VECCHIO NUOVO

Il tempo, la quarta dimensione della vita, è un parametro fondamentale della biologia che è, per l’appunto, la scienza della vita. Ciò è ovvio pensando all’arco vitale dell’individuo (nascita, crescita, vita adulta, invecchiamento e morte), scandito dal passare del tempo, con evidenti trasformazioni dell’organismo dovute a trasformazioni temporali di parametri biologici. Ma il nostro cervello ha il senso del tempo? Ed ha un orologio che scandisce il tempo? Entrambe le domande hanno una risposta affermativa, ma comportano delle funzioni molto diverse fra loro.

Data la complessità delle funzioni che governa, il cervello deve registrare il tempo su diverse scale temporali. Il timer necessario per il controllo automatico degli atti motori opera su una scala di millisecondi. La percezione del tempo nell’ambito di secondi o minuti (intesa come la decodifica dell’‘intervallo temporale’ degli eventi e di un’azione) è, invece, un complesso fenomeno cognitivo, parte di quelli che definiamo i meccanismi mentali. Questa funzione è affidata a reti neurali che coinvolgono la corteccia cerebrale, e in particolare un’area della corteccia (l’area parietale posteriore) dove risiedono cellule nervose, cioè i neuroni, che hanno un codice temporale e sono quindi attivate dal trascorrere di un piccolo lasso di tempo. È un codice importante, com’è attestato dai danni che si verificano quando esso si disintegra nelle gravi malattie neurologiche, come la malattia di Alzheimer, o mentali, come la schizofrenia.

Dell’orologio cerebrale che scandisce il tempo quotidiano non abbiamo, invece, coscienza: è un ticchettìo che non sentiamo. Ne saremmo ossessionati se lo sentissimo e madre natura ha deciso di risparmiarci questa sofferenza. L’orologio biologico del nostro cervello governa tutti i ritmi metabolici e comportamentali del nostro organismo, quali l’alternarsi del sonno e della veglia, ed i ritmi ormonali. E lo fa con una tale ostinata precisione che basta il variare di un’ora al cambiamento dell’ora legale per farci venire fame o sonno in anticipo o in ritardo rispetto al tempo canonico. Per non parlare delle rapide variazioni di orario nei viaggi aerei, il ben noto e fastidioso jet lag.

Il nostro orologio biologico è situato in un gruppetto di cellule nervose (poche migliaia di neuroni) addensati alla base del cervello sopra il chiasma ottico, la sede dell’incrocio di fibre che originano dalla retina e sono dirette dentro al cervello, nei centri cerebrali dove si formerà l’immagine visiva. I raggruppamenti di cellule del cervello che hanno determinate caratteristiche e determinate funzioni si chiamano ‘nuclei’ e l’orologio biologico è situato, per l’appunto, nel nucleo soprachiasmatico, in una regione denominata ipotalamo.

L’attività dei neuroni del nucleo soprachiasmatico ha un’oscillazione ritmica, governata da sofisticati meccanismi molecolari che coinvolgono ‘geni orologio’ (clock genes), i quali si accendono e si spengono ritmicamente nell’arco delle ventiquattro ore. Grazie a tale proprietà, il nucleo soprachiasmatico svolge un lavoro di pacemaker circadiano (circa diem), guidando, attraverso complessi meccanismi neurali, i ritmi biologici endogeni (cioè tutte le attività ritmiche del nostro organismo) e sincronizzandoli all’ambiente esterno.

Naturalmente, per svolgere questo compito l’orologio biologico dev’essere informato di ciò che avviene nell’ambiente esterno e lo fa in tanti modi, ma il principale agente sincronizzante è la luce. Gli stimoli luminosi arrivano al nucleo soprachiasmatico tramite alcune delle fibre che originano dalla retina sulle quali il nucleo è seduto. Sono fibre che invece di proseguire dentro al cervello per andare a formare delle immagini visive si fermano nel nucleo soprachiasmatico per informarlo sulla quantità di luce ambientale. Tecnicamente il nostro orologio biologico è cieco, non vede immagini, ma sa sempre se siamo esposti alla luce o al buio, se è l’alba, giorno pieno, il crepuscolo o notte. È un orologio piccolo se paragonato alla vasta massa cerebrale, ma robusto, perché ad esso è affidata nei mammiferi (dei quali siamo parte) la regolazione di funzioni di altissima priorità biologica, quali la riproduzione o il mantenimento di funzioni vitali, tramite la regolazione della secrezione ormonale e di altre funzioni ritmiche. Attraverso vari meccanismi di controllo, il nucleo soprachiasmatico governa un regno di altri orologi sudditi, che risiedono fuori dal cervello, in molti organi del nostro corpo quali, ad esempio, il cuore ed il fegato, dotati anch’essi di un loro corredo di ‘geni orologio’.

La biologia non si è però, forse, preparata perfettamente all’allungamento della nostra vita. Forse non ha avuto il tempo per farlo, visto che la vita media si è allungata rapidamente nel corso di pochi decenni, mentre le variazioni biologiche sono assai più lente e caute. Oppure, forse, chiediamo al nostro organismo durante l’invecchiamento prestazioni simili a quelle della vita giovane-adulta e ci sorprendiamo se queste cambiano. Sta di fatto che la regolazione dei nostri ritmi biologici nel corso dell’invecchiamento ‘normale’ è imperfetta. Il ciclo sonno/veglia, ad esempio, cambia: i risvegli notturni diventano più frequenti, così come le sonnolenze diurne, il sonno si frammenta e, al mattino, la fine del periodo di sonno è sempre più precoce. Tutto ciò, naturalmente, varia molto da un individuo all’altro, così com’è straordinariamente variegata la gamma di quantità di sonno e di veglia negli individui giovani. È d’altra parte ugualmente variegata la gamma delle variazioni inter-individuali dell’età biologica rispetto all’età anagrafica. Tuttavia, gli ampi studi condotti negli ultimi anni sulla popolazione del primo mondo (i paesi nei quali la vita media si allunga) concordano nel denunciare che le alterazioni dei ritmi biologici e, in particolare, del ciclo sonno/veglia sono molto frequenti nel corso dell’invecchiamento, con un impatto di vasta portata sulla qualità della vita dell’individuo ed altissimi costi sociali ed economici.

Quindi l’orologio biologico invecchia? Pare proprio di sì. L’oscillazione ritmica del gruppetto di cellule del nucleo soprachiasmatico sembra attutirsi un po’, il ticchettìo si arrugginisce, il segnale di comando del pacemaker diventa meno vigoroso. Dobbiamo rassegnarci? Naturalmente no. Di fronte alla constatazione di un fatto è necessario porsi delle domande e comprendere i fenomeni per cercare di controllarli. Perché l’orologio biologico s’inceppa nel corso dell’invecchiamento? In realtà non abbiamo ancora risposte conclusive a tale quesito. Molti dati, però, indicano che in tutto l’organismo cambia un po’, invecchiando, l’assetto delle cellule, con un aumento, pur se di lieve entità, di molecole che in genere sono coinvolte in segnali infiammatori. L’orologio biologico sembra essere particolarmente infastidito da questo tipo di segnali. Forse madre natura non lo aveva avvertito che avrebbe dovuto fronteggiare anche questa evenienza.

Ma il cervello non è fatto a compartimenti stagni ed i fenomeni cognitivi che includono la percezione di un intervallo temporale sono anch’essi influenzati dal governo dell’orologio biologico. Ad esempio, lo studio di prestazioni mentali che richiedono attenzione all’intervallo temporale fra due stimoli (visivi o uditivi) in individui con un’età media di 20 anni, confrontati con individui con un’età media di 70 anni, ha evidenziato che i soggetti anziani forniscono prestazioni molto più brillanti al mattino che nel pomeriggio, a fronte di una prestazione costante degli individui giovani. La fase circadiana entra, quindi, nelle operazioni mentali influenzando operazioni attentive e decisionali e queste interazioni fra sistemi neurali sono in un equilibrio fragile e precario nell’invecchiamento. Per giudicare dell’importanza e delle conseguenze di questa fragilità, proviamo a riflettere sull’età media dei capi di governo in giro per il mondo, cui sono affidati compiti decisionali d’importanza capitale…

Le ricerche continuano e speriamo di riuscire ad ‘oliare’ a dovere anche le lancette di questo prezioso orologio nascosto nel cervello.

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