IMPRONTA
Cose che sembrano e cose che sono
di Roberta Valtorta
Sembrano embrioni, parti dell’apparato riproduttivo, viscere. Sinuose forme antropomorfe emergono, chiare, da un fondo scuro finemente materico. Invitano, subito, a guardarle meglio, più a lungo, poiché promettono di essere altro. Il metodo di lavoro di Antonio Biasiucci, raffinatosi negli anni, è sempre stato quello di strappare forme chiare, luminose in senso fotografico, dal nero misterioso della materia, sia essa quella fisica o quella impalpabile dello spazio stesso, di ciò che chiamiamo 'vuoto'. La sua fotografia, che può essere definita di natura meditativa, punta sempre a toccare infatti qualcosa di molto grande, forse vicina all’infinito, che si ritrova però in cose piccole, minime, cose circoscritte dall’inquadratura fotografica. Quel che vediamo sono ceppi tagliati che mostrano gli anelli di accrescimento di alberi dai tronchi straordinariamente diversi tra loro. Biasiucci li ha trovati, come ready made preparati dalla natura e dal gesto umano insieme, o forse, inconscio archeologo, li ha cercati, camminando nei boschi del luogo in cui è nato. Parlano, a un primo sguardo, della morte di questi alberi, che non esistono più nella loro meravigliosa totalità di tronchi, rami, foglie, fiori: radici, rami spezzati, foglie sparse sono solo uno scuro groviglio a terra. Ma al di là di ciò che vediamo, queste immagini raccontano la storia senza tempo degli alberi, la loro provenienza dal profondo della natura, la loro genesi che la scienza lavora a misurare, che noi non arriviamo a sapere, che è, infine, la nostra stessa genesi (Ghenos è infatti il titolo di questo lavoro realizzato tra il 2017 e il 2020). Dunque essi non sono morti, ma essenzialmente sono. Gli anelli di accrescimento, che si mescolano ai fitti segni provocati dai tagli, recano una sorta di DNA degli alberi, l’impronta del loro essere, legnosa e vegetale, ma del tutto simile a quella che il vento lascia sulla superficie dell’acqua o sulla sabbia del deserto, a quella che ritroviamo sulla punta delle nostre dita e sulla trama della pelle dei nostri corpi o, ancora, sulle macchie del pelo degli animali. E, ci ricorda Antonio Biasiucci, anche la fotografia, prima ancora di essere rappresentazione, è un'impronta, è ciò che la luce lascia su un supporto sensibile.
Antonio Biasiucci, Ghenos (2017-2020).