SENSO
Editoriale 'Senso'
di Andrea Csillaghy
È negli anni fra il 1450 e il 1455 che, viaggiando in Italia, quello spirito bizzarro di Jean Fouquet, un miniatore perfezionista di Tours – espertissimo nei colori, dalle tempere alla lacca, e nei tratti perfetti, seppure freddini, dello stile gotico – viene a contatto con Domenico Veneziano e Piero della Francesca. Poi il mistero del creare inventando circonda la nascita della sua meravigliosa Madonna di Anversa, che offre al bimbo Gesù un seno scoperto, nuovo, grande e perfetto, e per tutti noi fonda un sentire diverso della nudità, sacra o no, che travolgerà la civiltà psicologica occidentale, dal Rinascimento a oggi.
Molti secoli dopo, Melanie Klein, una giovane e geniale seduttrice, che diverrà una delle grandi madri della psicoanalisi internazionale, introduce quel seno conturbante come pietra angolare della formazione della psiche. E distingue, nel sentire il seno della propria madre, un sentire gioioso (di un seno buono) e un sentire sofferente (di un seno cattivo). Melanie vive a Budapest, conosce l’ungherese e sa che il petto di donna, mell, è omofono dell’avverbio mellett, che significa semplicemente ‘accanto’, ‘vicino a’. Del resto, anche noi in Italia ai tempi del Tommaseo dicevamo ‘a petto di…’ per significare un confronto tra due entità.
C’è dunque un bel seno di donna, o di Madonna, nelle profondità del sentire, nella crescita della sensibilità e della nostra sensualità, nello svegliarsi dei nostri sensi al mondo. Questa sensibilità contiene però, secondo la Klein, un principio di scissione: di schizofrenia, quando ci fa percorrere sentieri di dolore, o di arricchimento e trepidazione di scoperte ‘sensazionali’, quando è madre delle nostre nevrosi migliori. Da quella intimità morbida con il seno della giovane mamma sboccerà in noi, se vogliamo, la musica di Beethoven e il capire e il consentire con il cielo stellato di Kant. Dove giunti, vedremo Dio, pare. Certo, se faremo lo sforzo mentale e ‘sentimentale’ di abbandonarci e fondere il nostro capire con il nostro sentire. E ora già sento una voce lontana che mi detta le parole con cui Dante chiude il proprio sublime resoconto dell’esperienza del suo con-sentire con l’universo: «Ma già volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle».