SENSO

Il linguaggio, com’è noto, non è un fenomeno statico, ma dinamico, continuamente ricreato da coloro che parlano, a loro volta rigenerati sia come individui sia come comunità proprio da ciò che dicono.

Tucidide, quando vuole esprimere il suo smarrimento per la grande confusione generatasi nelle città della Grecia in seguito al conflitto del Peloponneso, ci racconta, tra gli altri fatti, come le parole stesse avessero perso il loro senso. Il grande storico ateniese ci riferisce in particolare che alcune espressioni considerate come di riferimento per i valori del suo mondo, quali il coraggio, la codardia, la lealtà, la virilità, la debolezza e la moderazione, persero il loro senso abituale. Quel che prima sarebbe passato per ‘insensata avventatezza’, ora veniva chiamato ‘assoluta lealtà’ nei confronti dei propri amici; ciò che prima sarebbe stato apprezzato come ‘prudente lungimiranza’, ora veniva condannato come ‘codardia’.

Tale prospettiva dovrebbe indurci a riflettere sul fatto che un’evoluzione linguistica non costituisce un semplice evento lessicale ma rappresenta, piuttosto, un mutamento del mondo e dell’individuo. Il linguaggio è, almeno in parte, un sistema creativo, depositario dei significati e delle relazioni che costituiscono l’essenza di una cultura.

Se questo è vero per il linguaggio in generale, lo è anche per quello giuridico, che subisce alterazioni e modifiche a seconda del contesto storico e delle evoluzioni sociali.

Come è mutato negli ultimi decenni il senso di parole come adulterio, divorzio, delitto d’onore, seduzione con promessa di matrimonio? Moltissimo. Ciò che prima era vietato, ora è permesso. Ciò che prima era considerato un’esimente importante della colpevolezza del reo, oggi viene bandito come sinonimo di barbarie. Queste parole hanno cambiato radicalmente il loro significato sotto la spinta delle fondamentali trasformazioni sociali che il nostro Paese ha vissuto negli ultimi cinquant’anni. I sensi loro ascritti sono diversi da quelli in uso agli inizi degli anni ’60 dello scorso secolo.

Altri mutamenti del linguaggio sono invece il risultato di un fenomeno diverso, che ci obbliga ad una puntualizzazione di tipo tecnico. I linguaggi giuridici, così come i sistemi giuridici, sono il frutto di una evoluzione storica, che non è avvenuta in modo isolato, come in un vacuum, ma in costante scambio con quelli altrui.

I linguaggi giuridici sono spesso conseguenza della traduzione di concetti, idee, schemi di ragionamento, istituti che hanno avuto luogo in forza del prestigio che un modello giuridico straniero ha assunto nel corso del tempo: studiare la storia di tali linguaggi equivale a studiare l’evoluzione dei relativi sistemi.

L’italiano giuridico ha una sua storia, che nasce anch’essa dalla confluenza di molteplici apporti e dalla stratificazione di diversi modelli giuridici, sia autoctoni che stranieri. A partire dall’Ottocento, le vicende che ne accompagnano lo sviluppo sono debitrici di influenze prima del modello francese e poi di quello tedesco.

Se il modello francese circola inizialmente in forza dell’espansione napoleonica, in un secondo momento esso viene apprezzato in forza del prestigio giuridico istituzionale che ormai aveva assunto. Nel corso del Risorgimento, trova diffusione soprattutto nei testi legislativi e nella dottrina, che di tali testi offre la ricostruzione. Il primo codice civile dello Stato unitario italiano promulgato nel 1865 è sì redatto nella nostra lingua, ma il significato che deve essere dato ai termini è quello che ci indicano i colleghi francesi. Ecco che alla parola del diritto vanno ascritti più sensi: quello originario italiano e quello che viene ad assumere in forza di una riformulazione del lessico dovuta al modello francese. Ad un certo punto uno dei due potrà prevalere, ma la loro presenza contigua è fenomeno che si è riscontrato e si riscontra più volte.

Sul finire del secolo XIX gli interessi dei giuristi italiani volgono allo studio di nuovi modelli provenienti da un contesto che parla tedesco. Il motivo che li spinge a guardare ad esso è senza dubbio il prestigio cui la dottrina tedesca, e in particolare il movimento della Pandettistica, assurge prima presso gli studiosi italiani. La letteratura tedesca è letta in lingua originale, ma anche tradotta. Di tale modello circolano in Italia sia le definizioni che la sistematica elaborate in Germania.

Di conseguenza, l’italiano giuridico si rifornisce di tutti i termini necessari per esprimere le nuove idee. Alle volte, ciò impone un arricchimento di significato dei vocaboli già presenti per veicolare differenti istituti giuridici. Così – permettendomi un esempio tecnico per illustrare il problema – la ‘nullità’, che fino a quel momento traduceva la nullité francese, viene a far parte di un sistema alla tedesca in cui l’invalidità (Ungültigkeit), figura di genere, abbraccia le due specie della nullità (che da quel momento traduce la Nichtigkeit) e dell’annullabilità (Anfechtbarkeit). Altre volte, invece, il modello tedesco suggerisce l’introduzione di nozioni più astratte, precedentemente sconosciute. La creazione di neologismi e l’assunzione di nuovi sensi e di significati tecnici da parte di termini sino ad allora generici vengono a colmare le lacune e l’italiano giuridico si evolve ancora. Così, il vocabolo ‘fattispecie’, che non era sconosciuto all’italiano, assume un suo significato tecnico per tradurre il tedesco Tatbestand. Per rendere la parola Rechtsgeschäft si conia ‘negozio giuridico’. L’espressione ‘rapporto giuridico’ traduce il tedesco Rechtsverhältnis. Di nuovo, il senso delle parole del diritto muta: molteplici sensi possono essere ascritti ad un termine, fino a quando, forse, uno non prevarrà.

E oggi? L’italiano giuridico del XXI secolo fonda le sue radici in questa eredità del passato, ma deve affrontare nuove sfide. Anche ora è sottoposto all’influenza di lingue e modelli stranieri derivanti in gran parte dal fenomeno della globalizzazione e dalla convivenza con altri sistemi e altri linguaggi all’interno della casa Europa.

Da un lato, infatti, il nostro lessico giuridico si è arricchito di termini stranieri che non vengono più nemmeno tradotti: si pensi a privacy o anti-trust. In un settore del diritto come quello societario, fortemente influenzato dalla mondializzazione delle borse titoli, vocaboli come insider trading, stock options, dumping e molti altri vengono utilizzati ormai dalla dottrina e dalla giurisprudenza e, qualche volta, anche dal legislatore. Di derivazione inglese sono anche i nomi di molti nuovi contratti (factoring, leasing, franchising, engineering, swap) che vengono incorporati senza una preliminare attività di traduzione come invece, un tempo, si operava per altre lingue, il tedesco ad esempio, e ciò dà prova della minore opera di meditazione che tale processo di recezione generalmente necessita per risultare privo di problemi.

Altre volte, il termine inglese viene sì tradotto in italiano, ma dà luogo comunque a una serie di problematiche, ben note anche in passato, che si ripropongono però sotto nuova luce. Prestiti e calchi sono quindi all’ordine del giorno nel linguaggio giuridico italiano, ognuno con le sue problematicità.

Da un lato, infatti, quando si prendono a prestito termini di una lingua straniera che fanno riferimento a un’esperienza giuridica altrui, questi vengono usati nel nostro contesto giuridico per descrivere o regolare una fattispecie disciplinata dal nostro diritto. L’uso del prestito fa percepire immediatamente all’interlocutore l’estraneità rispetto al nostro tessuto linguistico enormativo. Qui la problematicità deriva soprattutto dalla necessità di ricollegare a tali termini una disciplina nostrana e di comprendere quali norme italiane si ricolleghino all’istituto straniero. Dall’altro lato, il termine straniero tradotto può dare luogo a questioni diverse. Si pensi al caso di parole che – seppur già esistenti – assumono un differente campo semantico per influenza straniera, ad esempio ‘informazioni privilegiate’, che costituisce un calco semantico su privileged information, e quindi acquisiscono un nuovo senso rispetto al passato. Si pensi, ancora, a quei termini che sono coniati di recente sul modello di uno straniero, ad esempio ‘controesame’ che costituisce un calco linguistico su cross examination.

Dal punto di vista della percezione i calchi possono essere più subdoli dei prestiti e certamente lo sono quando sembrano dare per assodata un’assimilazione, che invece non è ancora avvenuta nel nostro ordinamento.

Altri problemi possono presentarsi. Alcune volte un prestito espropria il termine italiano che fino a quel momento era stato perfettamente idoneo a rappresentare la realtà; per esempio bond in sostituzione di ‘obbligazione’ e board in sostituzione di ‘consiglio’.

Già compaiono testi nei quali si impiega ancora la forma italiana ma la si fa seguire fra parentesi da quella straniera per essere sicuri di essere capiti e che alla parola non possano essere ricondotti più sensi.

Un’ultima sfida, infine, si viene a porre nel contesto del multilinguismo europeo, ove le lingue ufficiali sono ventiquattro e le Istituzioni comunitarie hanno ormai da tempo inserito nella loro agenda la necessità di elaborare una terminologia giuridica comune in settori in cui l’armonizzazione del diritto appare ormai molto estesa, come nel caso del diritto contrattuale.

I concetti giuridici hanno spesso carattere polisemico e nel confronto tra diverse lingue europee sarà necessario, quando si traduce – sebbene il processo risulterà senz’altro lungo e laborioso –, identificare il contesto di riferimento sia nel sistema d’origine del concetto, sia in quello in cui lo si vuole tradurre, al fine di evitare risultati assolutamente fuorvianti.

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