SENSO

I confini tra mente e corpo, che un tempo apparivano ben delimitati, sono oggi sempre più incerti per via dei progressi nel campo delle neuroscienze, progressi che sollevano una serie di interrogativi sulle dinamiche, consce e inconsce, che si verificano nel nostro organismo. Da un lato si affermano concezioni riduzionistiche in cui la mente viene spesso scomposta in singole proprietà che vengono localizzate esclusivamente in specifiche aree della corteccia o nuclei cerebrali, dall’altro concezioni meno meccanicistiche che puntano invece a integrare tra loro conoscenze e funzioni dei vari sistemi appartenenti all’organismo umano. Oggi sappiamo che il modo in cui interpretiamo la realtà, il senso che le diamo, modifica in positivo o in negativo la nostra salute, l’equilibrio che esiste tra corpo e mente.

Le funzioni del nostro organismo sono controllate e integrate da diversi ‘sistemi’: il sistema circolatorio provvede ad irrorare col sangue – e quindi a ossigenare – i diversi organi; quello nervoso a controllare i nostri rapporti con l’ambiente facendo in modo che ci sottraiamo dai pericoli e ricerchiamo situazioni utili e positive per il nostro benessere; quello endocrino a produrre una serie di sostanze, gli ormoni, che modifichino il nostro metabolismo e trasformino le caratteristiche del nostro fisico. Ogni sistema possiede caratteristiche e dinamiche che sono state identificate, studiate e caratterizzate nei loro dettagli: l’organismo, però, è un tutto unico e i diversi sistemi funzionano – o dovrebbero funzionare – in sincronia, in modo da produrre un risultato significativo e utile per l’economia del nostro corpo, sia pure attraverso strategie diverse.

Se si ragiona infatti in termini di adattamento degli organismi all’ambiente, si scoprono numerose convergenze, fra cui quelle tra i sistemi nervoso, immunitario ed endocrino: i primi due sono stati addirittura accorpati sotto un’unica denominazione, quella di ‘sistemi di segnalazione’. Generalmente noi pensiamo al sistema nervoso in termini di intelligenza, memoria, coscienza; ma la sua lontana origine evolutiva è legata alla capacità di segnalare all’organismo dei pericoli e di organizzare delle risposte appropriate, come la fuga da un predatore oppure l’attacco. Man mano la memoria della specie – che permette di riconoscere istintivamente delle situazioni di pericolo – si è poi trasformata in memoria dell’individuo e in forme di intelligenza sempre più svincolate dall’immediata sopravvivenza e adattamento all’ambiente. Un simile meccanismo caratterizza il sistema immunitario: mentre quello nervoso è nato per coordinare le risposte dell’organismo nei confronti di aggressori esterni, quello immunitario si è evoluto per identificare ciò che è diverso dall’organismo e che, penetrandovi, ne minaccia la sopravvivenza. Ad esempio, batteri o virus, con le loro caratteristiche genetiche, sono riconosciuti dalla memoria immunitaria e combattuti attraverso la produzione di sostanze, gli anticorpi, che tendono a respingere un attacco infettivo. Ma le risposte immunitarie entrano anche in atto se nei nostri tessuti penetra una scheggia, se veniamo morsicati da un animale e così via…

I due sistemi, quello nervoso e quello immunitario, servono quindi per tutelare l’organismo, consentirgli di organizzare le sue difese e, più in generale, per adattarsi al mondo circostante. Da questa concezione integrata dell’organismo è scaturita la Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia (PNEI), una disciplina che rispecchia un approccio olistico: così, un trauma psichico oppure il senso negativo che diamo alla nostra vita non comportano soltanto alterazioni del comportamento (depressione, ansia ecc.), ma anche una possibile immunodepressione (maggior facilità a sviluppare delle malattie infettive o scarsa capacità di distruggere le cellule tumorali in fase iniziale), o alterazioni del sistema endocrino, ad esempio del ciclo mestruale, della fertilità, della libido. Oggi sappiamo, inoltre, che numerose malattie psicosomatiche, dalla colite a disfunzioni cardiache, da alcune malattie della pelle all’ipertensione, dipendono dal fatto che il nostro corpo non è suddiviso in compartimenti stagni in quanto i diversi sistemi comunicano tra di loro. Il medico, perciò, non può limitarsi a curare un sintomo o un disturbo ‘locale’ ma deve guardare al paziente nella sua totalità, il che rappresenta, purtroppo, un aspetto carente dell’attuale sistema sanitario. In molti casi, infatti, il paziente si sente solo – un oggetto indagato da specialismi estremi – e ciò lo porta a sviluppare un atteggiamento critico o bivalente nei confronti delle tecnologie biomediche e dei farmaci: mentre alcuni guardano alla medicina tradizionale con fiducia e ottimismo, altri la giudicano invece con sospetto o in termini negativi.

Tra i diversi motivi alla base della sfiducia nella medicina tradizionale, oltre a un clima culturale attento alla ‘naturalità’ e favorito dal fatto che ormai ci si ammala sempre meno e si guarisce sempre più, c’è un sistema sanitario che zoppica vistosamente e che non presta abbastanza attenzione a chi soffre o ha bisogno di aiuto. I successi della farmacologia hanno posto il farmaco al centro della medicina, ma è necessario che sia invece il paziente a sentire di occupare un ruolo centrale, se non vogliamo che cresca una pericolosa cultura contro la medicina, la scienza e la razionalità.

Il corpo, in conclusione, non è un’entità separata rispetto alla mente e i tentativi di scindere nettamente le ragioni del corpo da quelle della mente sembrano sempre più votati all’insuccesso. Ed è anche per questo motivo – occorre ripeterlo – che la medicina deve tener presente la complessità del dialogo tra mente e corpo, non soltanto per quanto riguarda la fisiologia e la patologia delle interazioni tra i diversi sistemi, ma anche nell’ambito dei rapporti tra medico e paziente.

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