S/VELO

Elena Brigi. Ogni mio incontro con Franco Clivio è accompagnato dallo scambio augurale di piccoli doni: ognuno di questi parla il linguaggio che ci accomuna, quello del design, anzi dell’industrial design: viti, bulloni, molle, bottoni, oggetti in filo di ferro, coltelli, martelli, giunti di fissaggio, libri tecnici, manifesti sulla storia della matematica o sull’arte della macchina.

Anche quando il regalo è la cioccolata, un regalo scontato per chi è svizzero, in realtà è il preludio di un nuovo discorso: «Sai – mi dice – per fare questo packaging hanno chiamato un architetto famoso, Jean Nouvel. Per confezionare 140 grammi di cioccolata ha usato 80 grammi di plastica, incredibile. Sono pazzi questi svizzeri!».

Questa volta, però, non ha con sé il prezioso cofanetto di oggetti con il quale ama stupirti parlando dell’ultimo acquisto, dell’intelligenza di chi l’ha progettato, di come è fatto, dell’ironia che a volte nasconde e della fortuna che ha avuto nel trovarlo. Ha portato, invece, le prime immagini del libro che finalmente ha preso l’impegno di scrivere: è da tanto che ne parliamo, sarà un’occasione, per chi lo leggerà, di avvicinarsi al mondo dell’industrial design entrando dalla porta giusta.

Siamo sempre più circondati da oggetti che appartengono al così detto design riconosciuto, quello patinato di molte riviste, dove essere glamorous è uno dei requisiti principali. Il più delle volte sono prodotti banali, complicati e poco funzionali: sedie, divani, poltrone, lampade, che ambiscono ad essere sempre qualcosa d’altro e mai, come prima cosa, quello a cui sono riservati. Anche i prodotti destinati ad aiutarci nel fare qualcosa sono diventati dei rompicapi confezionati secondo i requisiti di un design strategico, dove di strategico, però, c’è solo l’aspetto diabolico con cui sono stati progettati.
Ma il design, l’industrial design, non è questo, anzi non lo è mai stato. Il design non è un design glamour per designer trendy.

La cultura del progetto è da sempre un risultato articolato, complesso, ma mai complicato, fatto di operazioni dove la forma, la funzione, la tecnica, i materiali, le esigenze della collettività, sono elementi coesi nella ricerca di nuove forme, al centro della creatività dei progettisti. Anche quando è stata intrapresa la strada difficile dell’innovazione, solo i prodotti capaci di superare le difficoltà causate dalle relazioni economiche, sociali e tecnologiche, hanno effettivamente aperto la strada a nuove soluzioni formali, produttive.
In generale, di tutti gli oggetti possiamo dire tante cose. Parlare della loro forma, della loro leggerezza, della precisione, della visibilità, della riproducibilità.

In questa nostra conversazione partiamo allora proprio dagli oggetti, semplici e potenti allo stesso tempo, a volte così piccoli o così comuni da fare dimenticare anche a noi che li studiamo, la loro intelligenza, la loro capacità di raccontare storie. Fra le molte immagini ne scelgo due, quella di un sottopentola in filo di ferro, per me fantastico, e quella di un paio di forbici.

Franco Clivio. La prima volta che ho visto questo sottopentola avevo 25 anni ed ero a Ulm: uno studente all’inizio del suo percorso nel mondo dell’industrial design. L’ho visto e sono rimasto colpito, ne ho comprati subito quattro, sono tornato a casa e li ho fissati al muro. Quello è stato il mio primo quadro nella casa di Ulm. Raccontare cosa è questo sottopentola è un po’ come alzare il velo che gli oggetti hanno.

Un velo impercettibile che se sei distratto, se non dai importanza alle cose, se non rifletti sul perché e sul come, lascia le cose mute, senza parole. Questo sottopentola rappresenta molto bene cosa è il prodotto industriale: un oggetto ben fatto, formalmente corretto, esteticamente perfetto, funzionale, prodotto industrialmente, realizzato con un solo materiale, universale, economico e ripetibile. Rispetta moltissimi requisiti. Un’immagine fantastica che puoi guardare in diversi modi. Anche il suo profilo ha significato.
È un oggetto perfetto, al quale non puoi aggiungere o togliere niente. Tutto funziona.
Nel caso del sottopentola la leggerezza non è solo fisica, ma anche formale: è leggero, peserà non più di 100 grammi, ma puoi appoggiarci sopra una pentola di oltre 10 chili. Il materiale, il filo di ferro, è un semilavorato industriale, facile da usare. Il vetro per esempio non lo puoi usare come vuoi: o moli tutti gli angoli o gli crei una cornice. L’intelligenza del filo non finisce lì: è usato come se fosse un tessuto, una trama; per realizzare l’oggetto non hai bisogno di pensare sistemi di connessione fra le parti, con il filo fai anche il giunto.

Ma c’è qualche cosa di più. Creato tutto sulla geometria del cerchio, riesce a rendere il massimo della sua funzione – disperdere il calore – sfruttando solo i punti di contatto, come se fossero chiodi: non una superficie continua, ma tanti punti isolati e tanta aria che ci passa in mezzo. Tutto questo lo rende un pessimo conduttore o, meglio, un ottimo isolante. La forma, l’estetica, la quantità di materiale usato sono in relazione alla funzione, al costo. Incredibile quante cose può raccontare questo semplice sottopentola.

Per quanto riguarda le forbici, invece, sono più di vent’anni che le raccolgo: forbici arancioni, dall’originale della Fiskars alle innumerevoli copie. La gente compra normalmente forbici, forbici false in questo caso, perché non lo sa, non vede che sono una copia; anzi, in un prodotto d’uso quotidiano, economico, non le interessa vedere cosa lo rende falso. Non è certo la scritta, ma se le usi capisci subito cosa non va.

Queste forbici, le originali, hanno una forma che non è nuova. C’erano già quelle per i sarti con questa forma particolare, funzionale per tagliare la stoffa: l’inclinazione dell’impugnatura rispetto alle lame ti permette di appoggiarti al tavolo quando tagli, così il piano ti aiuta e ti guida. La Fiskars ha ripreso tutto questo, in particolar modo l’impostazione dei manici. Le ha rese poi economiche realizzando l’impugnatura in resina e ricavando le lame da lastre di acciaio, non più pezzi fusi come in quelle dei sarti.
Il colore arancione all’inizio è stata una scelta funzionale alla visibilità sul mercato. Ora le copie imitano anche quello, creando ulteriore confusione.

In questo caso, gli oggetti di industrial design vanno in un certo senso contro corrente rispetto a quelli della moda: chi copia una borsa di Prada, cerca di farla più fedele possibile rispetto all’originale; nel caso delle forbici, invece, a chi copia non interessa la fedeltà della forma. Per conquistare il mercato punta tutto sulla confusione del colore.

Diversamente dalla borsa di Prada, chi compra una forbice non sa se sta acquistando un originale o una copia, perché non conosce la differenza. Vero o falso? Riesci a capirlo solo se visualizzi bene l’oggetto, se lo conosci.

multiverso

5