmin enthot dal heben ensorum; Kuth im al dim alkatim nim broth dechot porth nim micas im endoth, pruch dal marsonimm hol moth dansrikim lupaldas im voldemoth. Nin hur diaaolth mnarbothim dal gousch pal frapin duch in socth pruch galeth dal Chinon, min foultrich al conin butbathen doth dal prim».
«Entendez-vous rien là?» dit Pantagruel ès assistants.
A quoi dit Épistémon: «Je crois que c’est langage des antipodes, le diable n’y mordrait mie».
Lors dit Pantagruel: «Compère, je ne sais si les murailles vous entendront, mais de nous nul n’y entend note».
«Amico, rispose Pantagruele, non intendo punto queste sciarade; se volete che v’intenda parlate altro linguaggio».
«Al barildin, l’uomo rispose, golfano dech min brin alabo dordin falbroth ringuam albaras. Nin porth zadilrin almacathim milko prim al elmin enthot dal heben ensorum; Kuth im al dim alkatim nim broth dechot porth nim micas im endoth, pruch dal marsonimm hol moth dansrikim lupaldas im voldemoth. Nin hur diaaolth mnarbothim dal gousch pal frapin duch in socth pruch galeth dal Chinon, min foultrich al conin butbathen doth dal prim».
«Intendete nulla?» chiese Pantagruele ai presenti.
«Io credo, disse Epistemone, che sia lingua degli antipodi, neanche il diavolo ne masticherebbe un cavolo».
«Compare, disse allora Pantagruele, non so se vi capiscano i muri, ma nessuno di noi ha compreso sillaba».

Allala pia calia
Moresca di Orlando di Lasso (1532-1594) dal Libro de villanelle, moresche, ed altre canzoni (Paris 1581).

Allala pia calia,
Siamo, siamo, siamo bernaguala
Tanbilililili, Tanbilili.
Schinchina bacu, santa gamba,
Gli, gli, pampana calia.
Cian, cian, nini gua gua, ania catuba,
Chi linguacina bacu lapia clama gurgh
Hohe… haha… hoho!
Cucanacalia rite apice scututuni la pia piche,
Berlinguaminu charachire.
Et non gente gnam gnam gnam gnam
Ch’ama figlia gentilhuom
Non curare berlinguaminum!
Ch’amar fosse chissa hominum are buscani!
A la cura chi de cua!
Are patichache, siamo beschin!
Allala pia calia…

Era di notte, e non ci si vedea
Ottava recitata da Brighella nella scena VII del III atto della commedia Il poeta fanatico di Carlo Goldoni (1707-1793), «che nell’edizione del Bettinelli in Venezia [1750-1757], nel Tomo settimo, è intitolata I Poeti» come spiega l’autore, «rappresentata per la prima volta in Milano nell’Estate dell’Anno 1750».

Era di notte, e non ci si vedea,
Perché Marfisa aveva spento il lume.
Un rospo colla spada e la livrea
Faceva un minuetto in mezzo al fiume.
L’altro giorno è da me venuto Enea,
E mi ha portato un orinal di piume.
Cleopatra ha scorticato Marcantonio,
Le femmine son peggio del demonio.

Diggi, daggi, schurry, murry
Aria di Colas dal singspiel in un atto Bastien und Bastienne K50 [46b] (1768) di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) su libretto di F.W. Weiskern, J.H.F. Müller e A. Schachtner, tratto da Les amours de Bastien et Bastienne (1753) di M.-J.-B. Favart, Ch.-S. Favart e H. de Guerville, parodia dell’intermède (parole e musica) Le devin du village (1752) di Jean-Jacques Rousseau.

Diggi, daggi, schurry, murry,
Horum, harum, lirum, larum,
Raudi, maudi, giri, gari,
Posito, besti, basti, saron froh,
Fatto, matto, quid pro quo.

There was an Old Man with a beard
There was a Young Lady whose chin

Due limerick di Edward Lear (1812-1888) dal Book of Nonsense (London 1846) (trad. it. di Carlo Izzo, ne Il libro dei nonsense, Torino 1970).

There was an Old Man with a beard,
Who said, «It is just as I feared! –
Two Owls and a Hen,
Four Larks and a Wren,
Have all built their nests in my beard!».
C’era un vecchio dal mento barbuto
Che disse: «L’ho sempre temuto!
Due gufi e un pollastrello.
Quattro allodole e un fringuello
Han fatto il nido nel mio mento barbuto!».
There was a Young Lady whose chin,
Resembled the point of a pin:
So she had it made sharp,
And purchased a harp,
And played several tunes with her chin.
C’era una signorina di Pozzillo
Il cui mento era a punta di spillo;
Lo fece limare per ore,
Comperò un’arpa d’autore
Ed arpeggiò col mento per Pozzillo.

Jabberwocky
Poesia di Lewis Carroll (1832-1898), pubblicata nel I capitolo di Through the Looking-Glass, and What Alice Found There (London 1871) con le celebri illustrazioni di John Tenniel, la cui prima strofa era apparsa col titolo Stanza of Anglo-Saxon Poetry in «Mischmasch», la rivista familiare di Carroll (1855-1862); tra le decine di traduzioni italiane, Il Ciarlestrone, la versione di Masolino d’Amico, in Lewis Carroll, Alice (Milano 1971).

’Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.
Beware the Jabberwock, my son!
The jaws that bite, the claws that catch!
Beware the Jubjub bird, and shun
The frumious Bandersnatch!
He took his vorpal sword in hand:
Long time the manxome foe he sought
So rested he by the Tumtum tree,
And stood awhile in thought.
And as in uffish thought he stood,
The Jabberwock, with eyes of flame,
Came whiffling through the tulgey wood,
And burbled as it came!
One, two! One, two! And through and through
The vorpal blade went snicker-snack!
He left it dead, and with its head
He went galumphing back.
And hast thou slain the Jabberwock?
Come to my arms, my beamish boy!
O frabjous day! Callooh! Callay!
He chortled in his joy.
’Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.
Era brillosto e gli alacridi tossi
Succhiellavano scabbi nel pantùle:
Mèstili eran tutti i papparossi,
E strombavan musando i tartarocchi.
«Attento al Ciarlestrone, figlio mio!
Fauci che azzannano, zampe che ti artigliano!
Attento all’uccel Giuggio, e attento ancora
Al fumìbondo Chiappabanda!»
Afferrò quello la sua vorpida lama:
A lungo il manson nemico cercò…
Così sostò presso l’albero Tonton,
E riflettendo alquanto dimorò.
E mentre in bellico pensier si trattenea,
Il Ciarlestrone con occhi di brage
Venne sifflando nella tulgida selva,
Sbollentonando nella sua avanzata!
Un, due! Un, due! E dentro e dentro
Scattò saettante la vorpida lama!
Ei lo lasciò cadavere, e col capo
Se ne venne al ritorno galumpando.
«E hai tu ucciso il Ciarlestrone?
Fra le mie braccia, o raggioso fanciullo!
O giorno fragoso! Callò! Callài!»
Stripetò quello dalla gioia.
Era brillosto, e gli alacridi tossi
Succhiellavano scabbi nel pantùle:
Méstili eran tutti i papparossi
E strombavan musando i tartarocchi.

Kikakokú!
Poesia sonora di Paul Scheerbart (1863-1925) da Ich liebe dich! Ein Eisenbahnroman mit 66 Intermezzos (Berlin 1897).

Kikakokú!
Ekoralaps!
Wîso kollipánda opolôsa.
Ipasátta îh fûo.
Kikakokú proklínthe petêh.
Nikifilí mopaléxio intipáschi benakáffro – própsa pî! própsa pî!
Jasóllu nosaressa flípsei.
Aukarótto passakrússar Kikakokú.
Núpsa púsch?
Kikakokú bulurú?
Futupúkke – própsa pî!
Jasóllu. . . . . . .

Il lonfo
‘Fànfola’, ossia poesia metasemantica di Fosco Maraini (1912-2004) da Le Fànfole (Bari 1966; poi Gnòsi delle fànfole, Milano 1994).

Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce,
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa legica busia, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui, zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

Simonetta
Sonetto composto in italiano da Julio Cortázar (1914-1984) da Salvo el Crepúsculo (Buenos Aires 1984): «En resumen, lo único verdadero es el soneto como forma, y el resto puro camelo».

Simonetta, la fosca malintesa
chiude le rame inaltri fino al nardo.
Magari i tuoi allunghi di leopardo
móntano al valle, dove sta la chiesa.
forse no, forse stai muta e resa
da fronte al mar, piggiotando il dardo!
Mi lascerai almeno éssere un tardo
seguitore, lo schiavo che ti stresa?
Ieri venívano i dolente sprozze
sospirando col giglio e col fenoglio
in mezzo al trimalciónico festaccio;
ma questa sera, Simonetta, nozze
di ombra amaranto e razzi d’orgoglio
giúngono furia nel luttuoso bacio.

multiverso

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