IMPRONTA
Impronta e controimpronta
di Alessandro Minelli
Che cos’è un’impronta? È la traccia duratura di un incontro fra diversi: fra il piede e il fango, fra il timbro e il foglio di carta, fra qualcosa di duro che lascia l’impronta e qualcosa di plastico, ma non troppo, che la riceve e la conserva. Il piede non lascia impronta sulla roccia nuda, che è molto più dura di lui, ma non la lascia nemmeno nell’acqua; anche la vaga impronta che rimane per un poco sulla sabbia asciutta non è destinata a durare.
Questa, almeno, è la regola, ma a volte è difficile prevedere da che parte rimarrà l’impronta, dopo l’impatto fra un corpo duro e un corpo molle. Nel confronto con lo scoglio roccioso, la sorte di Ulisse è diversa da quella del polpo. Canto quinto dell’Odissea:
[…] Afferrò ad ambe
Mani la rupe, in ch’ei già dava, e ad essa
Gemendo s’attenea. Deluso intanto
Gli passò su la testa il violento
Flutto: se non che poi, tornando indietro,
Con nuova furia il ripercosse, e lunge
Lo sbalzò della spiaggia al mare in grembo.
Polpo così dalla pietrosa tana
Strappato vien: salvo che a lui non pochi
Restan lapilli nelle branche infitti,
E Ulisse in vece la squarciata pelle
Delle nervose man lasciò alla rupe.
Certo, i sassolini attaccati alle ventose del mollusco e i brandelli di pelle che il povero Ulisse finisce per lasciare tra le asperità della pietra non sono impronte fra le più durevoli o le più tipiche. Forse, l’impronta dovrebbe conservare la forma del corpo impattante, e non una parte di questo. Ma è sempre vero? Non c’è mai trasferimento di materia? È il caso di ripensarci, se non altro perché il corpo impattante è spesso il vettore di una traccia che viene trasferita nell’impatto, come il fango che dalla scarpa mal pulita sullo zerbino si trasmette al pavimento, formando un’impronta. Il confine lessicale è difficile: chiameremo impronta la traccia lasciata sul foglio da un timbro a secco, ma opteremo per un termine diverso se il timbro, con un contatto leggero, ha trasmesso un sottile velo d’inchiostro?
Piuttosto che attardarci sulle pagine dei dizionari, forse è meglio ritornare al mondo reale: ci sono impronte dovunque, anche se non è sempre facile scoprirle e, soprattutto, interpretarle. L’impressionante traccia del passaggio di un dinosauro non si forma nel momento in cui capita sotto gli occhi del paleontologo: se ne stava lì nella roccia da cento milioni di anni. Per tutto questo tempo, essa non ha cambiato la vita di nessuno, né il corso di un processo naturale. Ora, magari, potrà dare un po’ di fama al suo scopritore o procurare qualche euro in biglietti d’ingresso al museo dove è esposta al pubblico. Chissà quante altre impronte si conservano sotto terra, testimonianze potenziali di eventi del passato destinate a scomparire, a causa dell’erosione delle rocce, prima di essere viste da alcuno.
Ma, di nuovo, non è sempre così. A volte, la presenza di un’impronta ha le sue conseguenze. Quel po’ di diffidenza o di cattiva coscienza di cui è difficile fare a meno induce a pensare innanzitutto alle conseguenze per chi l’ha lasciata: forse non doveva farlo e magari verrà scoperto; forse non se n’è nemmeno accorto o invece potrebbe averne coscienza, e per questo non è tranquillo.
Non tutte le impronte, però, assomigliano a quelle dei dinosauri, tracce lasciate nel fango e oggi scolpite nella pietra. Ci sono anche le impronte delle nostre azioni e delle nostre parole negli altri umani. A volte, queste impronte sono a senso unico: uno le lascia, un altro le riceve e le conserva, anche a distanza di tempo e di spazio, magari attraverso una pagina scritta, che forse un giorno qualcuno leggerà. Molti di noi sanno quanto forte e duratura possa essere l’impronta lasciata dalla lettura di un libro, soprattutto se l’incontro è avvenuto in un momento della vita in cui la nostra mente non era instabile come la sabbia asciutta, né indurita e refrattaria come la pietra.
Ma perché limitarci alle impronte lasciate da un incontro con persone remote nel tempo o nello spazio? Non lasciamo forse impronte anche, o soprattutto, nelle persone a noi più vicine, in quelle che frequentiamo tutti i giorni? Perché dimenticare la famiglia, la cerchia degli amici, gli insegnanti e i compagni degli anni della scuola? Queste tracce non sono importanti solo perché ci accompagnano per tutto il tempo della nostra esistenza, ma anche perché sono impronte reciproche. È opinione diffusa che dopo tanti anni di vita in comune molti vecchi coniugi finiscano per assomigliarsi. Una vita intera di impronte lasciate e ricevute. Perché avere fretta?
Sulle ali della fantasia, potremmo però immaginare un mondo dove un breve incontro è sufficiente perché due partner finiscano per assomigliarsi come gocce d’acqua, ma in queste cose, come in tante altre, la realtà supera l’immaginazione.
Nel mondo vivente ci sono mille modi diversi per nutrirsi, per riprodursi, per fare l’amore. Per entrare in una realtà molto diversa dalla nostra, mettiamo sotto le lenti del microscopio un po’ di parameci, piccoli organismi fatti di una sola cellula che nella scuola di una volta era probabile vedere, prima o poi, durante le lezioni di scienze.
La coniugazione dei parameci è un atto estremamente pudico e, allo stesso tempo, totalizzante. Non ci sono gameti che perdono la propria identità nell’atto della fecondazione. Se due parameci si fondessero a formare uno zigote, verrebbe sconvolta tutta l’architettura del complesso sistema di minuscole ciglia di cui queste cellule sono ricoperte, e non saprebbero come rifarsela daccapo. Come fanno, allora, a mettere in comune i loro geni?
Osserviamoli al microscopio. I due partner si stanno avvicinando. Senza sconvolgere le lunghe serie di ciglia che li rivestono, si uniscono attraverso un ponte stretto e fragile, attraverso il quale ciascuno fa arrivare all’altro una copia completa del suo patrimonio genetico. È già abbastanza: il ponticello che li unisce si spezza e i due, ormai ex, se ne vanno, ciascuno per la propria strada. Ma non sono più i due individui di prima. C’è stato, infatti, uno scambio reciproco che ha creato due individui nuovi, ciascuno con un pacchetto di cromosomi che deriva per metà dall’uno, per l’altra metà dall’altro. L’incontro è stato molto breve, ma ha lasciato in entrambi un’impronta profonda e speculare. Impronta e controimpronta, direbbe un paleontologo.