SENSO

L’arte cinese è poco nota. Eppure è una grande arte, con invenzioni semplici ma strepitose. Una di queste, nella pittura, è il rotolo dipinto orizzontale. Ce ne sono esempi nelle collezioni e nei musei di tutto il mondo, ma quello che mi ha colpito di più è il famoso rotolo con i Nove draghi fra le nubi di Chen Rong (dipinto nel 1244, in piena epoca Song, una delle più intense e prolifiche della millenaria storia artistica dell’Oriente estremo), ora al Museum of Fine Arts di Boston. Le leggende su questo artista e su questa opera si sprecano. Il ‘nostro’ era certamente un tipo originale. Beveva molto e ciò non lo distinguerebbe poi tanto da una massa di pittori, bohémien o meno che si vogliano etichettare; ma il fatto che fosse anche stato un importante magistrato e usasse il pon-pon della sua berretta per intingervi l’inchiostro e tracciare i contorni dell’opera lo rendono l’unica grande, vera, indiscussa majorette dell’arte mondiale. Era artista di impulso, come ogni buon taoista (o era buddhista ch’an, vulgo, alla giapponese zen? Questioni irrilevanti, ma si deve pur sfoggiare una conoscenza specifica! Professore, la prego…), ma l’impulso è solo un paravento per un solidissimo mestiere, usato con somma nonchalance, come si addice a un vero dilettante – occhio alle etimologie –, perché tali erano pressoché tutti i pittori cinesi imperiali, almeno quelli degni d’essere rammentati. Ma stiamo divagando, appunto.

Cosa c’è di sconvolgente nel rotolo cinese orizzontale? Tutto. Prendiamo il suo esterno, l’involucro, la sua conservazione e il materiale con cui è realizzato. La pittura cinese è quasi tutta su seta (ahi, il rotolo dei Nove draghi fra le nubi, invece, è un inchiostro di Cina su carta), e quanto era più preziosa l’opera maggiore attenzione si poneva alla sua conservazione. A partire dall’anima che sosteneva il rotolo (in avorio, legno pregiato) e attorno alla quale veniva, appunto, arrotolato, e dalla scatola (cofanetto) che lo conteneva per proteggerlo, spesso rivestita, esternamente, con una preziosa seta. Non di rado queste scatole venivano cosparse, a intervalli di tempo regolare, di olii ed essenze profumate atte a solleticare l’olfatto. Si apriva l’involucro contenitore e si estraeva il rotolo: essenza più intensa, più debole, diversa? Di certo una sorpresa, un modo per stimolare l’attenzione. Poi su un tavolo sufficientemente lungo si iniziava il percorso di disvelamento dell’opera, sfiorando, toccando, strizzando, palpeggiando, carezzando, massaggiando la materia setosa (ma anche la carta può avere consistenze particolari e superfici più o meno scabre), come in un atto di sensuale corteggiamento, poco alla volta. Le dita corrono veloci o esitanti a sentire il corpo della pittura, a scoprire le superfici e ad appropriarsene. E simultaneamente l’occhio corre anch’esso veloce o lento, o dissonante, a scoprire le masse contrapposte di colore, a osservare e vedere quello che c’è da vedere e guardare (come ben dovrebbero sapere gli storici dell’arte, non sono la stessa cosa), cedendo agli impulsi visivi e ai giochi voluti dal poeta del pennello: vuoti e pieni, dettagli e insiemi.

Certo, non è l’arte per tutti, indistinta e confusa, è l’opposto: è l’arte per uno solo, per ciascuno e nemmeno sempre la stessa, perché di quel qualcuno può cambiare e cambia l’umore. I rotoli cinesi non ospitano mai solo la composizione pittorica del paesaggio o di ciò che l’artista ha voluto rappresentare, recano anche una composizione poetica, un commento lirico, con ideogrammi ispirati dal soggetto, oppure prefazione, introduzione, nota, contrappunto, commento, conclusione, racconto… (Già, gli ideogrammi e la loro scrittura, davvero ‘callida grafia’, sono di per sé una forma d’arte, sublime, con regole interne, ritmi e assonanze, financo con una ‘rima visiva’ sottile e intraducibile – lo aveva intuito un certo Ezra Pound). Insomma, la poesia viene cantata, il naso continua a percepire dolci effluvi, le mani scorrono via leggere oppure pesanti, e il suono esce dalla bocca forte e sicuro (ci può anche essere la variante di avere il privilegio che qualcuno canti per noi, ma da soli, con il proprio cantilenare, è indubbiamente più consigliato), e di tanto in tanto, magari, ci si ritempra sorseggiando un infuso (la foglia della camelia sinensis in questo pare sia insuperabile), riempiendo in tal guisa completamente la testa e l’animo, e solleticando la nostra attiva partecipazione. Dunque, le mani corrono, gli occhi vedono e guardano, le orecchie ascoltano la musica del ‘riciclo’ che esce dalla bocca… e si sorseggia, perché no, un buon vino, per essere complici di quel mattacchione del nostro magistrato ebbro.

Ci manca però ancora qualcosa, il colpo di genio che renda l’opera unica per me (seppure universale nell’unicità per ciascuna sensibilità), per la mia passionale fruizione, il mio incanto: il tempo. Il rotolo orizzontale mi permette di cercare e di scandire da solo la mia personale visione: rapida come una fuga, rapsodica come la nevrosi di questo e solo di questo momento, maestosa come un adagio, lento e solenne, pizzicato… come mi pare, avanti e indietro, con soste prolungate, ripensamenti e scorci miei, solo miei, per il mio piacere e con una personalissima ‘moviola’.

Che invenzione! Coinvolgere tutta la persona, tutte le sue percezioni sensoriali, farla partecipe di un progetto, e lasciarla libera di stravolgerlo e manipolarlo a volontà, senza dogmi, imposizioni, solo con suggerimenti. L’artista è libero, ma anche lo spettatore assapora il gusto della libertà.

multiverso

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