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Ha scritto Albert Einstein nel suo testamento scientifico-filosofico, Come io vedo il mondo: «Quale gioia profonda a cospetto dell’edificio del mondo e quale ardente desiderio di conoscere – sia pure limitato a qualche debole raggio dello splendore rivelato dall’ordine morale dell’universo – dovevano possedere Kepler e Newton per aver potuto, in un solitario lavoro di lunghi anni svelare il meccanismo celeste! […] Indubbiamente, questo sentimento è paragonabile a quello che animò gli spiriti religiosi di ogni tempo». In questo suggestivo testo la scienza, nel suo tentativo di svelare e di rivelare i segreti della natura, è apparentata dal grande scienziato alla religione cosmica, che sente il mondo come svelamento di una intelligenza superiore al «ridicolo nulla» dei pensieri umani. Ma c’è qualche cosa da svelare oltre i meccanismi del mondo? Lo stesso Einstein confidava: «La questione più grave che si possa porre sulla vita è di sapere se l’universo manifesta benevolenza o ostilità nei nostri riguardi». E, questo, la scienza non è in grado di svelarlo.

Nella letteratura filosofica rimane paradigmatico l’antico testo del Fedone di Platone dove, nel bel mezzo della discussione sull’immortalità dell’anima e sul destino finale dell’uomo, si afferma: «Infatti, trattandosi di questi argomenti, non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri come stiano le cose, oppure scoprirlo da se stessi; ovvero, se ciò è impossibile, accettare, fra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare e, su quello, affrontare il rischio della traversata del mare della vita: a meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, cioè affidandosi a una rivelazione divina».

A questi interrogativi – che vanno oltre la scienza e la filosofia – rispondono le religioni, che si appellano ad una rivelazione divina. La rivelazione non è, quindi, un concetto tipicamente cristiano, ma inter-religioso, che assume connotazioni diverse. La rivelazione divina è contenuta e trasmessa in Libri che vengono chiamati Scritture sacre, in quanto rimandano ad una origine trascendente.

Nell’induismo, la parola di Dio udita dai saggi è stata messa per iscritto in sanscrito nei Veda e nel Canto del Beato come Sruti, come «ciò che è stato udito», e rappresenta la fonte principale della rivelazione.

Per il buddismo il concetto di rivelazione non assume particolare importanza. Il filosofo indo-catalano Raimon Panikkar ha presentato il buddismo in un incisivo libro dal titolo provocante, Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha: «La risposta del Buddha consiste nel non rispondere, perché la risposta non risponde a niente». Il Buddha indica solo la Via. Lo scrittore cattolico Romano Guardini ha scritto: «C’è un solo uomo che ci può suggerire l’idea di una vicinanza con Gesù. Si tratta del Buddha. Quest’uomo è un grande mistero».

Nell’ebraismo, la rivelazione della Legge e dell’azione di Dio nella storia, sta scritta in lingua ebraica nella Torah e nella Bibbia ebraica e trova il suo fondamento in una storia di alleanza tra Dio e Israele, aperta al futuro.

Nel cristianesimo, la storia dell’alleanza tra Dio e Israele si dilata e si intensifica, si universalizza e si radicalizza (Moltmann) nella storia di Gesù e nel Vangelo, che deve essere annunciato come lieta notizia di salvezza «fino agli estremi confini della terra» (Atti 1, 8).

Nell’Islam la rivelazione di Dio è comunicata al profeta Muhammed e fissata nel Corano nella «chiara lingua araba» come parola originaria di Dio, alla cui forma e contenuto il profeta non ha collaborato, per cui è rifiutata ogni esegesi storico-critica del testo rivelativo coranico.

Nella teologia cristiana la parola di Dio, seguendo Karl Barth, è vista nelle sue tre forme: la parola predicata dalla Chiesa, che rimanda alla parola scritta della testimonianza biblica, che, a sua volta, trova il suo fondamento nella parola della rivelazione di Dio che è attuata in Gesù Cristo. Gesù Cristo è la realtà oggettiva della rivelazione e della sua conoscenza. È con il passo della fede che si accoglie la parola della rivelazione di Dio.

Il concetto di rivelazione segna il confine tra filosofia e religione positiva (o rivelata), pone il problema del rapporto tra ragione e fede, individua la fonte della tensione tra illuminismo e cristianesimo, quale si è sviluppata nel pensiero occidentale in epoca moderna. Ragione e fede, pure nella loro distinzione, possono essere viste in continuità, e non in contrasto. La continuità sta nel fatto che ragione e fede sono orientate al futuro; la distinzione sta nel fatto che la fede è orientata al futuro escatologico, proletticamente apparso nella storia di Gesù. La fede può così ‘inverare’ la ragione, perché la fede porta ad espressione l’inespresso della ragione. Il rapporto tra ragione e fede attende, dunque, di essere riformulato; è contro la ragione moderna, che è ragione storica aperta in avanti alla ricerca di significati, prospettarlo ancora come rapporto di razionalità (ragione) ed irrazionalità (fede).

Ma perché il passo della fede? E dove conduce il credente? Lo si può esprimere brevemente con queste parole del paleontologo e filosofo cristiano Teilhard de Chardin, che sembrano fare da contrappunto alle parole, già citate, di Einstein: «Se l’uomo vive lontano da Dio, l’universo rimane per lui neutro e ostile. Ma se l’uomo crede in Dio, subito, attorno a lui, gli elementi dell’inevitabile, anche dell’increscioso, si organizzano in una Totalità benefica, ordinata verso il successo finale della vita».

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