SENSO

Mi considerano uno spietato assassino, che attende l’ultimo momento delle vittime per finirle con un crudele e conclusivo inganno. In realtà, amo soltanto la sublime bellezza dell’illusione. Vivo lungo l’orlo delle sue estremità, inaccessibili alla ragione. Vivo nel deserto tra le dune e le spianate di sabbia infinita: luogo incalcolabile come l’abisso, immenso come il firmamento. Mi abbandono al dolce moto delle dune che si sollevano e si posano quali onde marine, scivolo meravigliato nei luccichii della sera quando milioni di granelli rilucono prima di andare a creparsi nella gelida notte e a rinnovarsi al primo bagliore. Vivo nel niente, nel vuoto arido e soffocante che strugge ogni speranza, come uno specchio senza volto. Solo, tra sterminate lande desolate mi lascio trasportare dal vento rovente mentre dolcemente accarezza il manto biondo del deserto, rotolo gioioso sulle mobili gobbe di sabbia e vi scivolo giù, giocando festoso e insolente come un bambino senza rimproveri. Eppure, mi giudicano odioso quanto una promessa rinnegata: sono lo spregevole maestro del raggiro, brutale e vanesio. Non ho colore, però mi ammanto di qualsiasi tinta, delle più sfuggenti screziature di ogni raggio, dei più impercettibili riverberi. È proprio grazie a questa intimità con ogni forma di variopinta lucentezza che creo, tramo come un ragno, abilissimo geometra, tessere di colori e di sprazzi di lucore, minuti e tinteggiati tasselli che poi cucio intrecciandoli con i fili d’aria del vento impetuoso. Ne ho un assortimento sconfinato e quando in questi posti terribili, riarsi e detestati dall’umano, qualcuno vi si perde io lo soccorro pietosamente. Mentre sta per morire ne intuisco l’ultima speranza, gli ultimi disegni, e compassionevole gli faccio vedere i pensieri che invoca, i desideri che gli pacificano l’anima. Raccolgo quei pezzetti di luce e di colori, li mescolo, li compongo e gli mostro l’estremo sogno. In quel balbettio di riflessi baluginanti dipingo le scene richieste laddove poggiano i loro sguardi. C’è chi vi scorge un lago d’acqua o una fonte per dissetarsi, chi i lineamenti dei suoi cari, chi terre verdeggianti, chi l’abbraccio materno, chi la culla dove nacque, chi finalmente vi ritrova l’amore perduto, chi vi distingue riflesso il pianto della sua stupidità o il volto della follia.

Si lasciano andare nella visione che gli apparecchio con cura, puntualmente reale come la più bramata illusione: vi entrano dentro sino a farne parte, a esserne i protagonisti, e sorridenti migrano altrove come dune mosse.

multiverso

14