SENSO

Alla fine degli anni ’30, l’americano Lyonel Feininger ritorna a malincuore nella sua terra d’origine. Dal suo arrivo in Germania, nell’ottobre del 1887, non era mai più rientrato negli States. In tutti quegli anni Feininger si era costruito una solida carriera artistica diventando un importante esponente dell’Espressionismo tedesco e stringendo legami profondi con il Bauhaus. La sua bellissima retrospettiva del 1931 alla Nationalgalerie di Berlino, che coincise con il suo sessantesimo anno di vita, aveva testimoniato la significativa posizione raggiunta dall’artista in Germania. Con molta attenzione aveva seguito l’ascesa al potere dei nazionalsocialisti nel 1933, i cambiamenti e le trasformazioni nella vita culturale tedesca. Negli ultimi mesi del 1935 egli scrive alla moglie Julia con preoccupazione e speranza: «Continuo a pensare che bisogna essere cauti. Voglio solo dire che sono fiducioso. (Fiducioso! In un periodo senza speranza per la cultura, in un paese in cui ogni elemento vitale della cultura viene sistematicamente perseguitato, si deve essere fiduciosi solo nel proprio lavoro» (lettera del 29 marzo 1935, in Lyonel Feininger, 1974). Una dichiarazione, questa, che testimonia in maniera esemplare l’approccio all’arte di Feininger: un approccio puramente spirituale e trascendente, che svela quindi l’autonomia del suo fare artistico dal mondo politico e materiale. Questo spiega anche il suo naturale rifiuto a partecipare a qualsiasi protesta antinazista e, invece, la sua volontà di rimanere in disparte per proteggere, fino in fondo, la propria vita privata.

Nonostante le origini ebraiche della moglie Julia e la sua devozione al Modernismo, che lo resero vulnerabile alla persecuzione nazista, Feininger era incerto circa la prospettiva di tornare negli States ed esitò molto a rispondere all’invito di insegnare al Mills College a Oakland nel 1936 per un intero semestre estivo (cfr. A. Fischer, Lyonel Feininger in Amerika, 1937-1956, in L. Feininger, Natur-Notizen: Skizzen una Zeichnungen aus dem Busch Reisinger Museum, Harvard University, 1993).

L’incertezza a chiedere asilo nel Paese d’origine nasceva anche dal suo rapporto con la cultura tedesca che, negli anni, si era sviluppato nel segno di un radicamento sempre più profondo, così forte da dover ritenere che la sua futura vita artistica negli States avrebbe rappresentato di sicuro una «morte spirituale» (T. Lux Feininger, Lyonel Feininger’s East German Pictures, in Lyonel Feininger, 1985). In questo pensiero si può anche vedere il classico pregiudizio dell’artista europeo che considerava l’America come un Paese la cui cultura non aveva ancora una precisa identità. Tuttavia, i molti problemi con il regime nazionalsocialista che lo accusava di essere ebreo e la conseguente richiesta da parte del Reichskulturkammer di provare la sua discendenza ariana, l’incursione nella sua casa effettuata dalle truppe d’assalto tedesche e la rimozione di circa 378 opere dai musei tedeschi lo persuasero poi a lasciare definitivamente la Germania.

D’altra parte, pochi giorni prima di partire aveva già riconosciuto e apprezzato la politica culturale democratica degli States: «Mi sento venticinque anni più giovane se penso di potere andare in un paese in cui la fantasia dell’arte e dell’astrazione non viene considerata un crimine, al contrario di quanto qui non avvenga» (lettera a T. Lux Feininger del 31 maggio 1937, in Lyonel Feininger. Stätde und Küsten. Aquarelle, Zeichnungen und Druckgraphic, 1992).

L’11 giugno 1937 i coniugi Feininger lasciano la Germania e solo un mese dopo l’artista sarà accusato di essere un ‘degenerato’, mentre alcune sue opere (otto dipinti, un acquarello e tredici litografie) verranno esposte alla mostra della Entartete Kunst.

Il passaggio alla nuova vita americana non è stato semplice per l’artista sessantaseienne. Anzi. Ecco cosa scrive in una lettera al suo amico e compagno di strada Alexej von Jawlensky: «Finora non sono riuscito a produrre una sola opera. L’impatto è stato troppo brusco per potere guarire facilmente. Lì: un cimitero di cari ricordi. Qui: impressioni che non si colgono senza una strenua lotta» (lettera del 27 luglio 1938, in Lyonel Feininger. Stätde und Küsten… cit.).

Nel comunicato stampa per la grande retrospettiva che Alfred H. Barr Jr. gli ha organizzato al Museum of Modern Art di New York nel 1944 l’artista descrive l’esperienza vissuta lontano dalla sua Germania: «Ho dovuto adattarmi da ogni punto di vista e, a volte, avevo come l’impressione che la mia identità si fosse avvizzita in me».

Feininger, nel suo tormento, non ha mai provato a costruire una sintesi tra le due culture o a recuperare quella perduta in America.

Solo nel 1939 riprende a dipingere. Apparentemente continua a servirsi di temi e motivi a lui familiari e che da sempre abitano la sua pittura: l’architettura gotica, i paesaggi costieri, quelli marini. Un chiaro riferimento al suo legame con la Germania romantica, specialmente con la pittura di Caspar David Friedrich.

Sopraffatto dal presente e con un futuro ancora incerto, il suo sguardo riesce a cogliere ancora temi e motivi del passato. Un passato che ha sempre orientato la sua arte. In Germania, la sua pittura viveva in simbiosi con quel luogo, apparteneva alla cultura di quei posti, nasceva da quel contesto. Una morfologia che informava i suoi lavori: «La chiesa, il mulino, il ponte, il cimitero mi hanno accompagnato dall’infanzia con sensazioni profonde e sono, nel loro insieme, fortemente simbolici» («Der Sturm», 8, 1917/1918). Da piccolo aveva visitato il Metropolitan Museum di New York e la scoperta delle architetture gotiche nelle opere della collezione lo aveva colpito molto. Non sorprende che avvertisse un’antica familiarità con l’architettura tedesca del vecchio continente, verso cui sentiva un richiamo simbolico molto forte. Il motivo delle chiese medievali non significava, per lui, una questione meramente formale bensì l’attualizzazione di contenuti spirituali. Si pensi solo all’immagine simbolo del Bauhaus, la cattedrale gotica creata da Feininger e usata come manifesto dalla scuola. E questo pensava Gropius della cattedrale gotica: «espressione cristallina dei pensieri più nobili dell’umanità, del suo fervore, del suo credo, della sua religione» (W. Gropius, Der neue baugedanke, in «Das hohe Ufer», 1, 1919).

Per continuare a dipingere Feininger aveva bisogno di sentire la comunione di vita e arte e, negli States, questa armonia proprio non riusciva a percepirla. Gli mancava l’intimo rapporto con le cose. Certo, era interessato ai grattacieli di New York, alla loro forma. Ma tutto, ora, riguardava solo la superficie delle cose, prive di profondità e di simbolismo.

Il suo distacco dall’emozionale, dal simbolico gli è chiarissimo. Ora, infatti, parla di ‘astratta smaterializzazione’ e di cancellazione di ogni elemento episodico, narrativo. Nella sua pittura, la smaterializzazione avviene con la riduzione dei motivi a una rigida impalcatura lineare, a una efficace compenetrazione per mezzo della trasparenza e della liberazione del colore dalle forme e dalle superfici. È interessante notare, ancora, che Feininger con grande consapevolezza non ha mai voluto spingersi nell’astrazione pura. Negli anni, l’artista ha continuato a sostenere che le origini della sua pittura si trovano unicamente nella natura, anche se, negli States, essa gli appare estranea. È pur vero che alcuni luoghi gli interessano molto, soprattutto Manhattan.

Nel 1940 inizia la serie dei grattacieli. Ancora una volta si misura con l’architettura, con i simboli di una cultura di un Paese. Tuttavia, nelle opere Manhattan, Night del 1940, Manhattan, the Tower e Manhattan, Dawn del 1944 si ha come l’impressione che sia in atto non solo una de-materializzazione ma anche una de-monumentalizzazione. Feininger, infatti, rinuncia ai volumi e alle masse: il motivo dei grattacieli è trattato con leggerezza, segni sottili e pochi dettagli figurativi, su uno sfondo di colori trasparenti e delicati. È come se egli avesse deciso di dissolvere nel nulla l’idea stessa di monumentalità. Lontana, lontanissima da quella solennità che emanavano le piccole chiese nella sua pittura in Germania, nonostante la loro, pur evidente, scomposizione prismatica. I grattacieli di New York mostrano un desolante vuoto metafisico.

Ma nel 1953 l’artista è costretto a riconoscere tutto il senso dalla perdita: «Quello di cui, più di tutto, sento la mancanza è disegnare la Natura, realizzare ‘Notizie’, come un tempo, sul Ostsee, o a Deep o nei piccoli villaggi nei dintorni di Weimar. In qualche modo i motivi qui non riescono a darmi alcun piacere; hanno poco peso nelle mie scelte e sono solo copie naturalistiche» (lettera a T. Lux Feininger, 6 ottobre 1953, in Lyonel Feininger, 1974). Le parole di Feininger descrivono quella sensazione desolante che Edward Said ha chiamato «rhetoric of belonging» (E. Said, Reflections on Exile, in Out there: Marginalisation and Contemporary Cultures, 1990). È un venir meno di quel senso dell’appartenenza ai luoghi e alle culture, fondamentali per l’esperienza artistica di Feininger.

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