S/VELO

Luigi Gaudino intervista Felice Casson

Luigi Gaudino. Quando si parla di velare – e magari di svelare – qualcosa, il pensiero non può non cadere sul tema del segreto di Stato. È una formula che richiama i molti misteri che hanno segnato la storia italiana del dopoguerra, dalla strage di Portella delle Ginestre in poi. Ma quali sono le regole che, nel nostro ordinamento, disciplinano la gestione del segreto? A chi tocca decidere quali informazioni sono destinate a rimanere nell’oblio e per quali è invece giunto il momento dello svelamento?

Felice Casson. Le regole sono cambiate da poco: il 3 agosto di quest’anno è stata approvata in via definitiva dal Parlamento una legge che riformula la materia che regolamenta il segreto di Stato e gli apparati dei Servizi di sicurezza. Fino a quella data era in vigore la legge n. 801 del 1977, all’interno della quale il secondo comma dell’articolo 12 diceva, sostanzialmente, che in nessun caso è opponibile il segreto di Stato quando si tratta di fatti eversivi dell’ordinamento costituzionale. Questa formula, così chiara, è stata però nel corso degli anni passati travisata da una parte e dall’altra ed è stata utilizzata più per nascondere i dati necessari all’investigazione della magistratura che non per aiutare, anche forzando in questo modo l’interpretazione della norma. Con la nuova legge questo importante concetto è stato sostanzialmente ripreso e rafforzato; inoltre – e questa è forse la novità principale – essa introduce un limite temporale al segreto di Stato nel senso che, a seconda del tipo di documenti di cui si tratta, il segreto vige soltanto per un determinato numero di anni (normalmente quindici anni, salvo proroghe motivate). In ogni caso, l’opposizione di un segreto di Stato può essere effettuata da chiunque, in teoria, abbia a che fare con materia coperta dal segreto, e quindi potrebbe essere un dipendente dei Servizi di sicurezza, ma anche un poliziotto, un pubblico amministratore, un dipendente che abbia notizie di tale natura. Di fronte a una opposizione di questo tipo il magistrato può condividerla, e quindi fermarsi e procedere in questo senso a una chiusura dell’indagine, oppure può ricorrere al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale può decidere se confermare o meno, attraverso la via dell’interpello, questo tipo di segreto. In materia di Servizi di sicurezza e di segreti di Stato viene poi attribuita una competenza maggiore al Comitato parlamentare di controllo che, rispetto al passato, ha avuto un aumento del numero dei membri e delle competenze quanto ad indagini, investigazioni ed approfondimenti. In caso di conflitto tra magistratura e Presidente del Consiglio dei Ministri c’è il ricorso alla Corte costituzionale, davanti alla quale il segreto di Stato non può essere opposto in nessun caso.

Luigi Gaudino. Sin qui siamo rimasti sul piano delle regole formalizzate. Sappiamo però che, nella realtà, il terreno del segreto è abbastanza nebuloso. Ci sono segreti che sono rimasti tali per decine di anni senza che ancora si sappia chi, e in base a quale potere, abbia deciso che determinate vicende dovessero restare nell’oblio. L’esempio, stavolta, è quello del cosiddetto ‘armadio della vergogna’, nel quale sono rimaste sepolte per decenni le inchieste sulle stragi nazifasciste. Si può dire allora che esistono segreti che sono tali ‘ufficialmente’ e altri che lo sono in maniera misteriosa?

Felice Casson. Penso che, al di là dell’opposizione formale del segreto di Stato, la questione fondamentale sia quella della volontà politica: a distanza di tanti anni dalle stragi o da molti altri gravissimi fatti criminosi – sto pensando ad esempio all’attentato di Via Fani – non possiamo pensare di trovare scritto su un documento dei Servizi di sicurezza, ad esempio, chi ha commesso l’attentato: non si tratta di un problema legato alla opposizione formale o meno del segreto di Stato. È un problema di volontà politica degli attori e dei protagonisti di quella vicenda. Mi viene in mente in maniera emblematica la strage di Ustica: non c’è un documento in Italia dove sia scritto cos’è successo; invece ci dovrebbe essere una volontà politica molto forte per intervenire sia al nostro interno, nei confronti dei vertici militari e dei Servizi di sicurezza, sia nei confronti degli alleati, in particolare Francia e Stati Uniti, per chiedere, e addirittura pretendere, la verità su un fatto così grave.

Luigi Gaudino. Nel corso degli anni si sono susseguiti Governi di diversa tendenza. Esiste qualche esempio significativo di rimozione del segreto di Stato?

Felice Casson. Posso parlare della mia esperienza: durante le indagini sulla strage di Peteano erano emersi degli elementi relativi all’esistenza di una struttura clandestina che faceva riferimento ai Servizi di sicurezza, non solo nazionali ma anche internazionali, poi nota con il nome di ‘Stay Behind’ o Gladio. Ci fu quindi una serie di contatti epistolari diretti con l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Giulio Andreotti, a seguito dei quali ho avuto l’autorizzazione ad accedere agli archivi dell’allora Sismi per poter verificare – al di là di qualsiasi precedente opposizione, di qualsiasi segreto che potesse essere frapposto in quel momento anche in futuro anche per il passato – la documentazione in possesso dei Servizi. Penso che questo sia un esempio emblematico ed anche molto importante: tanto che al tempo ha fatto scatenare le ire dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Luigi Gaudino. Un altro passaggio mentale del tutto automatico è quello che associa il segreto di Stato all’attività dei Servizi segreti. Anche qui la storia italiana è densa di misteri. Almeno dagli anni Sessanta in poi si sente parlare di ‘Servizi deviati’. Al comparire di qualche scandalo si risponde con riassetti normativi, con mutamenti di sigle (il Sifar, il Sid, il Sisde, il Sismi), che durano sino allo scandalo successivo. Bisogna rassegnarsi all’impossibilità di coniugare legalità e intelligence; efficienza dell’attività dei Servizi e controllo democratico sul loro operato? È davvero inevitabile l’esistenza – nella migliore delle ipotesi – di una zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è?

Felice Casson. Non ho mai condiviso l’espressione ‘Servizi deviati’, perché per me, soprattutto per il passato, i Servizi non sono mai stati deviati ma sono stati istituiti ed hanno operato così come hanno operato rispondendo ad una logica politica ben chiara. Al limite, riesco a pensare a Servizi deviati nel senso che deviati erano i Servizi che rispettavano le leggi e lavoravano assieme alla magistratura alla ricerca della verità rispetto agli altri. L’esperienza nei processi per fatti di strage e terrorismo mi ha insegnato che sono stati rarissimi i casi di collaborazione mentre invece sono stati numerosissimi i casi di depistaggi e di deviazioni ad opera dei Servizi di sicurezza.

Luigi Gaudino. Un’ultima curiosità. Il mondo dei Servizi – quello in qualche modo regolamentato – è tradizionalmente istituzionale. Non mancano però i segnali – anche a livello internazionale – di un certo attivismo di carattere ‘privato’ (pensiamo ad esempio al caso Telecom, o alla presenza dei contractors in Iraq e Afghanistan). Qual è attualmente il ruolo di agenzie private, gruppi, consorterie nella raccolta, nella gestione, nell’uso di informazioni?

Felice Casson. Sono convinto che non sia assolutamente un fenomeno nuovo ma che ci sia sempre stato; probabilmente adesso se ne parla di più e si fa più in fretta a scoprirlo. Cito alcuni esempi sintomatici della recente storia d’Italia: uno fa riferimento all’epoca in cui era presidente della Fiat Vittorio Valletta (dal 1946 al 1966) il quale aveva rapporti non solo con i Servizi di sicurezza – in particolare per la parte che più gli interessava, ossia quella riguardante lo spionaggio in materia industriale – ma anche con associazioni di tipo massonico, nazionali e internazionali. Negli anni successivi abbiamo visto che quando sono stati scoperti documenti e personaggi della loggia massonica P2 c’era un interesse fortissimo fra loro ad avere loro adepti ai vertici dei Servizi di sicurezza, tanto che, all’epoca della strage di Via Fani, tutti i capi dei nostri Servizi erano iscritti alla P2. Questo era successo anche all’inizio degli anni Settanta, all’epoca del generale Maletti. Tutto ciò vuol dire che un’attenzione di logge, di interessi, di consorterie private sulle attività dei Servizi o la commistione delle loro attività c’è sempre stata e per certi versi è purtroppo comprensibile. Il problema è quello di fare in modo che non ci siano questi contatti illeciti e che le verifiche e i controlli possano essere efficienti ed anche efficaci.

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