MARGINE

L’evoluzione degli organismi viventi è l’espressione di forze diverse e talvolta opposte. La tensione principale è tra il bisogno di stabilità e la necessità del cambiamento. Il primo è espresso per esempio dalla grande stabilità strutturale del DNA e del suo codice, conservato quasi intatto in tutte le specie (con poche eccezioni). Tuttavia, senza la capacità di cambiare, gli organismi non sarebbero in grado di adattarsi ad ambienti mutevoli e alle continue minacce che essi rappresentano. Gli elementi trasponibili (trasposoni), il crossing-over nella meiosi (divisione cellulare dei gameti) e i cambiamenti epigenetici sono alcuni dei meccanismi che garantiscono la varietà delle configurazioni genetiche che a loro volta consentono la variazione, l’adattamento e l’evoluzione.
Si deve a Barbara McClintock (premio Nobel nel 1983) il grande merito di avere compreso per la prima volta l’importanza degli elementi trasponibili e di avere promosso la ricerca nel campo dell’epigenetica dopo che questa era stata fondata da Conrad Hal Waddington. Nel 1942 quest’ultimo definì l’epigenetica come «la branca della biologia che studia le interazioni causali tra i geni e i loro prodotti, che a loro volta portano alla luce (into being) il fenotipo». McClintock da un lato, attraverso i suoi studi sulla variabilità fenotipica del mais, ipotizzò l’esistenza dei ‘geni saltatori’ (jumping genes), ovvero gli elementi trasponibili, dall’altro nel 1951 speculò che l’espressione del DNA era consentita da ciò che oggi identifichiamo come la metilazione del DNA o l’acetilazione degli istoni: «Le cellule discendenti da due diverse cellule provenienti dallo stesso individuo non si assomigliano per quanto riguarda i tipi di alterazioni genetiche che si verificano (benché abbiano la stessa sequenza di DNA, n.d.a.). […] Si pensa che l’inattività o soppressione della attività dei geni si verifichi perché i geni sono ‘ricoperti’ da altro materiale non-genico. […] L’attività dei geni è resa possibile solamente quando un mutamento fisico in questo materiale di copertura consente ai costituenti reattivi dei geni di essere ‘esposti’ e pertanto di poter funzionare».
Vi sono alcuni chiari esempi di come cambiamenti ambientali del passato hanno avuto un impatto drammatico sulle caratteristiche genetiche di alcune popolazioni. Per esempio, le migrazioni dalla mezzaluna fertile al Nord Europa 5-10.000 anni fa hanno portato alla comparsa di una diffusa tolleranza al lattosio e della pelle chiara nei paesi nordici; entrambi i mutamenti furono verosimilmente legati alla carenza di Vitamina D dovuta alla scarsa esposizione al sole, che attiva una provitamina contenuta nel sangue. Oppure, l’eterozigosi per il gene della Glucoso-6-Fosfato Deidrogenasi (G6PD) o per l’anemia falciforme è più frequente nelle zone malariche (come la Sardegna) in quanto i soggetti portatori sono meno suscettibili all’azione del Plasmodio, responsabile della malaria. È molto probabile, tuttavia, che non siano i cambiamenti nel patrimonio genetico, bensì quelli che chiamiamo cambiamenti epigenetici (che cominciano solo ora ad essere compresi) a dominare la scena in seguito ai rapidi mutamenti legati alla globalizzazione. Si tratta di cambiamenti funzionali (non strutturali, cioè non nella sequenza) del DNA, reversibili ma anche trasmissibili da una generazione alla successiva. Vi sono prove crescenti del fatto che i cambiamenti epigenetici sono legati a esposizioni ambientali, e in particolare a esposizioni in utero.
Poiché gli ultimi 30-40 anni hanno visto grossolane modificazioni dei mercati mondiali, della disponibilità di cibo prodotto industrialmente e di altri aspetti dello stile di vita, è possibile che tali modifiche abbiano un impatto non tanto sul patrimonio genetico (almeno non sul breve periodo) ma su quello che qui chiamiamo ‘paesaggio epigenetico’ dell’umanità.
Come regola generale, le influenze ambientali tendono ad aumentare l’instabilità del genoma, per esempio attraverso la demetilazione del DNA o una crescente attività dei trasposoni, e questo è sia un meccanismo volto ad aumentare la diversità genetica e a rispondere agli stress ambientali, sia un meccanismo potenzialmente dannoso per la cellula e per l’organismo, che può portare a un aumento delle malattie.
Negli ultimi due decenni, molti sforzi sono stati dedicati alla ricerca sui cambiamenti epigenetici che si accompagnano a malattie come il cancro. Il meccanismo epigenetico più largamente studiato è la metilazione del DNA. Dapprima osservata all’inizio degli anni Ottanta in studi sulla cancerogenesi, la metilazione del DNA consiste nell’aggiunta di gruppi metilici alle basi azotate del DNA, il che comporta una repressione o silenziamento dell’attività dei geni, secondo quanto preconizzato dalla McClintock. Se questo silenziamento interessa una classe di geni definiti ‘onco-soppressori’, questo può portare allo sviluppo del cancro. Sia la iper-metilazione dei geni onco-soppressori, sia la de-metilazione dei cosiddetti ‘oncogeni’ hanno lo stesso effetto. Una diffusa demetilazione del genoma si accompagna inoltre a una instabilità dei geni, che per esempio attiva i trasposoni, di nuovo realizzando una profezia della McClintock.

Diabete, migrazioni ed epigenetica
Gli studi su diverse coorti di nascita mostrano che la malnutrizione, il basso peso alla nascita e una rapida crescita postnatale sono tutti fenomeni associati a un elevato rischio di diabete. Questi effetti sembrano mediati da modificazioni epigenetiche e possono essere transgenerazionali. Più del 96% dei casi di basso peso alla nascita si verificano in paesi a basso reddito, con un’incidenza massima nel Sud-Est asiatico (31% delle nascite). I risultati di uno studio sulla nutrizione materna in aree rurali del sud dell’Asia hanno mostrato che le madri erano più basse e più magre delle loro corrispettive europee, e che i neonati a termine erano più leggeri di 700 grammi rispetto alla media europea. Altre indagini in Asia confermano l’associazione tra il basso peso alla nascita e lo sviluppo di alterata tolleranza al glucosio e diabete di tipo 2. Il rischio di diabete è aumentato di sei volte nei bambini nel terzo inferiore di Indice di massa corporea (BMI) ma che in seguito si spostano (da adulti) nel terzo superiore, paragonati a bambini sovrappeso che dimagriscono da adulti. Queste osservazioni suggeriscono fortemente che modificazioni epigenetiche in utero e nei primi anni di vita sono alla base del rischio di diabete in Asia.

Alimentazione ed epigenetica
L’alimentazione influenza lo stato di metilazione del DNA in diversi modi. Uno dei maggiori temi di ricerca è il ciclo definito 1-carbon metabolism, che è il principale responsabile della donazione di gruppi metilici al livello cellulare. La carenza di folato, che è uno dei componenti chiave del ciclo oltreché un costituente dell’alimentazione, è stata associata a un aumentato rischio di cancro e altre malattie degenerative, e dei difetti congeniti del tubo neurale. L’alcool, un fattore di rischio ormai ben stabilito per il cancro della mammella, sembra ridurre la biodisponibilità di folato, e forse l’eccesso di alcool e la carenza di folato sono elementi tra loro collegati nei meccanismi che conducono al cancro; ma c’è ancora da fare molta ricerca.
Un esempio stupefacente dell’impatto dell’epigenetica attraverso la dieta è stato osservato nelle api. Le caste completamente diverse (dal punto di vista comportamentale e riproduttivo) dell’ape regina e delle api operaie sono il risultato di una assunzione differenziata di ‘pappa reale’ che a sua volta influisce sulla metilazione del DNA a livello cerebrale. Anche il controllo nutrizionale dello stato riproduttivo nelle api da miele si verifica attraverso la metilazione. Alcuni ricercatori australiani hanno di recente imitato gli effetti della pappa reale ‘spegnendo’ l’enzima che lega i gruppi metilici al DNA nelle larve di api. Le larve si sono trasformate in regine, in completa assenza della pappa reale.
Le prove di un effetto della cattiva nutrizione materna sulla prole derivano dagli studi sulle coorti di olandesi le cui madri furono esposte alla carestia della seconda guerra mondiale nel 1944-45. I figli delle donne esposte alla carestia in gravidanza avevano una probabilità molto più alta di sviluppare la sindrome metabolica da adulti se confrontati con i figli di donne incinte prima o dopo la carestia.
Gli effetti dipendevano dal trimestre della gravidanza in cui la donna era stata esposta alla carestia. Inoltre, analisi epigenetiche nei figli quando raggiunsero l’età di 60 anni mostravano una metilazione differenziale di diversi geni coinvolti nella crescita e nel controllo metabolico, a seconda anche del sesso del nascituro e della settimana di gestazione. L’ipometilazione di IGF2, un gene chiave per il metabolismo (inclusa la suscettibilità al diabete), e implicato nella crescita, è stata osservata anche nei soggetti che erano stati esposti in periodo peri-concezionale, se confrontati ai fratelli o sorelle non esposti alla carestia. In un altro studio, individui esposti in utero e nell’infanzia alla carestia che ha accompagnato la guerra civile nigeriana del 1968-70 circa quarant’anni dopo avevano un rischio aumentato di ipertensione, alterata tolleranza al glucosio e sovrappeso. In modo analogo, donne sottoposte alla carestia del 1959-61 in Cina durante la gravidanza o nella prima infanzia avevano un rischio più elevato di sindrome metabolica.

Globalizzazione e paesaggio epigenetico
Se consideriamo alcune delle osservazioni sui cambiamenti genetici ed epigenetici effettuate su diverse popolazioni, possiamo notare che molte di esse coinvolgono la migrazione: la tolleranza al lattosio (anche se l’effetto della migrazione è stato messo in discussione recentemente), il colore della pelle, e il diabete nei migranti asiatici in Inghilterra ne sono esempi. Una delle caratteristiche più vistose della globalizzazione è certamente la massiccia migrazione di ampie popolazioni, ma c’è molto di più. In effetti sembra che le caratteristiche fenotipiche di molte popolazioni del mondo come noi oggi le conosciamo siano il frutto di lunghi periodi di adattamento agli ambienti in cui hanno vissuto più o meno stabilmente. I fenotipi dei pigmei, dei watussi, degli eschimesi, esprimono adattamenti alle condizioni ambientali locali, probabilmente come conseguenza sia della selezione genetica sia di cambiamenti epigenetici. Ma le condizioni locali stanno ora cambiando molto più rapidamente che in passato in tutte le parti del mondo (non vi sono più se non pochissimi gruppi di popolazione isolati dalla civiltà) ed è difficile immaginare che questi mutamenti non influiscano anche sul paesaggio epigenetico. Un esempio di un cambiamento secolare piuttosto drammatico nelle popolazioni occidentali (che ora si sta trasferendo a tutte le altre) è l’abbassamento dell’età del menarca (e dell’età fertile), di pari passo con un aumento della statura. Questi cambiamenti sono probabilmente legati a un meccanismo epigenetico, come mostrano alcune nostre recenti ricerche. Come spiegato da Peter Gluckman e Mark Hanson nel loro bel libro Mismatch (2006), una maturazione sessuale e riproduttiva sempre più precoce è caratteristica dell’ultimo secolo, ed è disgiunta (mismatched) dalla maturazione psicosociale (per esempio l’inserimento nella società), quest’ultima sempre più ritardata nei ragazzi e nelle ragazze. In altre parole, sembra che la maturità biologica avvenga molto prima ora di un tempo, ma quella psicosociale, come il senso di responsabilità e la capacità di mantenere una famiglia, sia drammaticamente ritardata nel mondo dell’economia globalizzata. Il mercato globale sfrutta l’‘infantilizzazione’ della società e la maturazione sessuale più precoce attraverso un mondo di oggetti di consumo rivolto ai ‘pre-teenager’ e al tempo stesso sembra incapace di fornire sbocchi professionali a un’età inferiore ai trent’anni, se non più avanzata.
Per concludere, meccanismi come la demetilazione e la conseguente instabilità del genoma sono un modo con cui l’organismo aumenta la variabilità genica; sono pertanto meccanismi a doppio taglio, che da un lato possono consentire di trovare quelle varietà geniche che consentono di superare uno stress ambientale, dall’altro possono causare le malattie. La velocità, mai vista prima nella storia dell’umanità, con cui si manifestano cambiamenti ambientali (per esempio nella trasformazione industriale del cibo) può avere effetti epigenetici del tutto inesplorati.

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