VECCHIO NUOVO
I bambini e gli antenati. Ritrovare il filo*
di Pietro Clemente
Scrive il poeta Franco Fortini:
Un bambino vacilla appeso ai calzoni della madre
Sul marciapiedi c’è sterco di cane e le auto
mettono ossido di carbonio e piombo negli alveoli
Perché signora fa respirare al suo bambino
questa aria sporca? Perché non lo porta sui prati?
Essa mi guarda con odio, gli dice ‘cammina’.
Ma io non ho parlato, solo l’odio era vero…
(F. Fortini, in «Trasparenze», 2000).
È questa la nostra ‘scena’: madri e figli, traffico urbano, generazioni; Fortini sta qui per quella più antica che in parte ci ha – come lui – lasciato e che rappresenta il difficile rapporto con gli ‘antenati’: coloro che videro con altri occhi questo stesso mondo quand’era un altro mondo.
Antenati
«La conoscenza del passato è ciò che differenzia il vecchio dal giovane»: proverbio detto dagli anziani del paese di Anno, in Costa d’Avorio.
La civiltà occidentale ha rinunciato da molti secoli a dare valore agli antenati, nel cui culto le società mediterranee erano nate. La modernità immagina individui proiettati nel futuro, senza reti genealogiche che lo tengano connesso al passato. Nelle nostre società ad alta medicalizzazione e a bassa fecondità aumentano i bisnonni e i nonni, ma senza vero protagonismo; anche in letteratura, in poesia e perfino nei proverbi i nonni e i bisnonni non lasciano tracce consistenti.
Certe volte è interessante specchiarsi nell’alterità etnologica giocando il ‘chiasmo della modernità’, che ci fa vedere ‘loro’ come complessi e ‘noi’ come primitivi. Cosa ci dice di noi l’etnografia del paese di Anno proposta dall’antropologo Dino Cutolo? Vediamo:
Se sollecitati dalle domande dell’etnografo, gli Anno rispondono che è Kpéngbén [Kpéngbén significa nel loro lessico maggiore in età o anziano, opposto a minore o cadetto, N.d.A.] chi ha dei ‘nipotini’ che lo chiamano ‘nonno’, o chi, qualunque sia la sua età, stia a capo di un aluo o di un villaggio. [...] La saggezza, la conoscenza del significato delle cose sono appannaggio esclusivo dei Kpéngbén, come recita il proverbio citato in apertura. Loro è il ‘mondo della parola’ che governa le assemblee pubbliche, i processi giudiziari, i funerali. Gli anziani sono dei veri e propri esperti di questi contesti…
(D. Cutolo, Avvicinarsi agli antenati, in «Africa», 1999).
Da noi la perdita dell’asimmetria tra le generazioni eguaglia nonni e nipoti come utenti paritari di messaggi mediatici, senza che i primi abbiano valori e memoria da tramandare. I bambini sono sempre di meno rispetto agli adulti e concentrano attenzioni nuove ma anche un futuro pesante per la crisi dell’ambiente e le difficoltà di risorse cui anche la molteplicità dei nonni concorre.
Ecco, in un’analisi demografica, il trend generazionale:
Il crescente peso della quota di popolazione anziana influenzerà per molti anni a venire gli equilibri futuri del sistema di protezione sociale. L’ingresso in pensione delle generazioni nate negli anni del secondo dopoguerra e di quelle nate durante il babyboom degli anni ’60, collocabile rispettivamente intorno agli anni 2010-15 e 2030-40 porterà a una crescita degli squilibri.
Ci si attende per il futuro che la sopravvivenza delle età anziane continui ad aumentare perché i nonni di oggi, ma ancora più i nonni di domani, fanno parte delle generazioni che hanno potuto godere degli aspetti positivi del benessere: nutrizione adeguata, migliore qualità della vita individuale e lavorativa, maggiore cultura e soprattutto disponibilità di beni e di servizi e mezzi utili al mantenimento di una buona forma fisica e mentale…
(G. Caselli, Le generazioni e la dinamica demografica, in «ParoleChiave», 1998).
Queste innovazioni demografiche rendono la vita più bella ma tendono ad alterare in modo irriconoscibile l’antica ‘disciplina della terra’, l’ordine della natura e delle generazioni, il mondo degli antenati.
Gli antenati non sanno più niente del mondo, i nonni non sono più saggi.
Bambini, adulti, antenati
Adulti e bambini non sono gli stessi uomini – ci avverte l’antropologia –, né le differenze tra loro sono simili dappertutto; si tratta, invece, di modalità diverse dell’esser uomini, distinte e fortemente altre. Le differenze di generazione sono parte costitutiva delle differenze interne delle società, del loro multiculturalismo. I ‘cuccioli dell’uomo’ hanno mondi e regole di sviluppo propri che le istituzioni hanno studiato e posto al centro delle pratiche educative, creando perfino dei diritti dell’infanzia specifici (che tendono però a imporre il modo occidentale di pensare i bambini e i diritti). Bambini e adulti costituiscono ‘mondi mentali’ diversi, connessi da sistemi di interfaccia che possono essere rappresentati con diverse immagini, ad esempio il tram opposto all’autobus in una canzone popolare americana, o il serpente opposto alla rana in una tradizione africana. Famiglie e istituzioni hanno sempre cercato di riconoscere e di riorientare il mondo mentale dei bambini, di condividerlo fino all’immedesimazione (ad esempio il cosiddetto baby talk…) e di guidarlo nella trasformazione. Spesso il pensiero più critico degli adulti ha giocato la carta del pensiero bambino come immagine di semplicità e sincerità, socialmente smarrita.
Pier Paolo Pasolini:
A un ragazzo
…
tu con fresco pudore e ingenuamente senza
pietà scopri per te per noi la tua presenza
… vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento
alle nostre ironie alle nostre passioni
ad imitarci e a esserci lontano ti disponi…
(P.P. Pasolini, Bestemmia, Milano 1993).
Gesualdo Bufalino:
Nei disguidi del tempo
ieri ero tuo padre
oggi tuo figlio chissà
se un giorno avrò la tua età.
(G. Bufalino, L’amaro miele, Torino 1982).
Nel cuore del problema
Le tendenze demografiche e le forme istituzionalizzate e mediatiche di trasmissione di saperi e conoscenze hanno mutato radicalmente nei paesi occidentali l’ordine delle generazioni e ‘la disciplina della terra’. Le generazioni, anziché confrontarsi nella loro asimmetria – chiuse da riti di iniziazione, determinate e distinte nelle loro fasi di trasformazione –, sono fra di loro affiancate in una sorta di arcipelago accomunato dall’esposizione ai media. Ogni bambino ha oggi più nonni e zii e meno fratelli e cugini di quanti ne avesse in passato. La tendenza alla individualizzazione come ‘perdita radicale’ di cogenerazionali scalati nella rete familiare, è anche perdita delle differenze vicine in cui esplorarsi, riflettersi, distinguersi. La perdita di valore della morte e della trasmissione simbolica di valori fa perdere anche il senso familiare della consegna di memorie; già in molti centri urbani si portano oggetti cari, ricordi familiari e testimonianze alle istituzioni: musei, archivi, centri pubblici diventano nodi collettivi delle memorie private e familiari non più custodite. I lari e i penati sono stati trasferiti altrove.
L’individualizzazione dei bambini – fortemente percepita nelle testimonianze delle nuove colf multicontinentali come perdita della socievolezza pubblica –, abitazioni lustre e inaccoglienti, l’oscillazione tra chiusura in casa e affidamento alle istituzioni, la traslazione automobilistica in agenzie di attività fisica professionalizzata, la scomparsa della ‘pipialla’ (frotta ululante di bimbi e di bande) dalle strade piene di auto, la tendenza alla chiusura nelle reti selettive di amicizie e nei luoghi della formazione extrascolare si accumula alla mancanza di fratelli e cugini nel favorire una forte solitudine dei bambini rispetto ai propri coetanei, facendo recedere la formazione spontanea nel gruppo dei pari e le dinamiche di fratellanza e amicizia. L’accrescimento senza precedenti di nonni e di loro cogenerazionali viventi tende a non essere valorizzato se non in funzione di custodia e di supplenza, con la conseguente svalorizzazione familiare del messaggio testimoniale ereditario.
Festa di fine anno in un nido: 15 bambini e più di 60 adulti. Quattro adulti per ogni bambino. Noi siamo in sette per il nostro nipotino, ma avremmo potuto essere in dieci (mancavano due bisnonne e una zia). Ci sono complessi nessi generazionali e territoriali, sono presenti dai nati nel 1920 ai nati nel 1999, ottan’anni di generazioni e di storie; ci sono voci meridionali con nipoti ultratoscani. Il nostro nipotino nato a Siena è di sangue senese, grossetano, lucano, sardo, pugliese, piemontese e lombardo. Ma c’è un vuoto totale dei ragazzi dai 12 ai 25 anni: un altro mondo. Genitori maschi giovani si aggirano con telecamere anche sofisticate, tutto viene ripreso. Le madri hanno macchine fotografiche. Il nido ci ha fatto incontrare qui, intorno a una festa che ha al centro i bambini, connessione tra generazioni che non si incontrano più.
Bambini che sempre più i genitori affidano per gran parte del tempo diurno a servizi educativi, consapevoli che nelle società complesse la socializzazione e l’istituzionalizzazione dell’infanzia sono condizioni di tante cose, dai primi saperi e regole sociali sino alla possibilità di lavoro delle donne. È una mossa di politica della vita, anche se poi il controllo e la discussione tendono a venire meno. I bambini incontrano precocemente figure di riferimento professionali che concorrono a definire le regole del comportamento pubblico, talora più dei genitori.
Negli spazi istituzionali, privati o pubblici, asili nido e servizi per l’infanzia, i bambini hanno l’esperienza sostitutiva della ‘banda’ chiassosa, talora cenciosa, che percorreva le strade senza automobili delle città prima degli anni Sessanta; hanno l’esperienza sostitutiva del gruppo dei pari e di possibili esercizi di fratellanza e di amicizia, o almeno ne apprendono le possibilità e le regole di coesistenza per sviluppi che verranno dopo; hanno l’esperienza e la vicinanza della diversità sessuale. L’istituzione si fa carico della memoria della crescita (disegni, confronti tra anni…) e talora della memoria orale (trasmissione di storie, racconti, immagini…). Fuori dall’istituzione dai quattro agli otto adulti per bambino, di generazioni diverse, attendono l’uscita. In auto.
Possono le istituzioni essere Kpéngbén ed avere la saggezza degli anziani?
Nel caos terribile delle città, degli anonimati, dei conflitti potenziali di generazione, di frattura dagli antenati, di una cultura sempre più astratta e slegata dalla vita, senza memoria trasmessa oralmente e con una memoria istituzionale trasmessa solo come storia scritta, nei semafori intasati e nei televisori caldi d’uso, nello shopping disperato dell’ora di chiusura, nel diluvio universale dei gas di scarico, il mondo dei servizi per l’infanzia può essere pensato come l’Arca di Noè di una ricomposizione possibile, un luogo di lettura del caos che ne ricomponga i frammenti di senso possibili? Può avere l’autorevolezza degli anziani e il riconoscimento collettivo della società?
Nonni, antenati futuri
E i nonni?
I legami di parentela dominati dai padri padroni che le città del Novecento vivevano come vincoli e limiti, ora, in uscita dal secolo, sono sentiti come legami simbolici di memoria da riattivare, senza più il potere di comando del passato. E i nonni dismessi con l’arrivo della TV mentre ancora raccontavano delle trincee del Carso, si reincontrano con i piccoli come nelle immagini della famiglia contadina de L’albero degli zoccoli o nelle riflessioni di Claude Lévi-Strauss sulla vicinanza delle generazioni estreme, che rappresentano il mondo dei morti e dell’instabilità e vengono sentite minacciose verso il mondo degli adulti, gli iniziati. Le città – tra nipoti e nonni – possono essere riconosciute come villaggi, dove parentele e vicinati sono ancora importanti, e nel loro scorrere nel tempo: «Là dove c’era l’erba ora c’è – dice il nonno Celentano – una città», e zio Fazio: «Pensi che qua era tutta campagna». Il tracciato tra nonni e nipoti è come la ricerca della ‘nuova disciplina della terra’ che ci aiuta a leggere il caos come comprensibile; essa non è ritorno al passato: non ci sono più tanti bambini e così pochi nonni, un minestrone di verdure non si fa più in molte ore di lavoro, e nel passato c’era povertà, emigrazione, sopraffazione. Il mondo dei bambini e dei nonni vicini è il mondo della democrazia di Nonno Cesare Zavattini, è un mondo nuovo, nato dalla resistenza e dal benessere con i suoi enormi limiti, ma anche le sue grandi libertà.
La disciplina della terra
Sono i padri e i figli
I cani che guidano le pecore
Tutti quei nomi dimenticati
Sotto la mano sinistra del suonatore
…
Tu sei più bella di ieri vita
Che a tutti ci fai battere il cuore
Ed è proprio questo che ci piace tanto…
(Ivano Fossati, La disciplina della terra).
Infine
Riconnettere le ragioni di felicità oltre quelle di terrore del futuro. Rileggere la disciplina della terra oltre la rottura delle radici e nelle radici ancora riconnettibili. Questa sfida è particolarmente adeguata alla prima infanzia ed è particolarmente contraddittoria: noi nonni sappiamo che una nuova nascita è una felicità, una promessa di un mondo più bello dentro un rischio di guerra, di apocalisse ecologica e di esaurimento di risorse del quale siamo corresponsabili.
Nel labirinto individualistico delle città quello tra nonni e nipoti è un possibile filo di Arianna, non è congiuntura né l’urgenza di padri e madri, ma memoria del tempo esperito, pazienza di incontri difficili, possibile trasmissione e tradizione, traccia genealogica che si sviluppa in reticoli tra parenti e regioni e continenti. Il bambino televisivo va ripiantato nella terra genealogica.
Pasolini:
…cari studenti medi non ho voluto essere padre
ma non mi rifiuto, lo confesso, di essere nonno…
L’istituzione costruisce le reti, riallaccia i fili attraverso pratiche formative di individui, fa memoria, diventa il luogo degli antenati trascurati nei mondi privati. Nobile fardello. Così non è affatto strano che le istituzioni della prima infanzia si facciano esse luogo di supplenza istituzionale dei fili intergenerazionali, delle fraternità e delle cuginanze perduti nei contesti privati e nelle famiglie a basso tasso di natalità. È dalle loro feste di fine anno che si può leggere con sempre più coscienza come possano essere anche simpatiche, umane, lievi, pur restando istituzioni, istituzioni amiche dei singoli di ogni generazione: il mondo può essere riconnesso oltre la frammentazione. Come nell’esperienza dei poeti.
* Questo testo nasce dalla collaborazione con Pistoiaragazzi ed è dedicato agli operatori comunali dell’infanzia che vi operano.