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Identità e confini interni

La biografia di ogni individuo si sviluppa nella continua definizione del complesso rapporto tra sé e gli altri: ciascuno compone la propria identità da un lato identificandosi con gli altri, dall’altro separandosene. Identificazione, differenziazione e riconoscimento costituiscono processi fondamentali che rafforzano i confini individuali mediante la partecipazione di un soggetto ai gruppi e alle formazioni sociali che, nelle diverse fasi della sua biografia, costituiscono le sue cerchie di appartenenza (cfr. G. Simmel, Sociologia, trad. it. di G. Giordano, Edizioni di Comunità, 1989). L’esperienza più significativa di questi processi si sviluppa all’interno dei gruppi familiari e parentali, che segnano la prima forma di appartenenza e con essa l’identità.
Nel corso della sua esistenza, la biografia individuale si configura quindi come definizione di sé ed emancipazione dal gruppo familiare. Significati, modi e tempi di questo percorso dipendono dalle caratteristiche del singolo, dalla struttura e dalle relazioni all’interno della famiglia, ma anche dal contesto storico-sociale di riferimento che stabilisce assetto e funzioni dei gruppi parentali. In Italia, più che in altri paesi europei, le famiglie costituiscono ancora il più solido sistema di solidarietà per gli individui, soprattutto per quelli che fronteggiano una qualche forma di debolezza che li accompagna nel corso dell’intera esistenza. Sebbene i discendenti mostrino oramai elevati gradi di autonomia dai propri ascendenti e dal gruppo parentale più ampio e i confini della famiglia la disegnino come nucleare, di piccole dimensioni e caratterizzata da relazioni intime, le scelte più significative della vita degli individui sono ancora condivise al suo interno. I percorsi scolastici, la ricerca di un’occupazione, i tempi e modi del fare famiglia sono eventi biografici che segnano ancora la transizione all’età adulta e sono resi possibili dal supporto che i più giovani ricevono in seno alle solidarietà intergenerazionali.
Tale influenza non si interrompe neppure con l’uscita da casa, dato che la prossimità abitativa e lo scambio di aiuti di cura, quasi quotidiano, tra le generazioni stringono i componenti del nucleo ben oltre la coabitazione. Il presupposto affettivo e di reciprocità che anima queste relazioni sociali occulta i costi e i processi di negoziazione che definiscono tempi e modalità della circolazione degli aiuti all’interno della famiglia (cfr. C. Facchini, Conti aperti. Denaro, asimmetrie di coppie e solidarietà tra le generazioni, il Mulino, 2008). Da qui originano spesso conflittualità tra ascendenti e discendenti, ma anche tra fratelli e sorelle che competono per le risorse disponibili in ambito domestico. Se in passato questo momento era confinato alla successione e alla divisione dell’eredità post mortem, oggi il processo comincia negli scambi inter vivos, dato che i genitori attribuiscono più frequentemente le risorse nel corso della propria vita ritenendo più utile supportare i propri discendenti nelle fasi significative della loro esistenza. Anche queste scelte sono oggetto di definizione, più o meno esplicita, in ambito familiare in modo da essere condivise e accettate da tutti i componenti. Tali processi interessano individui e famiglie di tutte le classi sociali, anche se le motivazioni, i modi e tempi della negoziazione possono essere differenti tra classi superiori e inferiori. Vi è però un tratto comune che le accompagna, ovvero che le scelte sono ispirate da un generico principio di eguaglianza di trattamento tra i discendenti. Si sviluppa una vera e propria contabilità familiare intorno a risorse, aiuti e scambi che influisce sulle scelte sia del singolo che del nucleo nel suo complesso. I gruppi familiari assolvono in questo modo una funzione fondamentale e sono sottoposti a un impegno crescente anche in ragione della progressiva riduzione delle risorse pubbliche. Le opportunità per i più giovani dipendono quindi, in modo diretto, dagli aiuti che le famiglie d’origine mettono a disposizione nel corso del tempo. D’altro canto, sui figli convergono aspettative, desideri, progettualità e insistono norme sociali che considerano ‘scontato’ questo impegno nel favorire i processi di mobilità intergenerazionale. Ai figli è comunque riconosciuta anche la possibilità di allungare i tempi della transizione all’età adulta fino a quando non dispongano delle condizioni considerate migliori per uscire da casa e formare una nuova famiglia. In questo modo, le convivenze dei figli adulti determinano una rete affettiva solida e stabile che porta con sé però anche vincoli e condizionamenti per ascendenti e discendenti. In tali contesti, persistono le differenziazioni interne di genere, età e generazione che definiscono asimmetrie tra i componenti dei gruppi familiari in termini di potere e controllo delle risorse, ma soprattutto nelle possibilità di espressione delle proprie identità. Nel quadro di una retorica che descrive la famiglia contemporanea come luogo accogliente, egualitario e libero, nella realtà si profilano conflitto e negoziazione. Gli orientamenti sessuali, le aspirazioni, le disposizioni d’animo dei singoli sono poste al vaglio del gruppo familiare e parentale che, con gradienti diversi, agevola o contrasta le scelte di ogni componente.
Se queste sono le dinamiche, si intravede una dicotomia che, da un lato, enfatizza l’impegno degli ascendenti a garantire ai propri figli maggiori opportunità di realizzazione di sé e delle proprie aspettative ma, dall’altro, sottolinea le influenze sugli esiti dei processi di individualizzazione e autonomia dei più giovani. Gli effetti delle ingerenze degli ascendenti cambiano in ragione della struttura e intensità anche delle solidarietà presenti e future. Numerose ricerche nazionali e internazionali hanno dimostrato che le famiglie stabiliscono un patto intergenerazionale che viene continuamente negoziato e condiviso dai suoi componenti e che, parallelamente ad esso, esistono valori e norme a cui si associa un sistema di sanzioni in caso di comportamenti non conformi alle aspettative (cfr. M. Breschi, E. Cioni [a cura di], Fare figli in Sardegna, Forum, 2017).

I confini esterni delle famiglie

Fino ad ora, si è parlato di gruppi familiari e delle dinamiche interne che definiscono i confini tra questi e l’individuo. Il discorso sarebbe però incompleto, se non ponessimo una serie di interrogativi ad esso correlati: come si definisce oggi il gruppo familiare? Quali sono i suoi confini esterni? E in che modo tali confini riverberano effetti sulle appartenenze dei singoli?
Il tema è complesso e non si può fornire una risposta univoca e certa in questo breve contributo. Si può però provare a dare direttrici per comprendere le dinamiche contemporanee a partire dalle evidenze empiriche più consolidate. Gli interrogativi possono apparire banali in ragione del fatto che l’esperienza diretta della vita familiare induce un senso comune che fa intendere la propria come esaustiva dei tipi familiari osservabili nei contesti sociali.
In generale, per classificare le forme familiari si considerano due dimensioni: la struttura e le relazioni che intercorrono tra i suoi componenti. Riferendoci al caso italiano, le strutture familiari segnalano la prevalenza di gruppi con un nucleo costituito da una coppia coabitante con o senza figli, una percentuale modesta di famiglie con più nuclei (le famiglie estese), il progressivo affermarsi delle famiglie monogenitoriali con figli (sia femminili che maschili), spesso risultato di separazioni e divorzi, e la crescita delle famiglie unipersonali rappresentate da anziani o da giovani adulti che vivono soli. Ovviamente si tratta di una fotografia che fissa, in un dato momento storico, la fase del ciclo familiare quale risultato di cambiamenti che riguardano gli aggregati domestici. Come tutte le foto, però, essa può celare situazioni di fatto molto diverse, ad esempio sulle forme degli aggregati domestici, sulle convivenze tra persone che non sono legate da legami parentali e di coppia per quelle che sono definite ‘famiglie di elezione’. Esse si compongono in fasi diverse della biografia individuale e rispondono a molteplici bisogni e istanze che possono non essere soddisfatti nei contesti dei legami familiari e di parentela.
In questo modo i confini delle famiglie si estendono e si configurano secondo schemi non ‘tradizionali’, ma certo non sconosciuti anche in passato.
La consistenza e la diffusione, anche in Italia, di queste tipologie di relazioni sottolineano che i significati riconosciuti alla famiglia sono mutevoli e che sono le dinamiche relazionali a segnare i confini dei gruppi familiari. Il valore assegnato a questi ultimi dagli individui prescinde dal riconoscimento pubblico. La sua urgenza emerge quando tali aggregati esprimono bisogni che invadono i campi normati della famiglia così come definita e codificata, in primo luogo, dal sistema giuridico. Si delinea in questo modo e si rende più chiaro il confine tra famiglia intesa come fatto privato e come fatto pubblico. Sono noti i campi di maggiore evidenza di questi fenomeni: le dinamiche di formazione delle coppie, la filiazione, l’ambito successorio e i diritti individuali che attengono l’inizio e il fine vita, dove il corpo di ciascuno torna ad essere posto sotto il controllo diretto delle famiglie formalmente conosciute e legalmente tutelate, oltre che del potere pubblico. Quest’ultimo ambito appare particolarmente complesso per la portata etica delle scelte possibili, ma altrettanto restrittivo della libertà degli individui i cui comportamenti sono considerati come ‘socialmente non condivisi’. Il potere pubblico, ma soprattutto le norme sociali si attivano attraverso azioni di controllo che, prima facie, devono ristabilire i confini delle famiglie rispetto agli individui e allo Stato. Si esprime con forza il valore normativo della famiglia che diventa mezzo del controllo dei comportamenti sociali attraverso un sistema sanzionatorio che, in primo luogo, depaupera del loro valore le relazioni che si configurino in forme familiari non ‘convenzionali’.
Eppure, questi sistemi relazionali producono solidarietà sociali stabili e solide, favoriscono la piena espressione delle identità individuali e la realizzazione delle aspettative di ciascuno. D’altra parte gli effetti di queste sanzioni sono molteplici non solo per coloro che sono direttamente sanzionati, ma per la società nel suo complesso. Si negano, infatti, tutti i mutamenti che stanno riguardando i singoli e le famiglie che si muovono nella direzione di un riposizionamento di queste ultime nei sistemi di regolazione sociale e, soprattutto, di una crescente fluidità dei gruppi familiari. Come sempre accade nelle vicende della famiglia quale istituzione sociale, la molteplicità delle sue forme, dei significati, del modo di organizzarsi e rispondere ai bisogni dei suoi componenti rende difficile comprendere il complesso sistema di relazioni al suo interno. Essa però mantiene il proprio ruolo preminente di agente di socializzazione degli individui e di principale erogatore di aiuti e supporti a garanzia del benessere dei suoi componenti. Per questa ragione, soprattutto in Italia, le famiglie sono sottoposte a notevoli aspettative sociali che sollecitano fenomeni di conformismo alla tipologia che più di altre si adatta al sistema prevalente di regolazione. Pertanto si insiste con la rappresentazione di un modello familiare dotato di specifiche caratteristiche che diventa il paradigma normativo prevalente socialmente riconosciuto e legittimato. Le altre ‘famiglie’ sono considerate situazioni ‘atipiche’ o il risultato di fallimenti di una qualche forma precedente. Separazioni e divorzi, unione tra partner con precedenti esperienze di coppia e di genitorialità, famiglie omossessuali sono concepiti come forme familiari ‘ricostituite’. Anche se nell’immaginario collettivo la loro accettazione sembra oramai un dato di realtà, nei fatti il sistema di welfare state, la regolamentazione del mercato del lavoro e le misure di sostegno al reddito rispondono ancora ad un modello che è quello della famiglia nucleare, affermatasi in Italia a partire dalla seconda metà del Novecento. È da quel momento che nel lessico politico-pubblico si è affermata la ‘singolarizzazione’ del fenomeno familiare.
La famiglia, come la donna, è stata associata a un modello a elevato riconoscimento sociale. Si tratta di una storia cominciata negli Stati Uniti nel primo Novecento con l’affermazione del modello fordista che definisce un vero e proprio sistema di regolazione sociale e propone il modello della famiglia nucleare a elevata divisione sessuale del lavoro (cfr. l’interessante analisi suggerita da A. Gramsci, Quaderno 22. Americanismo e Fordismo).
Fino al Novecento, le famiglie assumevano configurazioni più eterogenee e gli aggregati domestici prevedevano componenti la cui appartenenza non si basava sui legami parentali: si pensi alla servitù, alle balie, ai maggiordomi e alle governanti, ai lavoranti delle famiglie contadine, agli apprendisti di bottega in ambito urbano. Queste figure svolgevano compiti che andavano oltre il proprio lavoro, partecipavano alla vita della famiglia che, seppure nell’ambito di relazioni asimmetriche, finiva per costruire rapporti fiduciari non privi, spesso, di forti dimensioni affettive. Nella contemporaneità, le famiglie accolgono frequentemente collaboratori e assistenti familiari impegnati nella cura dei bambini, degli anziani e dei disabili. La coabitazione, con la conseguente condivisione degli spazi, favorisce altrettanto la creazione di relazioni a elevato contenuto affettivo, quasi di filiazione. La loro presenza nei gruppi domestici viene spesso taciuta e occultata nelle indagini statistiche, nonostante il ruolo svolto nell’ambito delle solidarietà familiari e soprattutto per l’influenza che esercitano nel sistema delle relazioni che distingue tra ‘componenti della famiglia’ ed ‘esterni’ dell’interno familiare. Doppi confini che non si esauriscono nelle forme definite dai rapporti di lavoro.
Non mancano poi i casi di accoglienza negli aggregati domestici di ascendenti e parenti, di amici, partner ed ex-partner che possono entrare o ri-entrare negli ambiti familiari da cui erano usciti in altre fasi della vita. Questi aggregati sono spesso trascurati, benché segnalino la mobilità dei confini delle famiglie come esito della volontà degli individui di estendere le relazioni familiari ad affetti e legami considerati ‘deboli’.

C’è davvero bisogno dei confini?

In termini provocatori, si potrebbe replicare che i confini servono per poter essere poi superati e spostati, ma questa risposta sarebbe un modo per non interrogarsi davvero sul ruolo dei confini nella vita degli individui e dei gruppi all’interno della società.
La definizione di sé deriva, oltre che per identificazione, anche per differenziazione da coloro che costituiscono il gruppo primario di riferimento. Le famiglie costituiscono per la gran parte degli individui il luogo in cui la costruzione di sé ha maggiore forza nei processi di socializzazione, soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza. La partecipazione dei singoli ad altri gruppi secondari pone chiaramente in evidenza la propria famiglia di riferimento e con essa tutti gli elementi condivisi. L’identificazione fornisce certezze sulla propria identità, alimentate anche dalla dimensione affettiva e simbolica che le famiglie trasferiscono attraverso la memoria collettiva. Con la differenziazione, che si collega alla individualizzazione di ciascuno, si apre la via al conflitto tra sé e gli altri, che si accompagna alle limitazioni, più o meno vincolanti, nell’affermazione di sé e della propria emancipazione. In queste fasi la ‘calda coperta’ familiare può divenire una pesante ‘coltre di aspettative’. Le risposte a questo tentativo di confinamento possono essere diverse e condizionare il rapporto tra i componenti della famiglia per molto tempo esitando anche in fratture permanenti e insanabili.
Se si guarda al livello aggregato, la definizione pubblica dei modelli familiari socialmente riconosciuti costituisce uno strumento forte di disciplinamento degli individui e dei gruppi, ma anche il modo per definire il ruolo dello Stato nei rapporti con i singoli per le dimensioni della vita degli individui che ricadano in ciò che viene definito ‘privato’. La normazione, che necessita costantemente di tassonomie, impone modelli che spesso risultano stringenti per gli individui che vivono la dicotomia tra le aspettative sociali e i propri desideri. Sebbene non si possa parlare di forme autoritarie di controllo sociale, di limitazioni dirette alle scelte individuali, non si può negare che esistono norme e sanzioni a cui si collega il riconoscimento attribuito alla conformità alle regole.
In entrambe le sfere i confini sono inevitabili, ma se ne può ridurre la cogenza soprattutto quando questo conduca ad una compressione della libertà e dei diritti degli individui. All’interno del nucleo familiare e nel rapporto tra individui, famiglie e Stato si potrebbe riconoscere, come principio di regolamentazione dei rapporti, che la componente fondamentale della libertà ‘dei moderni’ si declina nella possibilità di autodeterminazione e nella espressione della propria identità in ciascun ambito vitale. Se lo Stato avoca a sé la funzione della giustizia sociale e del bene collettivo, in nome della quale può introdurre confini all’autodeterminazione, le famiglie possono progressivamente estendere e superare i confini tra i componenti e quelli esterni in nome dello stesso principio di libertà che non può essere mai compromesso in ragione dell’amore, della cura dell’altro, del patto familiare che regola la vita di ogni aggregato. Anche l’uguaglianza di trattamento tra i suoi componenti non sembra soddisfare i bisogni degli individui, dato che tende a nascondere le differenze, i bisogni e le debolezze di ciascuno. Le solidarietà familiari non possono essere in eguale misura per tutti, ma sono tali solo se aiuti e risorse sono distribuiti in modo che ciascuno goda delle stesse opportunità di esprimere e condurre la propria esistenza.

multiverso

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