MARGINE
Al margine del caos
di Alberto F. De Toni
Il concetto di margine del caos, o orlo del caos, è correlato a quello di ordine e disordine. Siamo abituati a pensare all’ordine e siamo abituati a pensare al dis-ordine. Ma non siamo abituati a pensare all’ordine e al disordine insieme. Siamo abituati ad associare all’ordine significati positivi e al disordine significati negativi. Siamo abituati a pensare al limite come a una zona rischiosa, possibilmente da evitare. Il limite è una zona rischiosa, ma inevitabilmente da ricercare. I sistemi naturali si trovano in una situazione di ordine dinamico, che non è né l’ordine immutabile e statico, né il disordine incontrollabile e potenzialmente pericoloso del caos. Per questo stato, al limite, tra ordine e disordine, Chris Langton, fisico dell’Istituto di Santa Fe (New Mexico), ha coniato alla fine degli anni Novanta il termine di ‘edge of chaos’, scelto tra altri termini come ‘transizione al caos’, ‘confine del caos’, ‘inizio del caos’.
L’ordine dinamico è fondamentale perché è proprio in questa condizione che si ha la creazione di novità, la creatività, la vita stessa. Secondo Bernice Cohen: «Al margine del caos, i confini del cambiamento fluttuano continuamente tra uno stagnante status quo e l’anarchia della perpetua distruzione» (The Edge of Chaos. Financial Booms, Bubbles, Crashes and Chaos, 1997). La complessità è pertanto uno «stato liquido»: non è né l’immobile status quo del ghiaccio, né l’incontrollabile anarchia del vapore, ma l’acqua che porta la vita.
Secondo il sistemista statunitense Jamshid Gharajedaghi, «viviamo in un’epoca di paradossi» (Systems Thinking: Managing Chaos and Complexity, 1999). E la scienza, grazie alla complessità, né è diventata pienamente consapevole. A detta della matematica Angelique Keene: «Lo spazio della complessità è quello stato che il sistema occupa e che si trova tra ordine e caos. È uno stato che abbraccia il paradosso; uno stato in cui l’ordine e il disordine convivono simultaneamente. È anche lo stato in cui il sistema può realizzare ed esplorare il massimo in quanto a creatività e possibilità diverse» (Complexity theory: the changing role of leadership, in «Industrial and Commercial Training», 2000).
L’orlo del caos, situandosi al limite tra ordine e disordine, è una zona ad alto potenziale creativo. Essendo estremamente vicina al caos però, con le sue caratteristiche di imprevedibilità e incontrollabilità, è una zona altamente rischiosa. Precipitare nel caos significherebbe andare a finire in quel luogo che Edgar Morin descrive in modo suggestivo: «L’idea di caos […] si accompagna al ribollire, al fiammeggiare, alla turbolenza. Il caos è un’idea preesistente alla distinzione, alla separazione, all’opposizione, un’idea dunque di indistinzione, di confusione fra potenza distruttrice e potenza creatrice, fra ordine e disordine, fra disintegrazione e organizzazione, fra Hybris e Dike. Diventa allora manifesto che la cosmogenesi si effettua nel e tramite il caos. Caos è esattamente ciò che è inseparabile nel fenomeno bifronte tramite il quale l’Universo, contemporaneamente, si disintegra e si organizza, si disperde e si costituisce attorno a molti nuclei. […] Il caos è la disintegrazione organizzatrice» (L. Tassoni, Il sogno del caos, 1990).
Il celebre romanziere Michael Crichton, autore del best seller Jurassic Park del 1990, non fa mistero di amare la teoria della complessità e soprattutto questa zona tra ordine e caos. Nella prefazione del suo libro successivo, Il mondo perduto cita questo passo di uno studioso dell’Istituto di Santa Fe – Ian Malcolm – a proposito dell’orlo del caos: «È una zona di conflitto e di scompiglio, dove il vecchio e il nuovo si scontrano in continuazione. Trovare il punto di equilibrio è una faccenda delicatissima: se un sistema vivente si avvicina troppo al margine, rischia di precipitare nell’incoerenza e nella dissoluzione; ma se si ritrae troppo diventa rigido, immoto, totalitario. Entrambe queste evenienze portano all’estinzione. L’eccessivo cambiamento è letale quanto l’eccessivo immobilismo. I sistemi complessi prosperano solo al margine del caos» (Il mondo perduto, 1997).
Mitch Waldrop, editorialista della rivista «Nature» – quasi ispirandosi al grande illuminista Denis Diderot che sosteneva come «l’unico vero rischio che si può correre nella vita è non provare» – sembra spronarci ad accettare il rischio dell’orlo del caos: «In tale punto di equilibrio i componenti di un sistema non raggiungono mai una posizione stabile e tuttavia non si dissolvono nella turbolenza. L’orlo del caos è là dove la vita ha abbastanza stabilità da sostenersi e creatività sufficiente da meritare il nome di vita. L’orlo del caos è dove nuove idee e genotipi innovativi erodono senza tregua i confini dello status quo, e dove persino la vecchia guardia meglio trincerata sarà infine capovolta» (Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, 1996).
La scoperta dell’orlo del caos implica sicuramente dei cambiamenti nel nostro modo di pensare all’ordine e al disordine: dobbiamo renderci conto che ordine e disordine possono essere contemporaneamente presenti. Inoltre, dobbiamo lasciare da parte il pregiudizio secondo cui il disordine è solamente foriero di effetti negativi: dal disordine, spesso, nasce la creazione, ed esso ha la medesima importanza dell’ordine. La vita, la natura, tutto ciò che siamo e che saremo, tutto ciò che ci circonda è un miracolo che si basa su eterne contraddizioni e lotte. È l’orlo del caos (A.F. De Toni, L. Comello, Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità, 2005).
La complessità ha seguito un itinerario che ci ha portati a una cultura dell’and, che prende il posto della classica cultura dell’or. È Pierluigi Amietta a descriverci questo passaggio fondamentale: «quella complessità che significa la fine del ‘bianco o nero’, del ‘sei con me o contro di me’, ‘io sono nel vero e tu nel falso’, ‘angelo o dèmone’, ‘dannati o eletti’, ‘generalista o specialista’, ‘formazione o addestramento’. Che significa, in ultima analisi, in coincidenza con la fine della cultura dell’o, il principio della cultura dell’e» (La creatività come necessità. Il nuovo manager tra creazione complessità e carisma, 1991). Per dirlo con le parole del poeta argentino Jorge Luis Borges: «Quando trovi un bivio, imboccalo».
Le cose, cioè, non si escludono, non si elidono, non si neutralizzano a vicenda, ma si aggiungono, coesistono, convivono, si sommano, si integrano, si completano, si richiamano, si equilibrano tra loro. Come sosteneva Eraclito (540-480 a.C.) nei Frammenti, bisogna «[unire] ciò che è completo e ciò che non lo è, ciò che è concorde e ciò che è discorde, ciò che è in armonia e ciò che è in contrasto».
In definitiva, la complessità ci invita a diventare come quegli uomini che nella massima, come sempre acuta, ironica, irriverente, del grande scrittore irlandese Oscar Wilde (1854-1900), vedono il mondo in maniera più ‘complicata’. Consapevoli che esso è intriso di contraddizioni: «Il mondo è diviso in due tipi di uomini: quelli che pensano che il mondo sia diviso in due tipi di uomini, e quelli che pensano che sia più complicato di così».
Gilbert K. Chesterton (1874-1936), celebre romanziere inglese, critico dei costumi e ispiratore di Ghandi nel dare vita al movimento nazionalistico indiano, ci rivela parte delle contraddizioni che rendono così complessa la nostra realtà: «Il vero problema di questo nostro mondo non è la sua irrazionalità, e neppure la sua razionalità. Il problema più comune sta proprio nel fatto che è quasi razionale, ma non lo è del tutto. La vita non è totalmente illogica, eppure è una trappola per i fautori della logica. Appare un po’ più matematica e regolare di quanto non sia; la sua esattezza è evidente, ma la sua inesattezza è nascosta; il lato selvaggio della vita è sempre in agguato».
La complessità può essere identificata anche con lo studio del fenomeno affascinante dell’innovazione. Come sostiene Mark W. McElroy: «La complessità è dunque, almeno in parte, lo studio dell’innovazione che pervade l’universo» (Integrating complexity theory, knowledge management and organizational learning, in «Journal of Knowledge Management», 4, 3, 2000).
L’orlo del caos è quindi l’area della vita anche per quanto riguarda le organizzazioni economiche. È un’area rischiosa, l’area della complessità, sempre in bilico tra due estremi altrettanto pericolosi: troppo ordine o troppo disordine. Ma è l’area dell’innovazione. Come diceva lo scrittore e poeta e francese Paul Valery: «Due pericoli minacciano costantemente il mondo: ordine e disordine».
L’orlo del caos è la zona in cui si ha distruzione e creazione. Per creare bisogna passare attraverso la distruzione. Il grande poeta Thomas S. Eliot descrive in modo sublime questi concetti: «Per arrivare a ciò che non conosci, devi passare attraverso l’ignoranza. Per possedere ciò che non possiedi, devi passare attraverso la mancanza. Per arrivare a ciò che non sei, devi andare attraverso il sentiero in cui non sei».
E Picasso affermava che «ogni atto di creazione è prima di tutto un atto di distruzione». Sono probabilmente gli Indù ad avere la teoria più complessa della creazione e della distruzione: la trinità induista è infatti costituita da Brahma (il creatore), Shiva (che agisce talvolta da distruttore) e Vishnu (l’arbitro), che si occupa di mettere in equilibrio distruzione e creazione.
In economia, il primo studioso a parlare di distruzione e creazione è stato l’economista austriaco Joseph A. Schumpeter nel 1938. Egli afferma che la caratteristica fondamentale del capitalismo è la «distruzione creatrice» e che il capitalismo è una forma o un metodo di evoluzione economica e non può mai essere stazionario. L’impulso fondamentale che aziona e tiene in moto la macchina capitalistica viene dai nuovi beni di consumo, dai nuovi metodi di produzione o di trasporto, dai nuovi mercati, dalle nuove forme di organizzazione industriale. Le imprese rivoluzionano incessantemente dall’interno le strutture economiche, distruggendo quelle antiche e creandone di nuove.
Distruzione e creazione sono dunque due facce della stessa medaglia. Scrive Salvatore Vicari: «I due aspetti sono tra loro indissolubilmente legati: non può esistere creazione senza distruzione, e la distruzione ha senso solo se in essa sono contenuti i semi dell’innovazione» (La creatività dell’impresa. Tra caso e necessità, 1998). E ancora: «La costruzione avviene sulle macerie della distruzione, utilizza anzi il materiale reso disponibile dalla distruzione stessa. L’edificio dell’innovazione è costituito in buona parte di materiali esistenti, utilizzabili solo in quanto il processo di distruzione abbia avuto luogo» (La creatività dell’impresa, 1998).
Ralph D. Stacey, studioso di management, scrive: «Le organizzazioni di successo, che sono quelle continuamente creative, non possono scegliere tra sistemi di controllo e strutture formali da una parte e comportamenti liberi e informali che generano l’apprendimento dall’altra. Che siano grandi o piccole, le organizzazioni di successo devono avere entrambi contemporaneamente. Questo perché tutte le organizzazioni hanno a che fare sia con il futuro prevedibile che con quello non prevedibile. Il risultato è certamente una tensione e una contraddizione senza fine, ma questo provoca il conflitto e l’apprendimento ed è dunque la fonte della creatività» (Managing chaos. Dynamic business strategies in an unpredictable world, 1992).
L’orlo del caos è quindi un posto rischioso da abitare. Non è ordine e non è disordine. È tra ordine e disordine. Troppo ordine: morte per fossilizzazione. Troppo disordine: morte per disintegrazione. Bisogna stare sulla cresta dell’onda (fig. 1): a monte dell’onda c’è grande stasi; a valle dell’onda c’è grande caos; sulla cresta dell’onda c’è il punto di massima energia. E lì infatti che si mettono i surfisti. Ecco cosa bisogna fare: stare sulla cresta dell’onda, non farsi travolgere a valle (nel caos dei flutti) e nemmeno rimanere a monte (nella zona di stasi e d’ordine). Dobbiamo accettare la sfida di rimanere sul punto di massima energia, all’orlo del caos, tra ordine e disordine, nella zona della distruzione creatrice, nella regione dell’innovazione, nell’area della complessità della vita.