UGUALE
Per uno sviluppo più egualitario: il modello della decrescita
di Serge Latouche
Francesco Marangon intervista Serge Latouche
Francesco Marangon. Professor Latouche, lei ritiene che l’attuale modello di sviluppo sia ormai ecologicamente insostenibile e ingiusto e che continui a generare sempre più disuguaglianza, alienazione e insicurezza. Da tempo lei propone una sorta di ‘diseconomizzazione’ della società. Cosa ci può dire, oggi, di una questione come quella dell’uguaglianza?
Serge Latouche. L’economia ha cercato di risolvere il problema dell’uguaglianza proprio con la condizione dello sviluppo: più produciamo ricchezza più questa si diffonde. Con questo ragionamento si vuol far credere che con la crescita tutto sia possibile. Se non c’è oggi, l’uguaglianza ci sarà domani quando tutti, più o meno, potremo accedere ad un certo livello di benessere. La crescita è diventata la vera religione del nostro tempo. L’uomo così ha però tradito le promesse della modernità. L’Illuminismo e la Rivoluzione francese avevano posto le basi per una società in grado di emanciparsi non solo dalla trascendenza, dalla rivelazione e dalla tradizione, ma anche dal tiranno o dal sovrano assoluto. L’obiettivo era quello di creare una società autonoma – nel senso originario della parola – che sapesse dare a se stessa le proprie leggi. L’uguaglianza diventava così una necessità, ma una società di persone uguali non è possibile e il liberismo, soprattutto attraverso il suo aspetto economico, ha trovato la propria strada: se si produce di più saremo tutti più ricchi, anche i più poveri. S’impone così una nuova eteronomia, che non è più quella della divinità o del re ma è quella dei mercati finanziari. Non è il risultato della volontà di potere di un uomo o di un altro, ma si tratta di una mano invisibile che assicura un ordine che fa dipendere ogni cosa dal mercato e dalla crescita.
Francesco Marangon. Secondo lei, quindi, credere che la crescita economica sia una soluzione ai problemi dell’equità e dell’uguaglianza è solo una mistificazione. Eppure, è un modello che porta con sé un messaggio positivo perché promette una possibilità per il futuro. Cosa ne pensa?
Serge Latouche. Quando studiavo a Parigi, i professori di economia mi parlavano a lungo dei circoli virtuosi della crescita. Era un momento favoloso, nel mezzo di quel periodo d’oro che in Francia è andato grosso modo dal 1945 al 1975. Si stava tutti bene, gli imprenditori guadagnavano, anche gli operai guadagnavano di più e lo Stato, con i soldi delle tasse, poteva sostenere le politiche sociali. Questo periodo è passato e la globalizzazione, tra gli altri effetti, ha frantumato le regolamentazioni degli Stati. La crescita senza limiti contribuisce ad aumentare povertà e disuguaglianze, invece di sconfiggerle e, allo stesso tempo, sta distruggendo la natura. Una crescita infinita non è possibile in un mondo finito e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oggi i paesi del Nord del mondo, che rappresentano meno del 20% della popolazione del pianeta, consumano più dell’86% delle risorse naturali. Non ha neanche più senso quello che veniva considerato uno dei fondamenti del mito dello sviluppo, ossia il cosiddetto ‘trickle down effect’, per il quale valeva l’assunto che la crescita economica del Nord garantiva quantomeno le briciole al Sud. Le disuguaglianze hanno raggiunto livelli insostenibili. Basti pensare che se tutti avessero le abitudini degli italiani, per esempio, ci vorrebbero tre pianeti e presto nemmeno questi basterebbero più, ce ne vorrebbero sette, anche nel caso che i popoli del Sud non consumassero più niente. Non è solo un problema di redistribuzione, è il sistema che va cambiato.
Francesco Marangon. L’economia sostiene che non spetta a lei occuparsi della distribuzione della ricchezza che si produce, ma alla politica. È così?
Serge Latouche. In teoria sì, ma non nei fatti. Almeno da quando, alla fine degli anni ’80 con la caduta del muro di Berlino, c’è stato il trionfo del mondo unico dell’economia di mercato. Prima l’economia di crescita poneva le proprie basi sulla società del lavoro, oggi tutto si è spostato a livello planetario. In Europa il 75% del prodotto interno lordo derivava da redditi di lavoro, adesso solo il 58%, quasi 20 punti in meno in vent’anni. Questo è successo con governi socialisti, François Mitterand in Francia, Helmut Kohl in Germania, Tony Blair in Gran Bretagna e così anche nei paesi socialdemocratici del Nord. I governi, oggi, non possono più intervenire con politiche di redistribuzione come accadeva negli anni d’oro, quando c’era ancora lo stato sociale. Sono stati loro stessi a determinare la propria impotenza con le decisioni prese nel G8 di Kyoto del 1986, che in pratica ha sancito il dominio del mercato finanziario unico. Se oggi si introduce una tassa, le imprese spostano la produzione dove costa meno e così la capacità degli Stati di redistribuire la parte del prodotto interno lordo si fa sempre più risicata. Il liberismo sostiene che togliendo le tasse si fa aumentare la ricchezza e la ricchezza può dare di più a tutti. Questa è una truffa: non si può inquadrare la questione dell’uguaglianza a livello di ricchezza quantitativa economica.
Francesco Marangon. Viene allora da chiedersi se sia corretto esprimere la ricchezza di un paese con il suo Pil?
Serge Latouche. Il Pil registra la crescita in termini assoluti. Aumentando la ricchezza, dovrebbe diminuire la povertà. Non è così. Prendiamo per esempio la Cina: il Pil dice che è in crescita, ma ci sono lo stesso milioni di poveri che non hanno neanche un tetto. La ricchezza è sempre relativa, considerarla un valore assoluto ha poco senso.
Francesco Marangon. Il Pil indica la ricchezza in rapporto a ciò che viene prodotto. In relazione alla qualità della vita, è corretto che questa ricchezza tenga conto solo di quello che si possiede?
Serge Latouche. Si parla sempre delle cose che si possono acquistare, ma meno di quelle che si distruggono per poterle produrre. I costi della crescita senza limiti sono tanti, basti pensare ai danni all’ambiente, ma anche ad alcuni costi sociali che non vengono presi in considerazione quando si calcola il Pil. Nei paesi occidentali è vero che la gente guadagna di più, ma spende ancora di più per compensare ciò che distrugge. In salute, per esempio. Per curare le malattie respiratorie, l’obesità, il cancro si spendono davvero tanti soldi. E ci sono anche spese di consolazione, perché siamo tutti stressati e allora prendiamo gli antidepressivi e qualcuno anche la cocaina. Abbiamo la crescita del ‘ben-avere’ al prezzo di un abbassamento del ‘ben-essere’.
Francesco Marangon. Il rispetto dell’ambiente dovrebbe far sì che si tengano sempre ben presenti i limiti delle risorse del pianeta. Cosa ne pensa?
Serge Latouche. La dismisura è una dimensione propria della modernità e il fatto che oggi siamo obbligati a ritrovare il senso del limite è una cosa buona, nel senso aristotelico del termine. Nell’individuo c’è sempre la tendenza alla dismisura, ma l’uomo deve imparare a dominarla. Nella tradizione della tragedia greca, ad esempio, gli dei intervengono nei confronti di chi perde il senso della misura. Una società può funzionare solo se gli uomini si rendono conto che la loro condizione è quella di essere dentro la natura, di vivere in armonia con essa e non pensare che se anche la distruggono saranno poi capaci di costruirne una artificiale. L’uomo deve vivere assieme e non contro la natura. È come il paradosso della colomba di Kant: si potrebbe pensare che se non ci fosse l’aria la colomba volerebbe meglio, ma senza aria non si vola.
Francesco Marangon. Molti le avranno chiesto: «Ma allora torniamo indietro o possiamo guardare avanti?».
Serge Latouche. Continuiamo a guardare avanti, non si può più tornare indietro. Allo stesso tempo, però, dobbiamo uscire dalla società della crescita non solo perché non è sostenibile ma principalmente perché non è auspicabile. La società della crescita è diventata la società dei consumi. Per produrre all’infinito bisogna consumare sempre di più, anche quello che non ci serve. Il sistema attuale, per raggiungere questo scopo, si è basato fondamentalmente su tre aspetti: la pubblicità, l’obsolescenza programmata e il credito. La pubblicità è uno strumento fantastico per colonizzare l’immaginario: ci fa credere che non siamo contenti di quello che abbiamo e ci induce a falsi bisogni. L’obsolescenza programmata prevede l’acquisto di oggetti che dureranno poco e una volta che si romperanno scopriremo che costerà di meno comprarne di nuovi, invece di ripararli. L’azione combinata di pubblicità e obsolescenza programmata funziona ancora meglio, perché c’è sempre un modello nuovo, più raffinato, alla moda… Tutto questo però non è bastato, perché con la recessione la gente si è impoverita, con il rischio di ridurre i consumi. Il sistema allora ha favorito il credito per fare in modo che si continuasse a comprare anche senza soldi. In Italia, per esempio, si spende oggi quello che si guadagnerà l’anno prossimo e in America la situazione è ancora peggio. Bisogna quindi rivedere il nostro modo di pensare, perché la società della crescita porta all’ingiustizia e alle disuguaglianze, al malessere e all’infelicità. Un buon punto di partenza è ridurre la nostra impronta ecologica e cioè l’impatto del nostro modo di vivere sull’ecosfera. Si è calcolato, per esempio, che si potrebbe comprimere il consumo di energia di quattro volte senza compromettere il nostro ‘benessere’. Fino agli anni ’70 l’Italia aveva un’impronta ecologica sostenibile e non erano certo i tempi delle caverne.
Francesco Marangon. Questi sono temi complessi e per risolverli, posto che si affrontino nel modo giusto, ci sarà bisogno almeno di una generazione. Forse non c’è tempo di aspettare. Cosa si può fare nel piccolo e cosa si può chiedere che sia fatto più in generale? Se non ci sono prospettive sono portato a pensare che tanto anche quello che posso fare io non servirà a niente…
Serge Latouche. Non ho soluzioni, ma dobbiamo considerare tutte le dimensioni del problema. Ce n’è una che ci riguarda individualmente. Certo, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e il nostro modo di fare. Quando parlo di decolonizzare l’immaginario, mi riferisco al bisogno di una vera conversione, paragonabile a ciò che è accaduto al cristianesimo delle origini, una conversione di massa, un cambiamento totale, una forma di revisione laica per ritrovare il senso della civiltà, della misura, per rifondare una società umana. Per questo effettivamente non abbiamo tempo. Se non facciamo niente, fra una generazione – nel 2050-2060 – sarà la fine dell’umanità. Ai miei figli dico che quando avranno la mia età il mondo sarà completamente diverso perché, per esempio, non ci sarà più il petrolio, non si potrà più passare le vacanze alle Seychelles perché gli aerei non avranno carburante e perché le Seychelles saranno ormai sotto acqua. Basti pensare ai cambiamenti climatici, alla desertificazione, ai fondi marini, all’aumento delle temperature… Questi fatti ci suggeriscono che forse è meglio imboccare una strada diversa, quella di una società autonoma per la decrescita serena e conviviale. Sono fondamentalmente ottimista perché anche nelle condizioni difficili c’è la possibilità di cambiare e cercare la felicità. Un paradosso della felicità è che molto spesso sono le condizioni più ardue che fanno sì che gli uomini si sentano felici. Mi ricordo i racconti dei partigiani che mi dicevano che quando facevano la resistenza erano felici. Oggi siamo in una situazione di guerra contro la dismisura e questa resistenza può anche renderci felici.
Francesco Marangon. A veder le cose come vanno sembra di essere sul Titanic, stiamo a far festa e a ballare e…
Serge Latouche. Sì è vero, ma questo movimento di resistenza è giovane, siamo solo all’inizio. Una piccola forma di resistenza per esempio è il tecnodigiuno. È una sfida con noi stessi. Possiamo fare a meno dell’impero della televisione e fare a meno di andare in vacanza alle Seychelles. Se già pensiamo che il mondo che vorremmo è totalmente diverso vuol dire che abbiamo già cominciato il percorso di resistenza, così quando le grandi catastrofi avverranno saremo già pronti.
Francesco Marangon. Professor Latouche, per finire, può darci un’immagine della decrescita?
Serge Latouche. Prendo a prestito la metafora di Ivan Illich sulla saggezza della chiocciola. La chiocciola costruisce la delicata architettura del suo guscio, aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più grandi, poi cessa bruscamente e dà inizio ad avvolgimenti, questa volta decrescenti. La chiocciola si dimostra più intelligente dell’uomo perché capisce quando deve interrompere l’aumento della produttività, una sola spira in più aumenterebbe di sedici volte la dimensione del guscio e anziché contribuire al benessere la porterebbe al rischio di rimanere schiacciata sotto il peso del suo stesso sviluppo. Oltre quel limite lo sviluppo comincia a moltiplicarsi in progressione geometrica mentre le capacità biologiche della chiocciola, nella migliore delle ipotesi, non possono che aumentare in proporzione aritmetica.