IMPRONTA

Se il paesaggio è il volto della terra, lo specchio delle società, il teatro in cui l’uomo è contemporaneamente attore (costruttore di paesaggio) e spettatore (osservatore, ammiratore, giudice dello stesso paesaggio), la sua scoperta, la sua lettura e la sua interpretazione possono costituire una esperienza formativa assai ricca, in grado di coinvolgere sia la sfera razionale che quella emotiva in un percorso graduale di rafforzamento del senso di appartenenza territoriale e di approfondimento delle questioni ambientali, nell’ottica dell’educazione alla sostenibilità e della costruzione di una cittadinanza attiva e responsabile.
Benedetta Castiglioni, Educare al paesaggio, Museo di Storia Naturale e Archeologia, Montebelluna 2010, pp. 11-12.


Possiamo intendere i paesaggi come l’esito dinamico delle impronte esercitate dai fenomeni naturali e antropici (culturali, socio-demografici, politici, economici…) nella loro complessa e multiforme interconnessione, filtrati e compresi dall’io individuale: è così infatti che i contesti territoriali di diretta esperienza entrano nella percezione e nell’intimità di ciascuno di noi, parlando proprio «del mondo in cui viviamo» (G. Dematteis, Geografia come immaginazione, Donzelli, 2021, p. 80). Ne deriva che i paesaggi, in modo più o meno intenzionale, sono costantemente messi in discussione, mantenuti o stravolti, modificati e rinnovati, arricchiti e impoveriti, curati e trascurati, potenziati e depotenziati. È compito degli individui osservarli, rapportarsi con essi, ricavarne sensazioni ed emozioni, leggerne le trame, cercare di decifrarli e, perché no, volerli modificare in una prospettiva di rivisitazione immaginaria, senza avere spesso la consapevolezza che i cambiamenti sono già in atto e a volte sfuggono alle nostre capacità cognitive e di controllo.

Le emergenze ambientali incidono profondamente i paesaggi

Le impronte sul paesaggio determinate dai fenomeni ‘naturali’, che genericamente possono essere interpretati come geografici, sono molto diversificate, in riferimento alla profondità del segno trasmesso in eredità e al suo possibile grado di reversibilità. L’impronta di un fiume tumultuoso o quella di una colata lavica, ad esempio, può essere molto evidente e avere conseguenze sul lunghissimo periodo. Si coglie nelle forme assunte dal terreno e, se l’evento che l’ha prodotta è stato drammatico e calamitoso, anche nei segni di cui sono testimoni i manufatti. In questo caso, intensi e dolorosi possono essere anche gli effetti nella mente e nei ricordi delle persone che sono state coinvolte, a volte in qualità di vittime del tutto indifese.
Come evidenziato, questi fenomeni naturali incidono fortemente sui paesaggi, soprattutto se molto violenti o addirittura catastrofici come un’alluvione devastante o lo scivolamento a valle di un versante della montagna, come ad esempio il tristemente noto disastro del Vajont del 1963. Anche se, almeno in questo caso, solamente il fenomeno franoso può essere ascritto alla natura, mentre le cause sono in gran parte da imputare all’ingordigia dell’homo oeconomicus, non disposto ad ascoltare i moniti provenienti dalle viscere della terra pur di incrementare i propri guadagni e trasformare le risorse naturali in profitti. Anche i cambiamenti climatici, che in modo molto preoccupante caratterizzano la contemporaneità, hanno e avranno nel lungo periodo significative conseguenze sui caratteri paesaggistici. Le alte temperature dell’estate 2021 nelle regioni occidentali del subcontinente nordamericano, ad esempio, hanno causato incendi di intensità notevole e di ampia estensione territoriale, lasciando in eredità paesaggi fortemente modificati, a volte quasi irriconoscibili, che per lunghi decenni manterranno viva l’impronta indelebile della catastrofe accaduta. D’altronde lo stesso Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) attesta che l’emergenza climatica in atto comporterà a breve impatti molto incisivi e altamente preoccupanti sulla vita del pianeta e conseguentemente anche sul suo volto percepibile e interpretabile, il paesaggio (Intergovernmental Panel on Climate Change, Sixth Assessment Report, 2021).

L’antropizzazione del paesaggio

Tuttavia, se le impronte significative appena descritte, anche e soprattutto le più disastrose, rappresentano un ammonimento che può esercitare una pressione positiva sui comportamenti da assumere e sulle scelte da operare, soprattutto in una logica di prevenzione, minor impatto sulla sensibilità delle persone hanno gli altrettanto aggressivi interventi di cui il paesaggio porta tristemente i segni e che sono da imputare interamente all’azione umana e alle sue incessanti opere di artificializzazione dell’ambiente. Infatti, ai profondi segni provocati sul paesaggio e, contestualmente, sui vissuti delle persone dalle cosiddette catastrofi naturali o emergenze ambientali che hanno il valore di vere e proprie impronte, si sono aggiunti negli ultimi due secoli, e assai prepotentemente nei decenni più recenti, gli effetti delle nostre scelte in termini sia di progettazione, pianificazione e gestione del territorio, sia di ordinario rapporto di ciascun essere umano con le cose e con gli altri esseri viventi. Tali scelte, purtroppo, si sono rivelate in più di qualche caso scellerate, a volte terribilmente sorrette da manifeste intenzionalità ma anche, dato forse ancora più allarmante, spesso inconsapevoli, intraprese ignorando le conseguenze e i processi a catena che avrebbero potuto innescare.
Così, un viadotto autostradale, una linea elettrica ad alta tensione, una scelta urbanistica di una certa rilevanza che rimodula radicalmente un quartiere cittadino o che trasforma un’area di frangia tra città e campagna in una vasta zona a destinazione commerciale e/o logistica, costituiscono interventi che lasciano segni importanti sui tessuti paesaggistici che li accolgono e che da essi vengono significativamente cambiati e alterati. Spesse volte, tuttavia, le impronte sono l’esito di numerosissimi piccoli interventi, nella maggior parte dei casi impercettibili, che si susseguono nel tempo, in modo lento e costante, i cui autori e protagonisti sono sempre e solamente gli uomini, consapevoli e in alcuni casi capaci di prefigurarsi i risultati, in altri analogamente consapevoli ma non in grado di immaginarsi gli esiti delle loro azioni, spesse volte però del tutto inconsapevoli. Proprio l’inconsapevolezza e l’ignoranza dilaganti costituiscono i fattori che più allarmano, sui quali non si dimostra facile poter intervenire in maniera efficace e che, con ogni probabilità, incidono più in profondità, certamente in capillarità, nell’azione di disegno e ridisegno continuo dei paesaggi della quotidianità.

L’insostituibile prospettiva educativa

A questo punto del ragionamento, proprio in relazione alla variabile rappresentata dal grado di consapevolezza, sorge spontaneo interrogarsi circa la funzione e le potenzialità che i processi educativi possono esercitare e possedere per porre rimedio, per arginare, auspicabilmente anche per accompagnare, percorsi virtuosi in grado di garantire significativi cambiamenti nelle relazioni tra le persone e i territori di loro diretta esperienza. Il riferimento è ai principi, ai valori e alle pratiche dell’educazione territoriale e paesaggistica in relazione alle agenzie educative formali, con capofila la scuola, ma anche o soprattutto in relazione ai fondamentali contesti non formali e della quotidianità. C’è da chiedersi come gli iter formativi possano incidere sulle impronte che, indipendentemente dalla loro genesi e dai caratteri dei percorsi che le provocano, trasformano le trame dei diversi paesaggi. La convinzione è che la dimensione educativa rappresenti una tra le più importanti opzioni – se non addirittura l’unica – di cui l’umanità disponga per fare in modo che gli interventi che interessano il territorio e la sua organizzazione possano inserirsi in modo armonioso, accordato ed equilibrato sui segni preesistenti, garantendo un rapporto simbiotico positivo dell’uomo con il paesaggio che costantemente egli contribuisce a costruire, modificare e ricostruire, in quel gioco avvolgente e riavvolgente tra oggetto e soggetto di cui ci parla Gino De Vecchis (Il paesaggio: cosa, come e perché a scuola, «Semestrale di studi e ricerche di geografia», 2, 1993, pp. 85-98) e che trova la sua sintesi nella geografia mentale intorno alla quale riflette Giuseppe Dematteis (Geografia come immaginazione, Donzelli, 2021, p. 80).
Due sono le questioni fondamentali che riguardano il ruolo esercitato dal momento educativo in relazione al paesaggio e alle sue dinamiche.
La prima questione desidera chiarire se e come la proposta didattica possa determinare, indirizzandolo, il rapporto delle persone, considerate sia individualmente sia collettivamente, con i diversi luoghi di esistenza e di frequentazione. In sostanza, vale la pena domandarsi se il processo formativo possa guidare le nostre scelte e decisioni e conseguentemente incanalare il nostro rapporto immersivo con il paesaggio, da intendersi quest’ultimo come idea e fenomeno del pensiero e allo stesso tempo come entità tangibile e concreta. Questa supposta relazionalità tra momento educativo e comportamento nei confronti del paesaggio non deve essere interpretata e insensibilmente ridotta a un classico processo causa-effetto. Se così fosse sarebbe sufficiente costruire e istituzionalizzare nelle scuole di ogni ordine e grado degli insegnamenti obbligatori di educazione al paesaggio, con il rischio, però, da un lato di trasformarlo in un mero argomento di studio, in qualche modo ingabbiandolo e di certo riducendone il valore sul piano formativo, dall’altro di permettere che alcuni canoni paesaggistici, ritenuti i migliori, possano prendere il sopravvento su altri e diventare il verbo unico da trasmettere alle nuove generazioni. Al riguardo, sorgono immediati alcuni interrogativi a cui non risulta semplice fornire risposte: esiste un canone di paesaggio in assoluto valido e superiore ad altri? Inoltre, il paesaggio costituisce un valore primario e per certi versi immutabile da trasferire necessariamente di generazione in generazione? Oppure i processi trasformativi sono la sostanza stessa del paesaggio e con il mutamento è importante relazionarsi se effettivamente si desidera essere in un rapporto di scambio benefico? E infine, a chi eventualmente dovrebbe essere attribuita la facoltà di definire il canone da privilegiare e conseguentemente, in base a esso, indirizzare l’azione educativa?
Il secondo aspetto, relativo ai supposti canoni, chiama in causa l’essenza stessa del paesaggio che amalgama e riamalgama vorticosamente materialità e immaterialità, elementi, associazioni e dinamiche naturali con artefatti umani, progetti e oggetti, realtà e rappresentazioni. Proprio questa complessa, intrigante e tuttavia sfuggente identità, naturale e culturale insieme, tangibile e intangibile allo stesso tempo, pone un serio interrogativo in relazione alla supposta intenzione di tradurre il paesaggio in oggetto di appositi percorsi educativi. Questi sarebbero molto utili e potrebbero riversare positivamente i loro effetti sulla qualità paesaggistica, da intendersi come risultato di progetti e azioni, ma c’è da chiedersi quale debba essere l’idea di paesaggio al centro di tali iter formativi: il paesaggio che risponde a canoni estetici consolidati, sempre che ce ne siano; quello della tradizione, magari filtrato da una vena nostalgica; quello che produce ricchezza, ma solo per pochi; il paesaggio-cartolina che conquista il cittadino-cliente-acquirente, in particolare colui che è meno avvezzo a confrontarsi con esso; quello dei potenti e/o di chi comunque può decidere? Oppure quello che rispecchia il confronto democratico e che riflette, in una difficilissima opera di mediazione, i sogni, le intenzioni, i progetti, le scelte e le azioni di tutti? E soprattutto, un paesaggio che sia l’esito di un atteggiamento di rispetto nei confronti della natura e dei suoi equilibri, ponendo così l’accento su come la mancanza di una adeguata attenzione all’ambiente possa significare allo stesso tempo assenza di una giusta e rispettosa tensione in direzione degli altri uomini?

Educare al paesaggio. Come?

L’educazione si manifesta come una dimensione insostituibile, ma ciò che ancora fatica ad emergere in modo chiaro è la modalità attraverso la quale proporre occasioni formative sul paesaggio e per il paesaggio. Con ogni probabilità non ha molto senso che il paesaggio, nella sua complessità semantica, concettuale e interpretativa, costituisca uno specifico argomento di approfondimento a scuola. Ciò che invece risulterebbe importante è mettere in campo energie utili a confezionare proposte educative che abbiano le competenze per la sostenibilità come principi ispiratori, linee guida da seguire e mete da poter raggiungere, riprendendo e finalizzando le importantissime considerazioni proposte da Benedetta Castiglioni nell’esergo. Se, infatti, si ritiene che i paesaggi con i quali ci confrontiamo e di cui siamo protagonisti, come costruttori oppure distruttori, e di cui allo stesso tempo siamo osservatori, portino i segni dei nostri pensieri e delle nostre azioni e analogamente segnino profondamente il nostro pensare e il nostro agire, è allora opportuno che venga riservata una particolare e rilevante attenzione alla dimensione educativa. Le impronte che possono realmente indirizzare il percorso di vita di ciascuno di noi sono quelle lasciate dalla riflessione e dal confronto sul terreno della formazione, intorno ad alcuni pilastri valoriali che rappresentano la linfa vitale della relazione evolutiva virtuosamente intrecciata tra persone e comunità e i loro contesti, ambientali e socio-culturali, di vita. Così, si ritiene di poter ricorrere a un solo esempio eloquente di come, a giudizio di chi scrive, dovrebbe essere messa in campo una convincente proposta educativa sul tema del paesaggio. Ecco allora che organizzare, con l’apporto di tutti gli ambiti disciplinari o predisciplinari, percorsi di apprendimento incentrati sulla «competenza di previsione: capacità di comprendere e valutare molteplici futuri, possibili, probabili e desiderabili; di creare le proprie visioni per il futuro; di applicare il principio di precauzione; di determinare le conseguenze delle azioni e di gestire i rischi e i cambiamenti» (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura - UNESCO, Educazione agli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Obiettivi di apprendimento, 2017, versione italiana), potrebbe sortire esiti di rilievo in termini di capacità di valutazione dei flussi causali e delle opportunità di scelta tra le possibili opzioni di intervento, ai fini anche dell’acquisizione di comportamenti attenti e rispettosi nei confronti di tutte le componenti, materiali e immateriali, dei paesaggi vissuti e con i quali ciascun essere umano intreccia immagini, azioni, emozioni e giudizi.
I paesaggi sono per l’appunto l’espressione percepibile e intelligibile di questa complessa e multidimensionale relazionalità e i segni, troppe volte le ferite, che li incidono sono soprattutto la conseguenza di un vuoto formativo che si traduce in una scarsa consistenza o addirittura in una totale mancanza di consapevolezza. L’auspicio è che le impronte educative possano realmente segnare con forza e lasciare le loro benefiche tracce nel paesaggio, inteso come valore, come idea e anche come aspirazione, e nei paesaggi, che invece costituiscono la concretezza dell’esperienza di vita di ciascun uomo.

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