SENSO
L’asino di Buridano
di Alessandro Minelli
Ero l’unico cliente, in quel piccolo ristorante indiano di Parigi dov’ero entrato, quella sera, per la prima volta. Era ancora presto, quel momento in cui tra il cliente e chi lo serve è ancora possibile scambiare due parole, prima che la sala si riempia. Domandai all’uomo dalla pelle piuttosto scura che mi aveva portato il Madras curry da quale parte dell’India venisse, e mi rispose che la sua patria era il Kerala, chiedendomi se avessi un’idea della lingua parlata dalle sue parti. Alla mia risposta negativa, prese un pezzo di carta e vi scrisse sopra: malayalam. Vedi, concluse, lo puoi leggere da sinistra a destra, o da destra a sinistra, ed è sempre uguale.
Già, un palindromo. Una di quelle parole dalla forma curiosa su cui ti fermi un attimo, quando ti accorgi della sua insolita natura. Ma per scoprire un palindromo devi forzare una delle nostre abitudini più radicate, quella di leggere le parole come sequenze di lettere che si susseguono in un senso definito. Da sinistra a destra. Così, almeno, ai nostri tempi e con il nostro alfabeto. Perché ci sono lingue che vengono scritte e lette – o venivano scritte e lette – proprio nel verso opposto, da destra a sinistra, e anche lingue, più rare, in cui il senso della scrittura si alterna di riga in riga. Per non parlare di quelle scritture in cui la lettura procede invece dall’alto al basso.
In ogni caso, è necessaria una convenzione, circa il senso della scrittura. Altrimenti, si salverebbero solo i palindromi, che sono molto rari.
Ma chi decide qual è il giusto senso della scrittura? È possibile che il nostro leggere da sinistra a destra, oppure da destra a sinistra, rifletta un’asimmetria, anatomica e funzionale, del nostro cervello? O si tratta, invece, di un semplice ‘accidente’ storico ormai consolidato da tempo, che non viene rimesso in discussione solo perché ormai siamo tutti abituati a condividere una certa convenzione? Ad una traccia materiale, come una pagina scritta, noi possiamo affidare un senso solo perché questo è condiviso fra chi ora scrive e chi domani leggerà, magari fra qualche secolo.
Senso, dunque, come accidente storico congelato. Ma la storia avrebbe anche potuto imboccare un’altra strada…
Come nella distinzione fra dorso e ventre nella struttura corporea degli animali. Ci sono quelli, ad esempio le farfalle, nei quali l’asse principale del sistema nervoso decorre ventralmente, sotto al tubo digerente, e quelli, come i vertebrati, nei quali invece l’asse nervoso principale decorre lungo la schiena. Due architetture opposte, incompatibili fra loro? Non proprio. Anche qui, forse, è una semplice faccenda di senso di lettura. In un momento precoce dello sviluppo embrionale, infatti, la distinzione fra lato dorsale e lato ventrale è stabilita quasi allo stesso modo, nella farfalla come nel vertebrato. Entrano in gioco molecole pressoché identiche, che però vengono interpretate in senso opposto. Quelli che nei vertebrati sono i marcatori molecolari della schiena, nella farfalla sono invece i marcatori molecolari della pancia; e viceversa per altre molecole, che segnano la posizione del ventre nei vertebrati, quella del dorso nella farfalla. La via è la stessa, bisogna tuttavia mettersi d’accordo sul senso in cui percorrerla. Proprio come sulle strade, dove il traffico da noi tiene la destra, mentre in Inghilterra la sinistra. Decisioni arbitrarie, sulle quali però è bene non discutere, soprattutto se si sta percorrendo un’autostrada.
Rompere le regole, tuttavia, può essere proprio il modo per dare un nuovo senso alle cose. Può bastare lo spostamento di una parola all’interno di una frase per dare a quest’ultima un valore diverso. Nel nostro quotidiano, viviamo come se oggi il senso delle cose dovesse essere lo stesso di ieri. I piedi, e non le mani, sono fatti per camminare. Una voce potrà venir fuori da un altoparlante e non da un microfono. Un sasso lasciato a mezz’aria cadrà verso terra, e non volerà verso il cielo. Alla resa dei conti, però, ci accorgiamo che dei sassi possiamo fidarci, degli uomini meno, e non è male essere un po’ diffidenti anche con gli altri esseri viventi, se non li conosciamo a fondo.
Due grandi occhi ci guardano. È chiaro, dunque, dove sta la testa dell’animale. La sua bocca non sarà lontana: è meglio non avvicinarsi. Ma poi viene fuori che la testa quell’animale ce l’ha proprio dalla parte opposta e che quelli che sembravano occhi sono solo due macchie dipinte. Quanto basta per suggerire una lettura sbagliata, contro-senso, del corpo di una canocchia, un predatore temibile per molti piccoli animali marini.
Questo gioco di finte riesce proprio perché noi abbiamo molte attese, circa il mondo che ci circonda. Crediamo di sapere come affrontarlo, secondo quale senso di lettura.
È meglio però rischiare qualche incidente, quando si incontra qualcuno che mette in campo un senso di lettura differente, che rimanere fermi, in un imbarazzo degno dell’asino di Buridano, perché non ci si è dati una norma per leggere il mondo e quindi dare un senso alle cose.
Una foglia o un ramoscello non dovrebbero mai mettersi a camminare, e poco importa se qualche volte lo fanno, mostrando così di essere in realtà degli insetti.
Alla fine, è forse un bene che di palindromi non ce ne siano troppi: come faremmo a distinguere fra ciò che ha senso e ciò che non ce l’ha?
Possiamo forse godere, a volte, della sottile incertezza indotta dal doppio senso, o indugiare sulle ambiguità del cubo di Necker, ma la vita non tarda a richiamarci al senso – magari convenzionale – delle cose di ogni giorno.