S/VELO
Quando la politica copre la verità: il caso di Genova
di Lorenzo Guadagnucci
Le giornate del G8, nel luglio 2001 a Genova, hanno segnato un punto di svolta nella storia recente del nostro paese. È perfino banale segnalarlo. Quei tragici giorni, che pure erano stati anche esaltanti prima che la violenza prendesse il sopravvento, hanno cambiato profondamente gli equilibri sociali e politici interni, la percezione dello Stato e le relazioni fra le forze di polizia da un lato, il potere politico, gli apparati giudiziari, la cittadinanza dall’altro. Schematizzando, possiamo dire che il G8 del 2001 ha inferto un colpo durissimo, quasi mortale a un movimento nascente; ha messo in discussione la tenuta delle garanzie costituzionali; ha mostrato l’inadeguatezza e i gravi limiti, sotto il profilo dell’etica democratica, delle nostre forze dell’ordine.
Il movimento
La nascita del Genoa social forum, nei mesi precedenti il G8, è forse il più importante evento politico-culturale degli ultimi decenni. La rete che si costituisce, coinvolgendo centinaia di associazioni, gruppi, partiti, movimenti, porta alla ribalta una tensione politica, ribollente nel cuore della società, fino a quel momento rimasta pressoché invisibile. Si manifesta insomma in Italia la stessa mobilitazione in corso nel resto d’Europa e nel mondo attorno ai temi della giustizia globale, della difesa dell’ambiente dalle minacce portate da un sistema economico vorace e distruttore di risorse, della denuncia dello strapotere acquisito su scala planetaria da pochi paesi e da un apparato istituzionale opaco e non democratico (lo stesso G8, ma anche istituzioni come la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale per il commercio).
Pochi mesi dopo il primo Forum sociale mondiale di Porto Alegre (gennaio 2001), prende insomma corpo in Italia un movimento che pare destinato a incidere profondamente nella cultura politica del paese, sia per il numero dei gruppi aderenti, sia per la trasversalità delle appartenenze (si va dai gruppi religiosi ai centri sociali, dai comitati ambientalisti a formazioni sindacali, superando storiche barriere), sia per la radicalità dei contenuti, che non impedisce – anzi – di attirare anche migliaia di giovani e singoli cittadini digiuni di militanza. La contestazione al G8, per questo movimento, doveva essere un trampolino di lancio, e si è rivelata invece una brusca frenata. La partecipazione di 300 mila persone al corteo di sabato 21 luglio 2001, nonostante l’uccisione, il giorno prima, di Carlo Giuliani, è la riprova di quanto fosse coinvolgente e convincente il ‘messaggio’ del Genoa social forum. La brutale repressione operata dalle forze dell’ordine, e la seguente aggressione mediatica al movimento, accusato d’essere portatore di violenza, hanno compromesso la credibilità dell’intero movimento, di lì in poi additato – dai principali media, con la complicità della quasi totalità delle forze politiche tradizionali – come pericoloso, estremista, inaffidabile. La possibile se non probabile ascesa del ‘popolo di Porto Alegre’ è stata soffocata sul nascere.
Le garanzie costituzionali
Si può dire, senza timore di esagerare, che fra il 20 e il 22 luglio 2001, nella città di Genova, la Costituzione repubblicana è stata ripetutamente calpestata. Lo stato di diritto è stato sospeso. In certi momenti critici si è assistito a una sorta di collasso dei pilastri della democrazia. L’Italia si è scoperta diversa da come credeva d’essere. Alla scuola Diaz una feroce ‘spedizione punitiva’, condotta alla presenza di altissimi dirigenti di polizia, è stata legittimata e avallata, non solo a caldo, ma anche negli anni seguenti ai fatti, nonostante ventinove funzionari e dirigenti siano sotto processo, e a dispetto di una ricostruzione dei fatti ormai incontrovertibile. Gli imputati di grado più alto sono addirittura arrivati al processo con gradi e ruoli più elevati di quelli che avevano nel 2001, grazie alle promozioni garantite da vertici di polizia e responsabili politici compiacenti. Nella caserma di Bolzaneto gli innumerevoli abusi compiuti sui detenuti hanno azzerato le garanzie costituzionali, e anche in questo caso, a sette anni di distanza, lo stato sembra indifferente: si è delegato alla magistratura il compito di accertare eventuali responsabilità penali individuali, ma si è evitato di fare i conti, sul piano etico e politico, col drammatico cedimento delle tutele costituzionali.
Recentemente cinque sentenze del tribunale civile hanno obbligato il ministero dell’Interno a risarcire alcuni cittadini ingiustamente picchiati e maltrattati dagli agenti durante le manifestazioni: anche in questo caso il potere politico non è intervenuto. Nelle strade di Genova è stato messo in discussione lo stesso diritto a esprimere il proprio dissenso, come denunciato da innumerevoli osservatori indipendenti e da organizzazioni come Amnesty International. Il parlamento italiano, in sette anni, non è riuscito a istituire una commissione parlamentare d’inchiesta.
Le forze dell’ordine
Livio Pepino, all’epoca presidente di Magistratura democratica, oggi membro del Consiglio superiore della magistratura, in un saggio uscito a caldo sul numero 5/2001 di «Questione giustizia», ha scritto: «A Genova è stata scritta – va detto senza timore di esagerazioni – una delle pagine più buie degli ultimi decenni in punto gestione dell’ordine pubblico e comportamenti degli apparati di polizia».
La gestione dell’ordine pubblico, durante il G8, fu mal concepita e peggio realizzata. La scelta di difendere come un ‘fortino’ la zona rossa e di impiegare strutture e dirigenti del tutto impreparati ad affrontare un’imponente manifestazione di piazza, si è rivelata fallimentare. È mancata qualsiasi opera di prevenzione e dissuasione dei gruppi violenti presenti fra i manifestanti, e i reparti speciali hanno finito per esasperare le tensioni e incitare allo scontro. Le immagini degli agenti che inseguono le persone per strada, che colpiscono uomini e donne impauriti e con le mani alzate in segno di resa, gli innumerevoli arresti gratuiti e immotivati, hanno offerto un quadro spaventoso delle nostre forze dell’ordine. Il ritratto, già impietoso, è stato reso ancora più crudo dalla rivelazione degli abusi compiuti alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto. Dopo venticinque anni dall’ultimo caso, il 20 luglio 2001 si è avuto un morto fra i manifestanti, a causa di uno dei colpi di pistola (oltre venti) sparati dagli agenti. L’irrisione dei detenuti con cori fascisti, i ripetuti inneggiamenti a Pinochet, le telefonate – rivelate anni dopo – intercorse fra le pattuglie e la centrale operativa, con gli insulti sprezzanti ai manifestanti e i gridolini di giubilo per l’uccisione di Carlo Giuliani («uno a zero per noi, yeah» detto da una poliziotta), hanno rivelato una cultura fascistoide rimasta a lungo nell’ombra. La reazione becera e corporativa di larga parte del sindacalismo di polizia ha infine segnalato quanto poco la cultura democratica si sia radicata nella stessa polizia di stato dopo la smilitarizzazione decisa nel 1981.
Quel che resta, a sette anni di distanza dai fatti, è un paese sfregiato, incapace di guardarsi allo specchio e di far vivere i valori costituzionali dentro le istituzioni e negli apparati di sicurezza. Nessuno ha ancora chiesto scusa alle vittime delle violenze commesse da uomini in divisa; i responsabili operativi e politici degli abusi non sono stati rimossi, semmai coperti e premiati; l’opinione pubblica continua a percepire l’immagine – falsa e assurda – delle violenze che si elidono: da un lato quella dei manifestanti, dall’altro la ‘necessaria’ risposta delle forze dell’ordine.
Il G8 di Genova del 2001 ha probabilmente aperto la ‘fase autoritaria’ della nostra democrazia.